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Sport

Il trash talking nell’NBA

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Marco Baccega

In qualsiasi disciplina sportiva, soprattutto a livello professionistico, la concentrazione e il giusto stato mentale sono importanti quanto la tecnica e la preparazione fisica. D’altro canto, mentre un avversario non può direttamente intaccare la qualità tecnica o fisica di un giocatore, può sicuramente fare in modo di fargli perdere la concentrazione o innervosirlo in diversi modi. Una delle maniere più famose (ed efficaci) per sconcentrare un avversario è sicuramente il trash talking. Il trash talking consiste nell’abusare verbalmente in maniera mirata di un avversario per creare una pressione psicologica atta a peggiorarne le prestazioni in campo. È molto usato in NBA, anche se nella storia recente si è vista una regolamentazione di questa pratica che viene ora punita in maniera più frequente, limitandone l’uso durante le partite.

Un po’ di contesto

Muhammad Ali, oltre a essere considerato tra i più forti pugili di sempre, è stato il primo sportivo professionista a usare in maniera sistematica il trash talking sia dentro che fuori dal ring. Durante la sua carriera, Ali ha addirittura inciso un album (I am the Greatest) i cui brani sono recitazioni comiche di alcune linee di trash talks da lui scritte. Sebbene il trash talking sia un fenomeno più diffuso negli sport professionistici nordamericani, alcuni esempi si possono trovare in virtualmente qualsiasi disciplina sportiva. In Italia, dove il calcio è lo sport di gran lunga più seguito, l’esempio di trash talking più conosciuto è sicuramente quello avvenuto durante la finale dei campionati mondiali del 2006. In quell’occasione, Materazzi ha insultato la sorella di Zidane innervosendolo al punto di provocare una reazione fisica (la famosa testata) che ha portato alla sua espulsione, influenzando pesantemente il risultato della partita.

Trash talking: quanto è efficace?

Ma qual è l’effettiva efficacia del trash talking? Uno studio condotto dalle università di Georgetown e Pennsylvania ha riscontrato che, in generale, i soggetti che subiscono trash talking tendono a “nemicizzare” l’avversario più del normale. Sono quindi motivati a mettere più impegno nella loro attività e arrivano anche a imbrogliare pur di vincere. D’altro canto però, chi subisce trash talking tende anche ad avere risultati peggiori in attività di collaborazione e creatività. Lo studio insomma rivela che praticando trash talking si rischia un risultato controproducente, dando più motivazioni all’avversario. Risulta anche che la pressione aggiuntiva tende a danneggiare lo spirito collaborativo, andando quindi a danneggiare il gioco di squadra.

Da un lato, il trash talking è una pratica irregolare che denota una scarsa sportività. Dall’altro, anche tenendo in conto lo studio sopracitato, gli individui che riescono a crearsi un vantaggio tramite questa pratica, sono spesso lodati per i loro sforzi: soprattutto nell’ambiente NBA, vengono spesso presi come esempio per riuscire a entrare nella testa dell’avversario. La credibilità di un trash talker è poi data dal poter permettersi di essere arrogante contro i suoi avversari. Per questo motivo, i trash talker più famosi sono spesso Hall of famers, e la quasi totalità proviene dall’NBA dagli anni Ottanta e Novanta. Oltre agli esempi sottocitati, tra i più famosi trash talker si annotano: Kobe Bryant, Shaquille O’Neal, Rasheed Wallace, Reggie Miller, Gary Payton, Charles Barkley e Dennis Rodman.

Leggi anche: L’evoluzione dell’agonismo in NBA.

Michael Jordan

Considerato da quasi tutti il GOAT (greatest of all time,il più grande di tutti i tempi), MJ non si è mai tirato indietro dal confrontarsi verbalmente con i suoi avversari. Ci sono decine di aneddoti che raccontano come Jordan spesso descrivesse esattamente i movimenti che avrebbe fatto nell’azione successiva, per poi confermare il tutto senza che l’avversario potesse fare niente per fermarlo. In una partita contro Utah, dopo aver schiacciato in testa di Stockton (alto 1.85) MJ venne “ripreso” dal presidente della squadra avversaria, che gli gridò di prendersela con qualcuno della sua taglia. Nell’azione successiva MJ schiacciò in testa a Turpin (alto 2.11) chiedendo allo stesso presidente se quello fosse grande abbastanza.

Durante una partita di esibizione, poi, Reggie Miller (allora rookie) decise di fargli notare che a metà gara lui avesse segnato dieci punti contro i quattro di MJ. A fine partita, dopo aver ribaltato i punti segnati (44 per Jordan, 12 per Miller), Jordan disse a Reggie di non rivolgersi più così a «black Jesus».

Leggi anche: Il racconto dell’ultima stagione di MJ ai Bulls.

Kevin Garnett

In tempi più recenti, Kevin Garnett ha certamente fatto spesso parlare di se per il suo trash talking. Se quello di MJ era un trash talking più “tecnico” e finalizzato a dimostrare la sua dominanza sul campo da basket, KG ha spesso bullizzato i suoi avversari (e compagni di squadra) sul piano personale, molte volte anche passando la linea della decenza. Ad esempio, Garnett è famoso per aver fatto innervosire Carmelo Anthony alludendo ad essere andato a letto con quella che era da poco la sua ex moglie («Your wife tastes like Honey Nut Cheerios»). L’episodio finì con una piccola rissa.

In un’altra occasione KG rimproverò così duramente un suo compagno di squadra (Glen Davis), reo di una brutta prestazione, da farlo piangere durante un time-out. Ancora, Garnett si è reso protagonista di due episodi di cattivo gusto dopo aver augurato una buona festa della mamma a Tim Duncan (orfano di madre dall’età di quattordici anni) e aver chiamato Charlie Villanueva «malato di cancro» per essere affetto da alopecia universale.

Leggi anche: Garnett in versione attore conserva la sua aggressività.

Larry Bird

L’unico bianco tra i più riconosciuti trash talkers, ma probabilmente il più agguerito. Larry Bird non si è mai tirato indietro quando era tempo di parlare in campo e fuori. Famoso innanzitutto l’episodio dell’All Star Game del 1988, quando entrò nello spogliatoio e chiese: «Chi arriverà secondo?» prima della gara di tiro da 3 punti dove trionfò. In una partita contro i Sixers provocò una rissa dopo aver passato tutta la gara a fare sapere a Dr. J (non l’ultimo arrivato) il loro punteggio personale aggiornato a ogni azione (alla fine 42 a 6 per Bird).

In una partita nel giorno di Natale, dopo aver fatto sapere a Chuck Person (reo di averlo sminuito) di avere un regalo per lui, si girò verso di lui dopo aver tirato una tripla gridando un elegante: «Merry fucking Christmas» già sicuro che il pallone alle sue spalle stesse entrando. E infine varie volte, come Jordan, Larry faceva sapere agli avversari come li avrebbe battuti nell’azione successiva.

Il trash talking di Larry Bird

Il destino del trash talking

È opinione comune che nell’NBA degli ultimi dieci o quindici anni ci sia stato un declino nella quantità (e aggressività) del trash talking. Questo è stato voluto proprio dall’associazione, che ha cominciato a punire in maniera più sistematica il trash talking udibile dagli arbitri o dal pubblico. Anche i giocatori, però, hanno evoluto il loro trash talking con delle regole non scritte che cercano di seguire per non incappare nell’ira degli avversari.

Normalmente, ad esempio, il nuovo trash talking è meno mirato al lato personale. Molti giocatori, infatti, giustamente reagiscono in malo modo se le loro famiglie o il loro colore di pelle è parte dell’insulto avversario. Inoltre, il trash talking proveniente da giocatori infortunati o in panchina è mal visto, dato che questi non sono attivamente partecipi alla partita. Una regola che invece si è conservata è che per poter essere presi sul serio come trash talker bisogna avere uno status alto: essere dei buoni giocatori o per lo meno far parte attiva di una squadra vincente. Infine, un’altra differenza rispetto all’NBA di Bird e Jordan è la possibilità attuale di poter usare i social media per portare trash talking fuori dal terreno di gioco. E Joel Embiid è probabilmente l’esempio migliore di questo tipo di comportamento.

Il trash talking, insomma, è parte integrante dell’NBA e, come il gioco stesso, si sta evolvendo con il passare del tempo. Come spesso si sente dire, l’NBA degli anni Ottanta e Novanta era più fisica, e con essa anche il trash talking era molto più aggressivo e sistematico. Con l’inasprimento delle regole sui contatti fisici, ne è arrivato uno anche sul trash talking. Parallelamente, con un maggiore interesse dei giocatori alle questioni sociali è arrivata anche una rinnovata attenzione a non oltrepassare la linea nella controversa questione del trash talking. Nonostante la sua continua evoluzione, però, il trash talking non sembra destinato a sparire. Probabilmente accompagnerà l’NBA per lungo tempo, facendo divertire i fan e innervosire i giocatori.

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