Schiaffeggiandomi rido, di Walter Scarpi, adotta il proprio titolo come chiusa, ripiegandosi a cerchio come le donne di cui parla. Pubblicato a giugno 2020 per AUGH! Edizioni, il romanzo segue un’altra pubblicazione dell’autore, La danza delle dita (anche qui AUGH! Edizioni, 2019).
Walter Scarpi, classe 1970, appare come un autore poliedrico. Leggiamo dalla sua presentazione l’idea di Esalogo, ipertesto cubico cartaceo, contributi in volumi, blog, riviste ma anche installazioni di arte contemporanea. Il romanzo sembra essere il momento del respiro e dell’autonarrazione, e sceglie proprio la forma diario per svolgersi e dipanarsi.
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«Adesso è notte. Piove. Sono a casa. Mentre Vittoria dorme riempio un’altra pagina di questo diario elettronico lontano da lei».
Schiaffeggiandomi rido procede in forma diaristica e digitale, in ossequio alla dura realtà moderna. Il protagonista dell’intreccio, nonché suo narratore, è Antonio Sottili. Un libraio di mezza età con una moglie in menopausa e una studentessa in libreria, che guarda il mondo con occhi disincantati e ironici, a volte illusi di avere ancora il romanticismo e la spiritualità dei vent’anni. La presenza di Antonio nella narrazione è pervasiva, guida con sicurezza il lettore nei labirinti della sua vita. Ogni cosa è colorata di Antonio, con un ego ben presente e riflessioni autoreferenziali che fungono da pausa nel frenetico intreccio degli eventi.
Le donne di Antonio sono Vittoria, la bella moglie, Eugenia Marelli, la bella signora sfiorita, e Giorgia, la bella studentessa che frequenta la Libreria dell’Amento per usarla come caso studio in un corso universitario. Nella cornice di Firenze Antonio accarezza questi personaggi come animali esotici, oggetti da guardare e forse toccare, salvo poi abbandonarsi a dimostrazioni erotiche quasi plateali e invocate dal suo corpus iuris interiore. Le figure femminili hanno un ruolo in funzione del protagonista, che le vede quasi in modo archetipico (si vedano frequenti riferimenti alla donna come origine du monde) e costruisce un sistema simbolico della donna rappresentato dalla ripetizione regolare della «domanda»:
«La domanda è la solita. Mi hanno risposto no, oppure sì. Una sola mi ha detto: sì, e sarà per sempre».
Oppure «sì, ma non ancora»; «sì, ma è troppo tardi».
È il rapporto uomo-donna che il romanzo sonda in profondità attraverso gli occhi di Antonio: una danza, un conflitto spesso affrontato in modo (ahinoi!) superficiale. Come si diceva sopra, l’ego di Antonio è spesso opprimente, e sembra voler camuffare con l’ironia convinzioni che ha davvero: donne che pendono dalle sue labbra, che gli ruotano attorno, che giostra sulle proprie dita tenendole in pugno. Idee stemperate dal tono leggero, dal profilo basso, ma che purtroppo applicate a situazioni reali filtrano attraverso le maglie strette del romanzo.
Il valore del tradimento è nebuloso, quasi adattato alla situazione e vagamente romanticizzato; genera però interessanti riflessioni sulla distanza tra istinti carnali e amore intellettuale, una distanza che nel finale Antonio sembra abbracciare in un misto di serenità, eccitazione e rassegnazione. Schiaffeggiandomi rido, a uno specchio, accettando il gioco della studentessa tentatrice, ancora convinto che la moglie racchiuda in sé tutte le donne della sua vita: due amori differenti, forse possibili conviventi? La poesia dell’inganno sta nel suo significato di tentazione, e quindi di attesa: che qui sembra proprio il vero piacere, aspettando qualcosa che al primo tocco morirebbe come un piccolo insetto.
La caratterizzazione dei personaggi è ben costruita, pur attraverso gli occhi del protagonista; a tratti si hanno comportamenti poco realistici, forse figli della narrazione impetuosa, ma tutto sommato si avverte uno sguardo di realtà ampio e pittoresco. L’unico neo è il personaggio Giorgia: viene presentata come studentessa ventiduenne, in pieno impegno universitario, ma i suoi comportamenti spesso portano il lettore a identificarla piuttosto come un’adolescente. Forse effetto voluto, si accenna del resto a fragilità e problemi in famiglia della ragazza, che però rischiano di sembrare solamente un espediente ambiguo in funzione dell’intreccio. Le altre figure danno colore al romanzo e ne aiutano la costruzione, attraverso ricordi, riflessioni e piccoli dialoghi.
Gli eventi si concatenano in modo quasi surreale, a mostrare forse la situazione in cui si trova il povero libraio tormentato; la persona giusta, il momento sbagliato, in contesti poetici che sembrerebbero perfetti per un film d’autore. Certo, siamo in una finzione letteraria, ma a tratti il crudo realismo iniziale si conclude in situazioni stereotipate, quasi da romanzo rosa. I momenti di più forte erotismo sembrano sprecare la tensione iniziale in situazioni al limite del patetismo, in cui si riconoscono schemi visti più volte in trame di questo genere: la fanciulla tentatrice, l’uomo animalesco, la moglie isterica che ogni tanto si schiude.
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I vari registri di linguaggio aiutano a dipingere la Firenze da sfondo e rispecchiano la vita quotidiana del sistema dei personaggi, rendendo il romanzo scorrevole e molto piacevole. In questo aiuta certamente la forma diario, per natura semplice e immediata, ma si comprende una scelta del genere vista la centralità del protagonista. La rappresentazione del paesaggio e delle interazioni con la vita cittadina è vivace e offre bellissimi scorci di quotidianità.
In conclusione, Schiaffeggiandomi rido è un testo forte: tocca temi universali all’interno del conflitto amoroso, e riesce a pungere nel vivo gran parte del suo pubblico letterario, questo è certo. Può dare impressioni radicalmente opposte in base al trascorso di vita del suo lettore, e questo perché ha una modalità narrativa decisa e ben definita: chi legge potrà interpretarla bianca o nera, mai grigia. Il reggiseno di Giorgia non parlerà mai allo stesso modo a tutti, e crediamo questo sia un valore irrinunciabile della letteratura. Si spera comunque un’evoluzione in senso innovativo della scrittura di Scarpi, magari con un affrancamento da schemi letterari un poco stantii.
«Ho appena ripreso il gioco dell’attesa. La domanda è la solita. E schiaffeggiandomi rido».
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