Come Greta Thunberg, sono molti i giovani che in tutto il mondo si interessano di cambiamenti climatici. Dal 2018 in poi, come la celebre attivista svedese, questi ragazzi hanno passato molti dei loro venerdì in piazza. Obiettivo, aumentare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’emergenza che sta cambiando profondamente la Terra. Fra loro c’è Laura Vallaro. Appassionata da sempre di temi ambientali, fa parte di Fridays For Future (associazione di giovani contro i cambiamenti climatici) da due anni. Laura è una delle attiviste che ha partecipato alla call su Zoom del 19 ottobre scorso sui cambiamenti climatici con il Governo italiano. In collegamento anche il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il Ministro dell’ambiente Sergio Costa e, ovviamente, Greta.
«Concordo. Ci hanno raccontato di quanto l’Italia stia facendo per contrastare la crisi climatica, specie in vista della futura COP XXVI [conferenze annuali sul clima, N.d.R.] che, pandemia permettendo, si terrà a Glasgow l’anno prossimo. Solitamente in queste conferenze cambia ben poco, ma staremo a vedere. L’incontro mi è sembrato un po’ vuoto. Non c’è da parte del governo la consapevolezza che quella climatica sia una vera e propria crisi. In quanto tale, questa va affrontata non con piccoli interventi spot, come oggi sta avvenendo, ma con un approccio strutturale. Manca una visione di insieme, non c’è cognizione che l’Italia non è in linea con gli accordi di Parigi».
«Abbiamo scritto il testo insieme ad altre associazioni, esperti e scienziati durante il lockdown di marzo. Abbraccia sia l’ambito della crisi climatica sia il contesto sociale, e cioè l’energia, i trasporti, la gestione dei rifiuti. Si parla anche della giustizia climatica: tutti gli interventi per contrastare questa emergenza non devono ricadere sulle spalle di chi ha meno possibilità economiche già oggi. Abbiamo proposto numerose idee volte a ridurre il quantitativo di emissioni. Non si tratta di un testo politico, non contiene i provvedimenti necessari per raggiungere l’obiettivo. Non è il nostro compito. Può però essere una buona base di partenza per le azioni della classe politica».
«Non credo sia un progetto pienamente funzionale per essere in linea con gli obiettivi della COP XXI. Già da un mese l’Unione Europea ha rimodulato i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni, ora al -60% entro il 2030 e allo 0 entro il 2050, però stando agli accordi di Parigi e al rapporto IPCC sul riscaldamento globale per raggiungere questo obiettivo le azioni dell’Europa sono ancora insufficienti. Soprattutto perché non rispetta il principio di equità, pilastro degli accordi di Parigi, secondo cui Paesi già sviluppati come quelli europei dovrebbero ridurre le emissioni e implementare politiche coraggiose per sostenere i PVS [Paesi in via di sviluppo, N.d.R.].
Il Green Deal comunque è un buon piano, ma non è in linea con questi target e non ha una visione emergenziale. È un problema sia di incisività delle misure, sia di orizzonte temporale: obiettivi così lontani nel tempo spingono i politici a sottrarsi alle loro responsabilità. Inoltre, avere un target lontanissimo porta a rimandare di volta in volta misure drastiche di cui pure avremmo bisogno già oggi».
«Questa pandemia è senz’altro un problema enorme. Dal punto di vista sociale, peraltro, ha inasprito le disuguaglianze. Dal punto di vista climatico le emissioni sono comunque in crescita, pur essendo diminuite nei mesi scorsi. La pressione sugli ecosistemi è sì diminuita, ma il beneficio è esiguo. Temo che molti Stati potrebbero non indirizzare gli investimenti su processi produttivi più green a causa della crisi che verrà. C’è anche il rischio che alcuni Paesi che hanno ridotto la produzione industriale nei mesi scorsi oggi la aumentino in misura proporzionale.
La crisi economica del 2008 offre un modello simile: da un calo nei mesi più duri a un’impennata nel periodo seguente. Ora che attraverseremo una fase di contrazione forse ancor più profonda, il rischio è che la crescita delle emissioni sia anche peggiore rispetto a dieci anni fa. La responsabilità, più che dei PVS, è nostra: siamo un modello, se non saremo in grado di rivoluzionare il paradigma del nostro sistema produttivo non vedo perché dovrebbero farlo loro. Il settore delle energie rinnovabili oggi inizia anche ad attrarre investimenti, ma nel mondo si fa ancora troppo affidamento sul carbone, specie in Cina (ma anche nella vicina Polonia)».
«Pur non essendo vincolanti, i risultati degli Accordi di Parigi sono comunque un gran risultato rispetto al nulla che c’era prima. Se tutti gli Stati rispettassero gli impegni presi rischieremmo in ogni caso di vedere un aumento delle emissioni ancora troppo alto. Il pericolo è che aumentino ancora di più se queste raccomandazioni verranno ignorate, causando così conseguenze gravissime per noi e per il nostro pianeta. Un meccanismo sanzionatorio efficace sarebbe di grande aiuto: in questo senso, la lettera che Greta Thumberg e altre ragazze hanno scritto a luglio ai politici europei contiene anche la richiesta di rendere l’ecocidio un crimine internazionale. Anche l’aggiunta di misure come la Carbon Tax sarebbe fondamentale per favorire la transizione, ma forse sarebbe ancora troppo poco».
Sicuramente. Noi come giovani chiediamo ai politici e a chi ha incarichi di responsabilità di agire e ascoltare gli esperti. Non pretendiamo di avere risposte o dir loro cosa fare. Vogliamo far notare che c’è un problema che non riguarda solo clima e ambiente, ma anche la società. È un tema strutturale: chi è stato scelto per rappresentarci deve muoversi per difendere tutti. Va detto che ci ascoltano molto e cercano sempre il dialogo, però sembra quasi vogliano da noi delle soluzioni. La nostra età non ci permette di dare loro la formula magica. Possiamo però evidenziare che c’è un problema, e quando c’è un problema come questo non si deve perder tempo in chiacchiere: si agisce e si cerca insieme una soluzione, collaborando.
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