Nel mese di settembre è stato siglato il primo contratto collettivo nazionale per i rider, i fattorini in bicicletta che effettuano consegne a domicilio per conto delle piattaforme di delivery come Glovo e JustEat. L’accordo è stato raggiunto tra Assodelivery (l’associazione di categoria che rappresenta il settore) e il sindacato UGL e costituisce una novità a livello europeo. Le condizioni di lavoro dei ciclofattorini, infatti, non sono regolate da una normativa unica: a livello comunitario esiste solo una direttiva che prescrive alcuni diritti minimi. Di fatto, fino ad oggi, il potere contrattuale è rimasto in mano alle aziende.
Il contratto collettivo dovrebbe garantire maggiori tutele per i rider, tuttavia la firma di questa intesa ha suscitato reazioni contrastanti. Matteo Sarzana, Presidente di Assodelivery, ha parlato di «momento storico», aggiungendo che «per la prima volta la contrattazione collettiva raggiunge il mondo del lavoro autonomo, introducendo compensi minimi e indennità integrative». CGIL, CISL e UIL, invece, hanno espresso grande perplessità proprio sull’inquadramento dei rider come lavoratori autonomi: secondo la Segretaria confederale della CGIL Tania Scacchetti, infatti, i ciclofattorini sono a tutti gli effetti dei dipendenti delle piattaforme e come tali andrebbero classificati. Il dibattito su quale sia l’inquadramento contrattuale più adeguato per i rider ha origine proprio dalle particolarità di questa professione. Il rider è un nuovo tipo di lavoratore, di fatto né autonomo né dipendente.
La necessità di un contratto nazionale
L’istituzione di un contratto collettivo nazionale si è resa necessaria a settembre 2019, quando il Governo Lega-M5S, con il decreto legge 101/2019, aveva stabilito che i rider possono anche essere qualificati come lavoratori autonomi, ma rimangono comunque soggetti alle regole del lavoro subordinato. In assenza di una normativa in grado di rispondere a questa interpretazione, lo stesso decreto sospendeva la propria efficacia per un anno, per consentire alle parti interessate di raggiungere un accordo sul contratto nazionale.
Assodelivery comincia quindi a trattare con CGIL, CISL e UIL, che però sono inamovibili su un punto: il contratto nazionale deve considerare i rider come lavoratori subordinati, non autonomi. L’associazione di categoria è di parere opposto e il negoziato non va a buon fine. A giugno di quest’anno Assodelivery individua in UGL il nuovo partner sindacale per riaprire la contrattazione e il 15 settembre, a poche settimane dalla scadenza fissata dal decreto del 2019, le parti annunciano l’accordo. Questo è un dettaglio importante: se fossimo arrivati a novembre senza un contratto, le aziende di delivery sarebbero state obbligate a riconoscere ai rider tutti i diritti previsti per i lavoratori etero organizzati, una tipologia di lavoro subordinato che avrebbe comportato maggiori tutele nei loro confronti.
Il contratto nazionale per i rider prevede un compenso minimo di dieci euro l’ora, con delle integrazioni fino al 20% in caso di turni notturni, maltempo o altre circostanze particolari. I ciclofattorini continuano a essere considerati lavoratori autonomi, ma vengono introdotte alcune garanzie, come le dotazioni di sicurezza a carico delle piattaforme e la copertura assicurativa per danni e infortuni. Sono inoltre previsti degli incentivi per i primi quattro mesi di lancio del servizio di delivery in una nuova città. Il contratto prescrive anche l’obbligo di corsi di formazione sulla sicurezza stradale: un tema sul cui si è discusso molto in passato, a causa dei numerosi incidenti che hanno coinvolto dei rider.
Un «contratto pirata»
Nonostante per alcuni il contratto nazionale rappresenti un importante traguardo, si sono sollevate parecchi dubbi sulla legittimità dell’accordo. CGIL, CISL e UIL hanno diffuso un duro comunicato per esprimere la loro posizione, sostenendo che il testo «riconduce al cottimo l’attività di queste lavoratrici e lavoratori» e che «si tratta di un’operazione che prevede un basso salario in cambio di maggiore precarietà». Deliverance Milano, tra i più importanti collettivi di rider in Italia, ha definito il patto tra UGL e Assodelivery un «accordo pirata», siglato con un «sindacato di comodo». Anche questo è un punto degno di attenzione. UGL sembrerebbe rappresentare un migliaio di rider su circa 60.000 addetti, anche se non c’è modo di verificare questo dato da fonti indipendenti. Un numero, in ogni caso, troppo basso per soddisfare il criterio della maggiore rappresentatività comparativa, previsto dalla legge che disciplina le contrattazioni collettive per i sindacati. Il Ministero del Lavoro ha rilevato questa e altre criticità in una lettera in sei punti inviata ad Assodelivery all’indomani dell’accordo, che lo stesso Ministero ha definito «problematico».
Oltre alle questioni di merito, relative ai dettagli del contratto, i rappresentanti dei rider e i sindacati esclusi dalla trattativa denunciano anche poca trasparenza nel negoziato. Non è possibile verificare con certezza se tutte le parti interessate siano state chiamate in causa da UGL e Assodelivery durante la loro interlocuzione. Nonostante le contestazioni, le piattaforme di delivery hanno informato i propri rider che se non firmeranno il nuovo contratto cesserà il rapporto di lavoro.
Le accuse di caporalato
C’è un altro elemento importante da segnalare, per fornire un quadro più completo su questa vicenda. Si è chiusa in questi giorni un’indagine per caporalato condotta dalla Procura di Milano – che aveva portato al commissariamento di Uber Eats Italia lo scorso 29 maggio – nei confronti di Uber. Dall’inchiesta emerge che la piattaforma di delivery avrebbe sottoposto i propri rider a «condizioni di lavoro degradanti», con paghe a cottimo fino a tre euro l’ora. Al centro dell’accusa figurano dieci manager di Uber e di altre società collegate, ma non l’azienda stessa, la cui posizione è stata stralciata.
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Il contrasto al caporalato è uno dei punti del contratto nazionale presentato da UGL e Assodelivery e la chiusura delle indagini contro Uber arriva in un momento di grande turbolenza all’interno del settore. CGIL ha annunciato che si costituirà parte civile nel processo. Assieme agli altri sindacati esclusi dal negoziato, ha intenzione di promuovere «azioni e mobilitazioni finalizzate alla tutela collettiva e individuale dei ciclofattorini».