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Spettacolo

Il processo ai Chicago 7: una vicenda degli anni Sessanta per parlare della società attuale

Published by
Paola Panciroli

Il processo ai Chicago 7 (The Trial of the Chicago 7) è un film scritto e diretto da Aaron Sorkin. È distribuito su Netflix a partire dal 16 ottobre 2020.

La pellicola era in gestazione fin dal 2006. All’epoca Steven Spielberg incontrò Aaron Sorkin per commissionargli una sceneggiatura dedicata alla discussa vicenda dei Chicago 7. Il progetto, tuttavia, è rimasto in sospeso per quattordici anni. Ciò a causa dello sciopero del 2007 della WGA (il sindacato americano degli sceneggiatori), poi per altri impegni presi dal regista originario. Il film è stato ufficialmente annunciato nel 2018 con Sorkin alla regia, incoraggiato da Spielberg dopo il positivo debutto in Molly’s Game nel 2017. Pensato da Steven Spielberg per uscire prima delle elezioni americane del 2008, che videro la contrapposizione tra Barack Obama e John McCain, Il processo ai Chicago 7 è in realtà uscito due settimane prima delle ultime elezioni, che hanno visto come sfidanti Joe Biden e Donald Trump.

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Il processo nella storia: gli anni Sessanta e i movimenti di protesta

La pellicola si basa su fatti realmente accaduti. Il periodo è quello dei turbolenti anni Sessanta, caratterizzati da contestazioni studentesche, da movimenti di piazza per i diritti civili degli afroamericani e delle donne,  ma anche da avvenimenti traumatici come la guerra del Vietnam e gli omicidi di Martin Luther King e J.F. Kennedy. In questo scenario politico e sociale, si colloca la vicenda dei Chicago 7.

Locandina in lingua inglese del film.

Tra il 26 e il 29 agosto del 1968, durante il congresso dei democratici di Chicago, si riunirono diverse migliaia di manifestanti per protestare contro le inutili morti provocate dalla Guerra del Vietnam. La polizia, armata di gas lacrimogeni e manganelli, cercò di far rispettare il coprifuoco delle 23.00 nei parchi della città, dove molti giovani si erano accampati, e affrontò i manifestanti in marcia nelle strade. Gli scontri violenti che seguirono furono fotografati e trasmessi in diretta tv. In seguito, gli otto leader della protesta furono accusati di istigazione alla sommossa e di cospirazione.

Il processo ebbe inizio il 24 settembre 1969 e terminò cinque mesi dopo, il 18 febbraio 1970. Gli imputati erano Abbie Hoffmann e Jerry Rubin, fondatori del movimento hippy, Tom Hayden, a capo degli Studenti per una Società Democratica, David Dillinger e Ranny Davis, del Comitato Nazionale di mobilitazione per porre fine alla guerra in Vietnam, Bobby Seale, leader del movimento rivoluzionario afroamericano delle Pantere Nere, John Froines e Lee Weiner, figure marginali all’interno della manifestazione. Il gruppo è noto anche come Chicago Eight, poiché per un certo periodo Bobby Seale fu accusato e mandato a processo insieme agli altri imputati. La vicenda è diventata centrale nella cultura di massa, raccontata da numerose canzoni e docu-film, oltre ad aver assunto lo status di simbolo all’interno del movimento pacifista.

Il film: tra ricostruzione cinematografica e realtà

Ne Il processo ai Chicago 7 Sorkin narra quanto realmente accaduto, attraverso ricostruzioni cinematografiche e fonti originali, come fotografie e filmati d’archivio. Alcune vicende apparentemente istrioniche sono del tutto radicate nei fatti. Non a caso, nel corso del processo reale, gli imputati affermarono più volte di sentirsi in una sorta di teatro e di assistere a un grande spettacolo. Per esempio, il giudice distrettuale Julius Hoffmann ordinò davvero che Bobby Seale fosse legato e imbavagliato nell’aula di tribunale.

Bobby Seale ritratto dal disegnatore Franklin McMahon durante il processo.

Allo stesso modo, accadde davvero che i due imputati del movimento hippy si presentassero in aula con indosso abiti giudiziari. Quando li tolsero per ordine del giudice, avevano sotto le uniformi della polizia di Chicago. Vere furono inoltre le numerose accuse di oltraggio alla corte che il giudice rivolse agli imputati e al loro avvocato William Kunstler. Nel film, Sorkin riesce nell’intento di rendere chiara e definita la personalità di ogni protagonista. In particolare, spiccano le figure di Abbie Hoffmann, interpretato da Sacha Baron Cohen, e di Tom Hayden, interpretato da Eddie Redmayne. Questi rappresentano due diversi modi di interpretare la protesta. L’uno, esponente della controcultura giovanile, con i capelli lunghi e gli abiti stravaganti, si confronta e si scontra con l’autorità servendosi di un atteggiamento irrisorio e, a tratti, offensivo. L’altro, educato e ben vestito, cerca il dialogo con l’autorità, per ottenere rispetto, autorevolezza ed evitare così la prigione.

Un film che racconta la società americana attuale

In un’intervista sul suo ultimo progetto Sorkin ha dichiarato: «Non ho mai voluto che il film fosse un esercizio di nostalgia o una lezione di storia. Volevo che riguardasse l’oggi. Ma non potevo immaginare che l’oggi fosse così simile al 1968».

Le parole del regista fanno riferimento alle numerose proteste pacifiche del movimento Black Lives Matter contro l’abuso di potere della polizia e contro il razzismo, sorte in seguito all’assassinio di George Floyd avvenuto il 25 maggio 2020. Fanno anche riferimento, però, alla demonizzazione dei manifestanti da parte di Donald Trump e al suo slogan law and order, molto simili all’atteggiamento adottato da Nixon alla fine degli anni Sessanta. Infatti, solo in seguito alla vittoria di Richard Nixon, nel gennaio del 1969, si avviò il processo contro i Chicago Seven. Inizialmente scongiurato dal procuratore generale Ramsey Clark, consapevole delle responsabilità della polizia nel provocare gli scontri violenti, fu il suo successore John Mitchell ad avviarlo.

In sostanza, per quanto ambientato negli anni 1968 e 1969, il film di Sorkin racconta molto della società americana attuale, delle sue polarizzazioni e dei suoi problemi (disuguaglianze sociali, razzismo, abuso  di potere da parte delle forze dell’ordine). A partire dalla vicenda del processo, però, si possono trarre alcune riflessioni più generali sul ruolo che i movimenti di protesta hanno avuto nel modificare il corso della storia. Yahya Abdul-Mateen II, interprete nel film del leader delle Pantere Nere, ha infatti affermato durante una marcia di protesta di Black Lives Matter, a cui stava partecipando in prima persona: «Ognuno di noi ha un ruolo nella rivoluzione. Il film mostra questo».

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Paola Panciroli

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