#andràtuttobene, #torneremoadabbracciarci. Sono solo alcuni degli hashtag lanciati ad inizio pandemia, durante il lockdown di marzo. Con il calo dei contagi e il conseguente allentamento delle misure di restrizione, però, tali parole sembrano solo un ricordo sfumato. Ci si è trovati nella stessa identica società di prima e non in un utopistico mondo connotato da gioia e amore verso il prossimo.
A parte questo, poi, lo stesso coronavirus ha perso l’iniziale mordente nella mente di molti che, da un iniziale assoluto rispetto dei sistemi di protezione individuale, ora vedo con differenza qualsiasi obbligo di distanziamento o, peggio ancora, di utilizzo delle mascherine. Così come in tutto il mondo, allora, anche in Italia hanno iniziato a prendere piede – oltre ai timorosi della mascherina – anche le fazioni, più estreme, di negazionisti del virus.
Il DPCM di ottobre per evitare un nuovo lockdown
Ora, a parte la pandemia mediatica e politica che ha affiancato la reale pandemia virale, colorata da costanti aggiornamenti, servizi, speciali da un lato e da tesi, più o meno fondate, dall’altro, con l’arrivo di ottobre i contagi in Italia hanno iniziato ad aumentare. Seppur lontani dai livelli allarmanti raggiunti da gran parte degli Stati europei, in primis Spagna, Regno Unito e Francia, il Governo ha deciso di intervenire nuovamente, in maniera preventiva.
La volontà comune fra tutte le fazioni, civili e politiche, infatti, è quella di scongiurare un nuovo lockdown che avrebbe effetti devastanti sia sull’economia del Paese sia sulla psiche di molti soggetti che, allo stato, non si sono ancora ripresi dal precedente.
Il Governo, allora, attraverso il noto strumento del DPCM interviene in “anticipo” rispetto all’effettiva gravità sul territorio nazionale in modo da limitare il più possibile il naturale aumentare dei casi nei mesi più freddi sgravando o, quantomeno, frazionando il ricorso alle strutture sanitarie pubbliche.
La natura e l’utilizzo del DPCM
Il DPCM è lo strumento simbolo della pandemia in Italia, adottato dal Governo, sin da marzo, per intervenire tempestivamente con riferimento all’emergenza Covid-19. Tuttavia, per molti, la natura di tale atto giuridico non è chiara. Quindi, prima di addentrarci nell’analisi del nuovo provvedimento, occorre precisare, finalmente, di cosa si tratti.
Cos’è il DPCM
Il DPCM, ossia il decreto ministeriale, è un atto amministrativo. Per tale ragione molta gente ne critica la legittimità e, soprattutto, la forza di legge, essendo infatti subordinato alla stessa. Invero, nel nostro sistema civile ci sono già degli strumenti per intervenire in maniera efficace ed immediata. Primo fra tutti, occorre ricordare il Decreto Legge che parimenti parte da un impulso del Governo ma deve trovare conferma dal Parlamento, decorsi sessanta giorni dalla sua adozione, attraverso una legge di conversione.
La problematica, quindi, attiene al coinvolgimento del potere legislativo nella redazione delle nuove norme impositive che, nel caso del DPCM, è assente e friziona, così, con il principio di legalità. Ciò detto, il governo Conte, nell’insolito scenario di una pandemia globale, ha preferito l’utilizzo del diverso procedimento lasciando, in realtà, non pochi dubbi. Occorre tuttavia ribadire che tutti i provvedimenti intrapresi, così come quello in analisi, trovano in realtà fondamento nella legge e nell’attuale stato di emergenza.
Il DL n. 6/2020
Fulcro della legittimazione in capo al Governo all’emanazione di questo tipo di provvedimenti è, infatti, il DL n. 6/2020 emanato lo scorso febbraio. Esso, all’articolo 3, stabilisce che tutte le misure urgenti per evitare il propagarsi del virus, così come la gestione dell’emergenza, vengano adottate attraverso con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la salute, sentiti i Ministri dell’interno, il Ministro dell’economia e delle finanze, i Ministri competenti per eventuali, differenti, materie nonché i presidenti delle Regioni interessate da eventuali provvedimenti locali.
Lo stesso DL n. 6 trova fondamento nello stato di emergenza previsto dal DL n. 1/2020 adottato in seguito alla dichiarazione di stato di pandemia da parte dell’OMS. Successivamente il Governo è intervenuto con il Decreto Legge n. 19/2020 abrogando, e di fatto sostituendo, il precedente. Il fine di tale ulteriore intervento, oltre alle nuove norme all’epoca introdotte, è stato quello di uniformare, anche al dettato costituzionale, i successivi interventi attraverso il coinvolgimento di più organi costituzionali e introdurre un quadro di definizioni e poteri più minuzioso.
Così facendo, allora, i futuri successivi DPCM si pongono, ancora una volta, come attuazione pratica del Decreto stesso. Tanto precisato, il fondamento di ogni legge o provvedimento emanati fin ora è, con tutta evidenza, lo stato di emergenza. Esso, tuttavia, era previsto in scadenza per il 15 ottobre 2020 e, pertanto, attraverso un nuovo Decreto Legge, il n. 125 del 2020, è stato ulteriormente prorogato, anche in vista della crescita dei contagi ormai uniforme in tutto il mondo, al 31 gennaio 2021. Molti si aspettavano un parallelo decreto con l’introduzione di nuove e più stringenti norme, ma così non è stato.
Le novità introdotte e il nuovo DPCM di ottobre
Il Governo ha adottato il nuovo provvedimento in un momento in cui il popolo del Bel Paese aveva da poco ricominciato a vedere la luce. Infatti, conclusosi il lockdown primaverile e abbassatisi i contagi del virus, la maggior parte della popolazione era ormai convinta di essersi lasciata alle spalle un brutto incubo. Tanto che non erano rare, durante l’estate, manifestazioni e comportamenti contrari alle regole anticontagio che, in realtà, non sono mai venute meno.
Le norme di sicurezza rimaste in vigore, così come i protocolli per le scuole, hanno tuttavia dimostrato di avere grandi criticità. L’innalzamento progressivo dei contagi, a livelli allarmanti in Europa e, anche se in maniera ridotta, in Italia, ha portato il Governo a inasprire la normativa di sicurezza. Si evidenzia che, data appunto la necessità di prorogare lo stato di emergenza e le problematiche legate al raggiungimento dei voti necessari, il tanto atteso DPCM è uscito solo nella notte del 13 ottobre, mentre al Decreto Legge-proroga si sono aggiunti alcuni elementi, particolarmente urgenti, che ne hanno anticipato i contenuti.
Leggi anche: Coronavirus, stop all’italiano medio: servono attenzione e responsabilità. Ciò che ci è mancato finora.
Le modifiche al Decreto Legge
All’art. 1 dello stesso decreto, infatti, dopo la proroga dello stato di emergenza, è previsto l’obbligo di avere sempre con sé i dispositivi di protezione delle vie respiratorie, salvo nella propria abitazione, con la possibilità di prevedere l’obbligatorietà dell’utilizzo nei luoghi al chiuso o in tutti quei luoghi all’aperto dove non sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi.
Tale disposizione si può tradurre, semplicemente, nell’obbligo di portare sempre con sé la mascherina e, comunque, di indossarla in tutti i luoghi al chiuso e all’aperto dove non è possibile garantire il distanziamento. Restano in vigore, attraverso un richiamo, tutte le linee guida già previste per le attività amministrative e di ristorazione ossia, ad esempio, l’uso della mascherina se ci si alza da tavola, la garanzia delle distanze fra tavolate e via dicendo. Vengono esclusi dai predetti obblighi coloro che svolgono attività sportiva, i bambini fino ai sei anni e i soggetti con disabilità o patologie incompatibili con la mascherina nonché per coloro che per interagire con questi soggetti abbiano la stessa incompatibilità.
Il DPCM di ottobre tra speculazioni e realtà dei fatti
Poco prima della proroga dello stato di emergenza, così come successivamente alla stessa e in attesa dell’intervento governativo, si sono sprecate diverse speculazioni circa il nuovo DPCM. Alcune hanno trovato conferma altre, invece, sono rimaste mere asserzioni. Come già accaduto in passato, anche per fermare le prime, estreme, indiscrezioni che si sono rincorse nella stampa nazionale, i tratti essenziali del nuovo DPCM sono stati anticipati in prima battuta da comunicati stampa del Governo e del Ministero della salute. In quest’ottica, allora, si era già intuita la linea seguita dal Governo incentrata su un maggior rigore verso determinate categorie: gli sport amatoriali di contatto, le feste pubbliche e private o le uscite serali.
Tanto precisato, il nuovo DPCM, al primo articolo, richiama quanto anticipato dal precedente decreto in merito alle mascherine: un generalizzato obbligo di indossarle, anche all’aperto, salvo che non possa essere garantito in modo continuativo l’isolamento dai non conviventi. Vengono poi riportate le medesime eccezioni già viste per disabili, bambini e sportivi.
Feste e discoteche nel DPCM di ottobre
Rimangono invece chiuse le sale da ballo e le discoteche, interne o esterne. La principale novità introdotta, rispetto ai precedenti DPCM, riguarda il divieto per le feste, siano esse in luoghi chiusi o all’aperto. Anche in questo caso, però, sono previste delle eccezioni, con riferimento alle cerimonie di culto. Nel caso, infatti, si rispettino le direttive sulla sicurezza e il distanziamento, sono consentite le feste conseguenti a cerimonie civili e religiose (per intenderci, matrimoni) nel limite massimo delle trenta persone. Ha trovato poi cittadinanza un altro provvedimento che aveva fatto parecchio discutere in fase di attesa anche se, dati vincoli costituzionali inerenti alla sfera privata della vita dei singoli, si pone come una semplice raccomandazione e non come un vero e proprio obbligo. Il DPCM raccomanda fortemente di evitare feste domestiche o, comunque, di non ricevere nella propria dimora un numero di persone superiore alle sei.
La didattica a distanza
Un altro grande assente, in termini di anticipazioni e proposte anche da parte di alcune Regioni, è il ritorno alla didattica a distanza. Si ipotizzava infatti, per ovviare al noto problema dei trasporti pubblici e del sovraffollamento degli stessi, di poter reintrodurre la dad per le sole scuole superiori. Sul punto il Governo non è intervenuto. Tuttavia, ha sospeso i viaggi di istruzione, le attività di scambio e gemellaggio, le visite guidate e le uscite didattiche per le scuole di ogni ordine e grado. Fanno eccezione, invece, i percorsi di orientamento e le attività di tirocinio, così come le attività inerenti ai percorsi trasversali professionalizzanti.
Leggi anche: La scuola deve sopravvivere al coronavirus.
Lo sport
Per ciò che riguarda lo sport, amatoriale o professionale, sono state prese due differenti strade da parte del Governo. Sono state vietate, infatti, tutte le gare e competizioni così come tutti gli sport di contatto aventi carattere amatoriale. Gli sport di livello agonistico, invece, sono consentiti purché nel rispetto di tutti i protocolli di sicurezza nonché dei protocolli emanati dalle singole federazioni sportive nazionali. Per le competizioni sportive, come il calcio, è consentita la presenza del pubblico negli stadi purché non ecceda il 15% della capienza massima della struttura e, comunque, nel limite massimo delle mille persone all’aperto o delle duecento al chiuso. Resta fermo l’onere di misurazione della temperatura corporea in ingresso e il distanziamento di un metro fra gli spettatori.
Bar e ristoranti
Un ultimo intervento, anticipato tanto dalla cronaca quanto dalle proteste di settore, è quello diretto al mondo della ristorazione e dei bar. Si discuteva, infatti, di imporre un limite massimo all’orario di apertura, così come anticipato anche da alcune leggi a livello territoriale. Il DPCM, come previsto, è intervenuto proprio in tal senso imponendo la chiusura a bar, ristoranti, gelaterie e pasticcerie alle ore 24. La disposizione, invece, è ancora più rigida per quei locali dove non è previsto il servizio al tavolo che dovranno abbassare le saracinesche già dalle ore 21. Resta ferma l’ipotesi di consegne a domicilio e takeaway ma con l’espresso divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze del locale dopo le ore 21.
Fiere, convegni e spettacoli
Sono consentiti, invece, convegni e fiere così come spettacoli e concerti, seppur nelle identiche modalità previste per le competizioni sportive: limite massimo di mille persone all’aperto o di duecento al chiuso nonché misurazione della temperatura corporea e rispetto delle distanze di sicurezza. Parimenti in tutti gli altri luoghi che possono attirare un numero elevato di soggetti, siano essi parchi, musei giardini o trasporti pubblici, devono essere rispettate tutte le normative di sicurezza sul distanziamento e sui dispositivi di protezione. Il Decreto interviene anche sulla possibilità, per le Regioni, di derogare alle disposizioni del Governo stesso ma, si badi bene, solamente in pejus. Vale a dire, allora, che le Regioni sono lasciate libere di adottare provvedimenti interni di maggior rigore rispetto a quella che è la normativa nazionale, a seguito però di un’intesa con il Ministro della salute.
Perché questi limiti nel DPCM di ottobre?
Il provvedimento adottato dal Governo, è evidente, mira a intervenire sulle vere e proprie “zone d’ombra” dal momento della riapertura, a maggio, fino a oggi. In questo senso, quindi, non deve stupire la volontà di limitare particolari eventi dove non è possibile garantire le norme di sicurezza, così come l’introduzione di orari ridotti per attività dove la situazione, in termini di utenza, è difficilmente gestibile, in particolare in determinate fasce orarie.
Con riferimento a queste ultime, gran parte della stampa nazionale ha pensato bene di riportare in auge il desueto termine “movida”, forse con la malcelata volontà di individuare nei giovani e nella “vita notturna” i nuovi untori, sdoganando, così, joggers e cinofili, precedentemente sotto accusa. Bisogna ribadire che, effettivamente, il Governo si è concentrato su quelli che di fatto sono atteggiamenti a rischio. Senza scuse, la vita mondana e da “aperitivo” ha dimostrato più di una volta di essere particolarmente critica con riferimento alle norme di sicurezza.
Tuttavia la demonizzazione della stampa o, meglio, l’individuazione di un capro espiatorio di turno, è senz’altro sbagliata. Così facendo, infatti, non si fa altro che individuare un “nuovo colpevole” dimenticando, invece, che siamo tutti chiamati a un atto di responsabilizzazione. Non è raro, infatti, vedere violazioni evidenti delle norme sul distanziamento nei più disparati eventi, non solo in quelli richiamati. Tralasciando la recente manifestazione di Roma che trova il tempo che trova, chiunque, per parlare con un amico, un familiare non stretto, per comodità o ancora, per il caldo in questi mesi si è “abbassato la mascherina”, indipendentemente dall’età o dalla brama di fare aperitivo. Basti pensare che, all’alba della probabile seconda ondata, la maggior parte dei focolai ha origine domestica ed i comportamenti scorretti, questo è sotto l’occhio di tutti, non hanno età né colore.