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Spettacolo

Quel paraculo di Lundini

Published by
Paolo Cannazza

Una cosa certa del panorama culturale e politico in Italia è l’adagio gattopardesco: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi» . Citazione sempreverde: è bene o male applicabile con una sufficiente approssimazione anche all’analisi di un comico in ascesa della seconda serata di Rai 2. Perché Lundini farà anche pezze di moderato successo, ma il gioco umoristico del nostro è, per motivi che più avanti verranno spiegati, un potpourri dal gusto postmoderno, un insieme di citazioni e riferimenti espliciti, per farsi alla fine dire anche basato (che poi, basato su cosa? Verrà spiegato qui sotto). 

All’inizio fu Arbore

Foto: l’immarcescibile Renzo Arbore.

La TV italiana come la conosciamo ora, soprattutto nella fascia oraria occupata dal Lundini, è una creazione dei potenti fianchi foggiani di Renzo Arbore, il vero primo motore immobile di questo specifico sottogenere lolrandom da tardanotte della televisione italiana.           

Gli elementi di questo sottogenere televisivo sono spesso la presenza di sketch prenditempo preregistrati di contorno, ma il cuore è l’indeterminatezza della trasmissione, la sensazione di casualità e improvvisazione, il brivido dell’avanspettacolo che riempie gli spazi tra le battute dei partecipanti (Nino Frassica è una figura chiave di questo tipo di comicità). Poca è la scrittura e si lascia alla bravura dei partecipanti la difficile occupazione di far ridere, servono comici di razza, non interpreti. Non si recita, più che altro si prende il canovaccio e ogni notte si naviga a vista.

La vista in questione è quella dei comici stessi, che devono essere bravi a dosarsi e farsi da spalla a vicenda (Arbore è sempre stato una spalla eccezionale). Ed è il già citato Nino Frassica la chiave di lettura principale del lundinismo. Nella sua intervista pre-esiste una certa chimica tra i due e si inscena una specie di passaggio del testimone ideale tra il nuovo nonsense e quello vecchio, lo shitposting originario e quello contemporaneo.

Come non parlare poi di Lillo e Greg, entrambi pilastri della comicità nonsense romana e leoni da seconda serata. I vari sketch del duo, le interviste assurde per gli ospiti ignari del gioco.

Quella sensazione, assente in Frassica, di realismo esasperato dato da una satira sociale non profonda, ma presente e che capisce la realtà sociale in cui è calata. Manca praticamente solo Pippo Franco nel parterre delle citazioni lundiniane, ma non Guzzanti, di cui si sente quell’amarezza e quella spietatezza intellettuale, un gusto per l’estremo e il metatelevisivo (osservabile quest’ultimo soprattutto negli sketch preregistrati).

Postmoderno, cultura internet e specchietti per le allodole

Qui rappresentato Sam Hyde. Figura di spicco della comicità americana underground, trumpiano di ferro. Famoso per i suoi sketch politicamente scorretti.

L’esplosione di Lundini è però particolare perché colpisce anche fasce che non guardano la TV. Giovani adulti e adulti drogati di meme, cultura del web e shitposting si fiondano sui contenuti della Pezza. Insospettabili shitposter condividono lodi sperticate dell’umorismo “fine” e “innovativo” del nostro, che svecchia quel catorcio che identificano nella Rai. Si intuisce anche il perché: Lundini ha una patina di ironia che fa ridere i giovani distanti dalla comicità classica dei vari Bagaglino, Drive In, Zelig, Colorado.

Impera nel programma non una risata, diciamo così, di primo livello, ma una risata su una risata mancata. Fa ridere non ciò che fa ridere, ma ciò che non dovrebbe farlo, uno strato sopra l’altro.

È qui la vera bravura di Lundini, un mimetismo strisciante che gli permette di confondere i registri. C’è chi vede lo shitposter e chi ci vede Arbore e Boncompagni, un colpo di sintesi per nulla male. Diviene chiara adesso l’iniziale citazione al Gattopardo: siamo il Paese dei gattopardi e ogni nostra produzione “innovativa” lo dimostra. Come una macchina vecchia cent’anni a cui non è mai stato cambiato l’olio, la vera sorpresa è che funzioni.

Perché Lundini funziona?

Fa ridere e fa dimenticare le sue palesi citazioni, il suo stile comico di cui non nasconde le ispirazioni e gli stilemi scopiazzati da altri (italiani o stranieri, c’è di certo una punta di Eric André e perfino di Sam Hyde, seppur non individuabile al grande pubblico). È giusto sia così dopotutto, il postmodernismo televisivo e cinematografico (Tarantino) è uno scontro non per forza omogeneo di concetti rubati e riadattati alla bene e meglio, che a volte cozzano e a volte lavorano all’unisono.

È da ciò che nasce l’umorismo lundiniano: un immenso marchingegno multiforme e cangiante in cui miliardi di citazioni, dirette e indirette, si mescolano e si confondono creando nello scontro e nel rimescolarsi forme nuove di espressione. Un attimo prima è Funari, l’attimo dopo Letterman e così via.

In ultima analisi, guardate le Pezza

Lundini è bello e bravo, fa ridere, è il suo momento. Le sue interviste sono incredibilmente divertenti, e con ogni probabilità potremo vederlo entro cinque anni sul palcoscenico di Sanremo a prendere gentilmente per i fondelli il plastico presentatore di turno.

La critica è piuttosto rivolta agli spettatori più ingenui e pretenziosi provenienti dal web. Ignari del sostrato comico italiano decantano il bislacco mondo in cui solo gli americani sanno far ridere. Nella loro placida ignoranza, non riescono ad accogliere la profondità culturale e il raffinato gioco di citazioni del lundinismo. 

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Paolo Cannazza

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