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Spettacolo

James Hook: Mario Petillo e il suo romanzo d’esordio

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Andrea Borio

Il romanzo d’esordio dello scrittore salernitano Mario Petillo si intitola James Hook. Il pirata che navigò in cielo (200 pagine). Storia che percorre la vita di uno degli antagonisti più iconici dell’immaginario recente: James M. Turner (aka Capitan Uncino). Attraverso un racconto che richiama i motivi delle narrazioni settecentesche, Petillo ci fa immergere nelle avventure di un giovane ragazzo che, nel mezzo della sua adolescenza, viene strappato alla normalità da un essere misterioso. Si dispiega così il resoconto di un destino sofferto e a tratti insopportabile. Il passaggio fondamentale dalla giovinezza all’età adulta (centrale nell’ipertesto di Peter Pan) diventa il percorso esistenziale di un ragazzo timido e appassionato di letteratura che assume i tratti del pirata comico e spietato che ormai tutti conosciamo. Il romanzo è stato pubblicato nel 2019 per i tipi di Scatole Parlanti, casa editrice di Viterbo.

James Hook, o la storia di Capitan Uncino

James Hook di Mario Petillo (nato a Salerno nel 1990) è un romanzo che segue la fortunata scia di testi che ruotano attorno al celebre personaggio di Peter Pan. Un ipertesto che, a distanza di più di un secolo, continua a generare successi e riscritture. Il romanzo di Petillo cerca di ricostruire e percorrere la storia di Capitan Uncino (James M. Turner, alla nascita) prima di diventare la famosa nemesi del folletto in tuta verde di Neverland.

In un mare immobile e sereno, nella piatta calma di un giorno senza vento, una nave ormeggiata al largo si strazia nell’ozio e nell’attesa di qualcosa che non accade. È la Jolly Roger di Capitan Uncino e della sua improbabile manica di pirati da strapazzo. Spicca la figura grassoccia, stempiata e ansimante di Spugna che percorre il ponte della nave richiamato dal suo capitano. Lui guarda il mare in silenzio, con volto vago e romantico mistero, in una posa dal più classico dei cliché di una storia di pirati. L’assenza di azione e questo clima generale di stallo fungono da pretesto per il lungo flashback sulla vita di James.

È proprio lo stesso James, dopo essere stato pregato da Spugna (che in fin dei conti non è che il suo più intimo amico), a ripercorrere a ritroso la sua storia. Storia che viene spezzata, di tanto in tanto, dai commenti e le domande di Spugna e le precisazioni di Capitan Uncino. Seguendo il filo della memoria di James apprendiamo i vari risvolti della sua vita. Scopriamo le ambizioni intellettuali del piccolo James duranti gli anni scolastici, le speranze e le delusioni della sua fanciullezza, l’incontro con Peter Pan e la nascita del loro eterno dissidio, l’apprendistato piratesco alla corte di Barbanera.

Peter Pan, nel suo inconfondibile completo verde.

James Hook di Mario Petillo: dalla parte del cattivo

Mario Petillo arriva a questo suo primo romanzo dopo dieci anni di lavoro come giornalista nell’ambito di videogiochi, cinema e calco. Lavora prima nelle redazioni di diversi siti legati al mondo dei videogiochi (GamesVillage.it, SpazioGames.it), poi in SportItalia e per il Televideo della Rai. Storyteller e sceneggiatore, studia sceneggiatura in Accademia 09 e poi sceneggiatura per il fumetto alla Scuola Holden. Nel 2015 scrive e dirige il cortometraggio Le coppie hanno i baci contati, mostrato al Milano Film Festival del 2015. Nel 2016 diventa il più giovane finalista al Premio Solinas con la web series 02:37.

James Hook viene pubblicato nel 2019 per Scatole Parlanti, casa editrice fondata a Viterbo nel 2017; impegnata soprattutto nella promozione della letteratura italiana emergente, dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia alla narrativa per ragazzi. Petillo scrive un romanzo che cerca di rovesciare l’immagine stereotipata di Capitan Uncino. Quella del classico antagonista impacciato e ironico, spietato e votato al solo (e mai del tutto chiaro) scopo di annientare Peter Pan. La trama narrativa che si dispiega lungo duecento pagine punta a mostrarci il punto di vista del protagonista, e di conseguenza farci entrare il più possibile in empatia con il cattivo.

Un procedimento da tempo abituale (e non sempre riuscito) tanto nella narrativa che nello storytelling televisivo. Petillo attinge a piene mani dalle diverse riscritture della vicenda di Peter Pan, prima di tutto dal modello originale di James Matthiew Barrie e poi dalle sue più recenti versioni. Tuttavia, il modello di riferimento principale è quello del cartone animato Disney del 1957; a cui si innestano episodi, stilemi e modelli inventati da Petillo, che si rifanno, in modo più o meno efficace, a una più generale ispirazione piratesca (si pensi all’Isola del tesoro di Stevenson o alla più recente saga dei Pirati dei Caraibi).

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Il romanzo di Mario Petillo, tra narrazione d’intreccio e linguaggio lineare

Il romanzo di Petillo è scritto in maniera chiara e lineare. Si percepisce fin da subito il gusto dell’autore per l’affabulazione tradizionale del romanzo d’intreccio, particolarmente cara alla narrativa mainstream contemporanea. La storia è lineare, segue la rammemorazione degli eventi salienti della vita di James Turner, soffermandosi sui suoi snodi fondamentali (la morte della madre, l’incontro con Peter Pan, ecc.), e passando veloce su altre parti della storia. Solo di tanto in tanto la narrazione si interrompe con le battute di Capitan Uncino e Spugna, talvolta anche con il commento di un narratore non ben identificato.

La lingua è piana, precisa, senza escursioni nei registri bassi della lingua italiana, né cedimenti in un eccessivo lirismo. La trama testuale è infarcita di riferimenti alla tradizione letteraria italiana, il più delle volte attraverso citazioni logore e abusate, come le «sudate carte» di leopardiana memoria, che compare più volte nel corso del romanzo, o il dantesco «galeotto fu». Il repertorio di metafore e similitudini è vario ma poco ambizioso, ci si poteva aspettare qualcosa di più originale rispetto a uno stereotipato «caddero come foglie in autunno». Sicuramente apprezzabile l’attenzione che Petillo mette in atto nella resa linguistica dell’ambiente marinaresco d’inizio Settecento.

Per il resto la narrazione scorre veloce e piacevole, tenendoci incollati alla pagina fino all’ultimo capitolo. Pesano, purtroppo, alcune confusioni diegetiche, che rendono difficile capire, in un paio di passi, se il narratore sia interno o esterno alla storia; e quale sia il suo grado di comprensione degli aspetti non presenti nel testo di Petillo, ma comunque implicati nel tessuto ipertestuale delle precedenti riscritture. Buona la caratterizzazione dei personaggi, sebbene l’unico ad avere un’evoluzione a tutto tondo sia soltanto James Turner. Gli altri personaggi sembrano invece muoversi sullo sfondo come macchine costrette a recitare uno schema comportamentale fisso e, talvolta, poco credibile.

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Capitan Uncino, nell’ormai iconica rappresentazione di ispirazione Disney.

James Hook come ipertesto nell’universo di Neverland

Con il suo James Hook, Mario Petillo prova a chiudere una serie di interrogativi legati alla vita di Capitan Uncino. Interrogativi che le precedenti versioni della storia avevano continuato a lasciare in sospeso, o avevano toccato soltanto marginalmente. Immergersi nella vita infelice di uno dei più iconici villain della narrativa novecentesca aiuta sicuramente ad aprire nuove chiavi di lettura delle storie che popolano l’Isola che non c’è. Quello che conta non è tanto ricercare una giustificazione (o riabilitazione) della figura del cattivo; ma piuttosto l’idea che ogni storia possa a sua volta generare un grappolo di racconti successivi, che si discostano in modo più o meno ampio dal modello originario.

Questo aspetto del nuovo romanzo di Petillo è riconducibile al lungo corso (o deriva) delle poetiche postmoderniste. Una delle idee di fondo di questa “nebulosa” estetica e filosofica è proprio quella di poter considerare la tradizione letteraria come un ipertesto, a partire dal quale generare una ramificazione di racconti legati tra loro, benché indipendenti. Giocare con i testi, smontarli e ricomporli in forme cangianti. È in quest’ottica che il libro di Petillo assume un valore maggiore. James Hook recupera il tracciato narrativo dell’universo di Peter Pan, per inscriverlo in un modo nuovo e personale. La strada è stata tracciata, la scrittura è ancora acerba, ma l’inizio è promettete. L’augurio è che Petillo possa continuare nella direzione che è stata appena tracciata.

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Andrea Borio

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