Le recenti elezioni americane di questo martoriato 2020 hanno segnalato, al di là dell’effettivo vincitore, una consistente predisposizione alla buona informazione. Nei giorni durante i quali si è votato, infatti, molte sono state le bufale scoperte e decostruite da chi ha osservato con la lente d’ingrandimento ogni situazione riguardante il voto. Non solo il pennarello e i presunti voti illegali ma anche tanti piccoli esempi. Il più grande, invece, sicuramente lo stop televisivo dato alle parole di un Trump ormai politicamente morente e senza argomenti, mentre si accingeva ad arrampicarsi sugli specchi per giustificare una sconfitta che – seppur in un clima di equilibrio forse inatteso – era quasi telefonata. Proprio durante l’ultimo discorso del Presidente numero 45 della storia degli Stati Uniti, i media americani hanno preso una posizione chiara e dura come quasi mai accaduto prima d’ora.
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C’è un’enorme differenza tra fare informazione e fare giornalismo
Non solo i social, quindi. Ora anche le televisioni, che siano “di parte” o meno, sbugiardano Trump e le sue fake news. Un grande insegnamento, per chi osserva ora e per i posteri. Perché, anche se spesso ce ne si dimentica, c’è un’enorme differenza tra fare informazione e fare giornalismo. Una differenza che a volte (va ammesso) è sottile. Ma che in altre occasioni invece rappresenta una voragine. Da una parte, essere un mezzo, uno spazio, una piattaforma. Dall’altra, azionare il motore, costruire una casa, allenarsi fino a primeggiare.
Un atteggiamento, per esempio, che moltissimi dei colleghi italiani che si occupano di tv e radio non sembrano in grado di portare a termine. Interviste senza contraddittorio, dichiarazioni senza fondamenta ma non sbugiardate, addirittura in molti casi domande specifiche vietate. In altri, invece, il coraggio per farle è latitante. Il giornalista non dev’essere un reggimicrofono ma, al contrario, deve avere il coltello dalla parte del manico. A questo ruolo spettano la correttenza e l’esigenza di chiarimento, così come la professionalità. Dare una notizia è arte per tutti, darla correttamente e facendola comprendere attraverso i fatti è, al contrario (e purtroppo), una dote di pochi.
Nel nostro Paese, come in altri, sfortunatamente non c’è né voglia né “protezione” per fare il giornalista come si deve. Quando invece, di fronte alla voglia di mentire e, in generale, dinanzi a chi non dice la verità, un giornalista non ha solo la possibilità ma pure l’obbligo di prendere una posizione, per quanto dura possa essere, per sottolineare un evidente errore. Questa è l’era dei titoli clickbait, delle notizie accennate e di quelle filopartitiche. E paradossalmente, in questi tempi moderni, la chimera più grande è proprio spiegare come una cosa è davvero. E non come qualcuno vorrebbe che fosse.
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