«Cosa mi manca di più della vita pre-Covid? Uscire senza aver paura che ucciderò qualcuno». Reclusa in casa per quattro mesi per evitare di diventare un numero in più nella lista dei contagi della Scozia, Roisin seziona il proprio 2020, sceglie la parola «uccidere», e paragona l’uscire di casa all’azione di un killer. Non sbaglia, in questo folle anno del Covid-19, in cui evitare il contatto con gli altri è l’unico modo per salvarli. La pandemia ha fatto a brandelli le vecchie abitudini. Ovunque. E anche quando il ritorno alla normalità si potrà intravedere, comunque «qualcosa cambierà», teme Monica, mentre osserva l’Italia entrare nella seconda ondata di contagi.
theWise Magazine ha raccolto le testimonianze di cinque ragazze. Dall’Italia all’Inghilterra, per poi passare per la Scozia, e dagli USA all’Australia, cerchiamo similitudini e differenze fra la percezione di chi ha vissuto l’impatto delle restrizioni anti-Covid in cinque nazioni diverse.
La percezione del Covid-19 e il contagio
«Credo di aver contratto il virus a inizio marzo. Stavo davvero male e avevo tutti i sintomi del Covid-19. Ma era ancora troppo presto e il Regno Unito non effettuava ancora i tamponi». Line viene dalla Danimarca, ma vive a Londra da sei anni. Quando si è ammalata di Covid, il governo di Boris Johnson aveva adottato la strategia dell’immunità di gregge, basandosi sull’idea che se la maggior parte della popolazione avesse contratto il virus, ne sarebbe diventata immune (strategia smentita dagli scienziati). Ma con l’aumento dei contagi, anche il Primo Ministro britannico si è dovuto arrendere al trend di restrizioni registrato nella maggior parte dei paesi colpiti dalla pandemia. Un po’ late to the party, commenta Line: «C’è voluto davvero tanto tempo prima che il Regno Unito prendesse sul serio la situazione. Penso che il governo abbia fatto un pessimo lavoro non dando subito linee guida chiare e per questo motivo alcune persone stanno sottovalutano l’emergenza». Infatti, Roisin è sollevata dalla presa di autonomia operata dalla Scozia rispetto al governo di Boris: «La Scozia ha preso i propri provvedimenti fuori dalle direttive del governo centrale, ed è stato fondamentale perché le nostre misure sono state più stringenti e più efficaci!».
Misure prese in tempo?
Oltreoceano, la percezione di Jackie è simile a quella di Line. Vive nello stato della Florida, che conta più contagi totali dell’intero Regno Unito. «Abbiamo chiuso troppo tardi, e abbiamo aperto troppo presto», commenta l’americana. Il governo non ha imposto alcun obbligo di mascherina, ma lei la indossa lo stesso. Ma alla domanda: «Credi che il governo sia responsabile per le morti e/o l’aumento dei casi nel tuo Paese?», sia Line che Jackie parlano di responsabilità parziale, e legata più che altro a un problema di tempismo. «Una volta prese le misure, mi sono sembrate efficaci», aggiunge Line.
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Anche Monica, che vive e studia a Roma, riconosce una certa responsabilità al governo italiano: «Non è stato in grado di fornire le direttive adeguate e ha lasciato i cittadini troppo liberi di agire in un periodo troppo delicato». Durante i due mesi di lockdown, l’Italia ha inaspettatamente dimostrato di essere in grado di gestire quella che a inizio pandemia è stata la situazione più caotica d’Europa. Ma alla fine dell’estate, con l’allentamento delle restrizioni, la riapertura delle scuole e l’affollamento sui mezzi pubblici, il numero dei positivi ha sfondato ancora una volta il tetto dei diecimila nuovi casi al giorno. Alla domanda: «Da 1 a 5 quanto sei spaventato per l’emergenza coronavirus nel tuo paese?», Monica risponde 5. «Il padre del mio fidanzato ha contratto il virus», racconta. Ha aspettato con ansia l’esito del tampone. «Ho paura. Ho nonna con me. Se ho contagiato mia nonna non me lo perdono». L’esito del tampone ha dato risultato negativo, ma in Italia il rischio e il timore che un positivo sia accanto a te è sempre più tangibile e la percezione del rischio sempre più alta.
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La percezione del Covid-19 in Australia
Chi non ha nulla da rimproverare al proprio governo è Adelaid: «Se i contagi aumentano è colpa delle persone che non seguono le regole». Adelaid vive a Melbourne, in Australia, e il 2020 lo ha vissuto principalmente in casa. Dice che è una cosa nuova, per lei che a casa non c’era mai. Sempre fuori per lavoro, sempre fuori con gli amici. «Ora sono sempre a casa. Nello Stato di Victoria abbiamo avuto il nostro primo lockdown da metà marzo fino agli inizi di giugno. Potevamo uscire di casa solo per la spesa, lo shopping, fare esercizio fisico o per motivi di salute. Nessuna mascherina. Nessun divieto di assembramento. Ma il nostro secondo lockdown, iniziato a metà luglio e non ancora finito, è stato molto più aspro. Siamo l’unico stato con l’obbligo di indossare la mascherina. Abbiamo il coprifuoco dalle 21 alle 5, non possiamo allontanarci dalla nostra abitazione per più di cinque chilometri, abbiamo il divieto di incontrare più di una persona, possiamo fare solo un’ora di esercizio fisico fuori casa, e una sola persona per famiglia, una sola volta al giorno, può uscire per andare a fare la spesa. A volte è dura. Ho avuto delle pessime giornate. Non ero motivata e avevo l’ansia se pensavo al futuro, alla mia carriera. Ma sono convinta che il governo abbia fatto la cosa giusta».
La politica
Adelaid è quella che più approva l’operato del governo, valutando con 5 (in una scala da 1 a 5) l’efficienza delle misure prese dal governo australiano. Il valore più basso è stato dato da Jackie (1) per la gestione della pandemia da parte di Trump. «Siamo gli zimbelli del mondo. Penso che tutti gli altri Paesi ci guardino per imparare cosa non fare in termini di Covid», dice. L’americana è seguita da Monica che dà 2 al premier Conte. 3-4 per il governo di Boris Johnson secondo Line e 4 per le misure del primo ministro scozzese secondo Roisin.
Non ci si divide equamente sulla fiducia nei confronti della trasparenza del governo. Adelaid crede che la versione del governo sullo scoppio della pandemia, l’andamento dei contagi e il numero dei morti e delle terapie intensive corrisponda alla realtà. Così come Line, che però non ha fiducia nella trasparenza degli altri Stati. Secondo Roisin, Monica e Jackie, il governo starebbe nascondendo molto più di ciò che sappiamo. «La Florida non ha riportato accuratamente i numeri dei casi», afferma Jackie, «e conosco medici personalmente che mi hanno detto come i pazienti non affetti da Covid-19 vengono etichettati come affetti per ricevere finanziamenti extra dal governo per le loro cure mediche».
Inoltre, tutti e cinque i Paesi in questione si sono dotati di un’app di contact tracing. Tutti, tranne gli Stati Uniti. In bilico tra le opposte prescrizioni a tutela della salute fisica e della privacy, solo Roisin e Line credono che, con le misure adottate, il governo stia entrando troppo nella sfera privata del cittadino. «Se conosco i miei amici e so dove sono stati e con chi sono stati a contatto, perché non posso essere io a scegliere se voglio vederli o no?», si chiede Roisin.
L’informazione
Riguardo le fonti di informazioni più affidabili, le opinioni sono discordanti. Per Monica il mezzo più affidabile è la televisione, confermando il ruolo di primo piano e l’autorevolezza che, checché se ne dica, il medium televisivo ha da sempre sulla popolazione italiana. Negli altri casi, la fiducia nei confronti della rappresentazione dell’emergenza da parte dei media mainstream è, quasi sempre, pari a zero. Jackie si affida al proprio medico e cerca di non ascoltare i media («Sono un disastro, non so a cosa credere») mentre Adelaid evita categoricamente ogni notizia che non venga direttamente dal governo: «I media in Australia sono principalmente di proprietà di una società, molto orientata politicamente. Non stanno esagerando o sottovalutando l’emergenza, ma piuttosto diffondendo disinformazione che causa tensione, stress e confusione all’interno del Paese. Hanno manipolato molti per credere che questa sia una crisi enorme o non lo sia, dipende dai media che guardi e leggi. Tendo a evitare tutto»
L’economia
Monica e Jackie sono le più spaventate per l’economia dei propri Paesi. Si dicono certe che il Coronavirus avrà un impatto sul loro reddito o lo sta già avendo. In una scala da 1 a 5, la valutazione di Monica sulla capacità dell’Italia di rispondere alla crisi economica è 1. Quella di Jackie è 2. Jackie ha perso il suo lavoro. Era un’insegnante e le direttive della sua scuola sulla riapertura in presenza – con 4.044 nuovi casi al giorno solo in Florida – l’hanno costretta a dimettersi. Tutte, eccetto Roisin, sono convinte che il coronavirus abbia pregiudicato l’opportunità di trovare un lavoro in futuro. «Non sono mai stata ricontattata da nessuna compagnia, nemmeno con un; “no, mi spiace”», racconta Adelaid, che di lavoro fa la fotografa. «Ora come ora è impossibile lavorare nell’industria creativa». Ma c’è anche chi riconosce che le cose stanno cambiando, e che il lavoro durante una pandemia mondiale viaggia sempre di più sul digitale: «Il covid ha anche creato nuovi lavori in differenti settori», osserva Line.
Il futuro
L’eredità psicologica della pandemia e del lockdown pesano anche sulla salute mentale. Cinque ragazze provenienti da cinque nazioni diverse, con governi diversi, e restrizioni diverse, hanno affermato che la pandemia ha pregiudicato la loro salute mentale e la capacità di relazionarsi con gli altri. «A volte mi sento a disagio nelle situazioni sociali», spiega Adelaid. «Non riesco a trovare la cosa giusta da dire, siccome di solito, ormai, mi relaziono con gli altri per telefono, attraverso i messaggi, e ho più tempo per pensare».
Della pandemia, però, si intuisce la fine. Se non la si vede, la si immagina. Si pensa alle cose che mancano di più, le si visualizza nella mente, sembrano qualcosa di familiare, eppure all’improvviso straniante – gli amici, i viaggi, le feste, i concerti. Tutte e cinque credono, o sperano, che una volta passata l’emergenza, si potrà tornare alla vita di prima. Come se nulla, o quasi, fosse successo. «Alcune persone qui lo fanno già. Vivere come se nulla fosse», ci dice Jackie degli americani. «Per loro il Covid-19 è già andato via».