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Spettacolo

Carlo Rovelli, Helgoland: la fisica dei quanti e la vertigine del mondo

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Andrea Borio

Nel 1835 il drammaturgo tedesco Georg Büchner (allora ventiduenne) scrisse La morte di Danton. Un dramma immenso e poderoso, storico e capitale: assoluto nel senso romantico del termine. L’azione è ambientata nei torbidi anni che seguono la Rivoluzione Francese, gli anni del Regime del Terrore e dei rigurgiti rivoluzionari. Da un lato Georges Jacques Danton, l’ala liberale e tollerante della rivoluzione. Dall’altro Maximilien Robespierre, la linea giacobina, oltranzista e intransigente. Lo scontro di due ideali universali, definitivi. Sullo sfondo: il popolo che si rivolta, freme, grida. Sul palco si alterna una miriade di personaggi e di voci, che sfilano in tumulto sulla scena di una Parigi feroce e sanguigna. È il brusio della lingua, della vita, che accompagna il capitolare degli eventi, che scorrono ineluttabili fino al loro tragico epilogo.

In una breve scena di transizione, due personaggi minori, camminando sul proscenio, parlano d’arte, di teatro. D’un tratto uno dei due si arresta, immobile davanti a una pozzanghera, bloccato dalla paura. Chiede aiuto all’amico: una mano, per favore, per superare l’ostacolo. L’altro lo guarda divertito e lo schernisce, ma non ne avrà sul serio paura? La risposta è impeccabile, ironica e vertiginosa: «Eh, la terra è una crosta sottile; penso sempre che ci potrei cadere dentro, dove c’è un buco del genere. Bisogna procedere con prudenza, si potrebbe sprofondare. Ma vada a teatro, glielo consiglio!». È più o meno questa la sensazione che si ha leggendo l’ultimo libro di Carlo Rovelli, Helgoland: che la terra sia una crosta sottile. E oltre la crosta? L’abisso, un meraviglioso abisso.

Carlo Rovelli, Helgoland: il mistero dei quanti

La copertina di Helgoland, da pochi mesi disponibile nel catalogo Adelphi.

Uscito da pochissimi mesi, l’ultimo libro di Carlo Rovelli, Helgoland, è il terzo pubblicato da Adelphi, dopo Sette brevi lezioni di fisica (2014) e L’ordine del tempo (2017). Tema guida del libro è la storia gloriosa e umbratile della teoria dei quanti, la più grande conquista della scienza moderna, e delle aporie che la attraversano. La fisica quantistica «è il cuore pulsante della scienza odierna. Eppure, resta profondamente misteriosa. Sottilmente inquietante» (p. 12). È la scelta scandalosa e quasi insopportabile di credere che la realtà sia una patina sottile, dietro alla quale si impone una casualità, un’assenza: una deriva. Einstein, commentando i risultati di Heisenberg e Schrödinger, si chiedeva sbalordito: «Davvero Dio gioca a dadi?».

Insomma, la meccanica quantistica è il rigore geometrico della scienza e l’altrettanto geometrica nitidezza di un’esperienza psichedelica; «ci chiede di rinunciare, in un modo o nell’altro, a qualcosa di quanto ci sembrava solido e inattaccabile nella nostra comprensione del mondo. Ci chiede di accettare che la realtà sia profondamente diversa da quanto immaginavamo» (p. 15). L’orizzonte di riferimenti e suggestioni che si diramano nel corso del testo è impressionante, a tratti labirintico. In questa storia sui generis, Rovelli ci incanta con una penna sottile e meticolosa. Una lingua chiara, precisa, adatta tanto agli appassionati quanto ai neofiti della materia; benché non scevra di cadute autoreferenziali, talvolta melense, e di un ritmo sintattico in certi punti scontato, nominale, abbagliante à la manière del Baricco più di maniera.

Ma una scrittura che sa tremare e farti tremare, che vibra sopra una profondità concettuale esorbitante e insondabile, e che in certi punti sembra aprirsi a una visione di verità, per poi ritrarsi nei suoi innumerevoli giri a vuoto. È emotivo il principale contenuto di verità dell’ultimo libro di Rovelli: va al di là delle teorie e delle formule. Ben oltre i limiti della comprensione c’è la passione del conoscere, la profonda gratuità di un amore che si dà agli abissi dell’esistenza senza richiedere in cambio nient’altro.

Leggi anche: Milan Kundera e il confine tra realtà e sogno.

L’Helgoland di Rovelli, l’isola dove nacque la teoria

Helgoland è un piccolo arcipelago tedesco nel Mare del Nord, il nome significa letteralmente “terra sacra”. Strategico presidio militare tedesco fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando, il 18 aprile 1947, la marina inglese fa brillare seimilasettecento tonnellate di dinamite, quel che resta delle scorte belliche tedesche presenti sull’isola. È la più grande esplosione di ordigni non atomici che si sia mai registrata sulla terra. Ventidue anni prima, nell’estate del 1925, un giovane fisico di ventitré anni, Werner Heisenberg, dopo ore di calcoli furiosi, nel cuore della notte esce di casa, e dopo essersi arrampicato su una scogliera lacerata sul mare sublime e impetuoso del Nord, guardando l’infinito distendersi oscuro fino al termine della notte, ha la visione che apre definitivamente uno «sguardo su uno dei più vertiginosi segreti della Natura che l’umanità abbia mai intravisto» (p. 21).

Qui nasce la meccanica quantistica. La prima parte del libro di Rovelli ruota attorno a questo momento iniziale. Oltre a Heisenberg, i protagonisti di questa teoria rivoluzionaria sono Niels Bohr, Wolfgang Pauli, Max Born, Pascual Jordan, Paul Dirac, Erwin Schrödinger. Fisici titanici, di cui Rovelli ripercorre le vicende con un gusto romanzesco fluviale e un’acribia filologica impeccabile. Il centro delle loro ricerche era l’atomo: il fondamento elementare della materia, i pezzi infinitesimali di cui è composta la realtà che ci circonda. Lo scopo che li muoveva era capire come funzionasse: in che modo si muovevano gli elettroni al suo interno?

Il “libro della natura”, che per Galileo era scritto in lingua matematica, dopo la meccanica quantistica sembra essere redatto in grammatiche sempre più indecifrabili: le nascoste grammatiche del cosmo. Le idee chiave che vengono elaborate in quegli anni sono tre: la teoria descrive solo quello che viene osservato; la teoria indica soltanto la probabilità di osservare una cosa; i fenomeni quantistici sono granulari (il che significa che, a un livello infinitesimale, lo spazio fisico non è uniforme e compatto). Questo apre una soglia, una frattura nella scienza moderna: «La teoria non ci dice dove si trovi una qualunque particella di materia quando non la guardiamo. Ci dice solo quale sia la probabilità di trovarla in un punto se la osserviamo. Ma cosa ne sa una particella di materia se osserviamo o no?» (p. 49).

Principio di indeterminazione e strutture relazionali

Werner Heisenberg.

Ora capiamo perché Einstein, sentendo i risultati di quelle ricerche, si domandasse se Dio stesse giocando a dadi. Il dubbio è legittimo, la teoria spezza i normali parametri con cui percepiamo e comprendiamo la realtà. Date le premesse della prima parte del libro, Rovelli continua descrivendo proprietà e fenomeni della meccanica quantistica. Tra questi, il primo a essere presentato è il fenomeno della “sovrapposizione quantistica”. Fenomeno che sembra uscito più da un manuale di magia che da un libro di fisica. I fenomeni atomici che la meccanica quantistica osserva e descrive «sono conseguenze sottili del fatto che una particella sia in un certo senso in più luoghi contemporaneamente» (p. 59).

In altre parole, l’osservazione del fenomeno definisce il fenomeno. È il celebre paradosso del gatto di Schrödinger: è vivo o è morto? O, per dirla con Rovelli, è sveglio o è addormentato? Il quadro si complica particolarmente, la fisica getta le sue sonde negli abissi della realtà, e cosa ne ricava? Una frizione, un’indeterminazione. La realtà sembra non essere come ci appare ogni giorno. Potrà sembrare, allora, l’ennesima riaffermazione di una prospettiva metafisica? Di quello stigma dualistico che almeno da Platone ci fa contrapporre a questo mondo di apparenze e di specchi, una realtà altra, altrove e più alta? Carlo Rovelli, in Helgoland, con una logica cristallina e paziente, quasi classica, mette in fuga questa possibilità.

Il centro del ragionamento di Rovelli è un relativismo pervasivo e virtuoso: nel senso che la realtà e la sua comprensione sono fondate su strutture relazionali. Dopo aver passato in rassegna le interpretazioni realiste (contrarie al principio di indeterminazione) della meccanica quantistica (universi multipli, variabili invisibile, fenomeni mai osservati), Rovelli arriva al nucleo del suo discorso. Stiamo parlando dell’interpretazione “relazionale” della teoria dei quanti, «l’idea che la teoria non descriva il modo in cui gli oggetti quantistici si manifestano a noi (o a speciali entità che “osservano”). Descrive come qualunque oggetto fisico si manifesti a qualunque altro oggetto fisico. Come qualunque oggetto fisico agisca su un qualunque altro oggetto fisico» (p. 84).

La realtà come interazione

La realtà, dunque, come un sistema di relazioni: «Il mondo che osserviamo è un continuo interagire. È una fitta rete di interazioni» (p. 84). Le proprietà delle cose esistono solo nei rapporti che queste hanno con l’ambiente che le circonda. Le conseguenze sono radicali: «Non ci sono proprietà al di fuori delle interazioni» (p. 88); «Le proprietà di un oggetto che sono reali rispetto a un secondo oggetto non lo sono necessariamente rispetto a un terzo» (p. 89). Questa idea di concepire la realtà come una struttura di relazioni ha il merito fondamentale di scalzare due posizioni epistemologiche classiche e obsolete: il materialismo ingenuo da un lato e l’idealismo esasperato dall’altro.

Non più un mondo di oggetti duri e immobili, che esistono a prescindere da chi li osserva. Né un mondo di oggetti evanescenti, che esistono soltanto nella mente di chi osserva. Ma un mondo lieve, tenue, fatto relazioni e accadimenti, di eventi che intercettano una trama sottile di interazioni. Certo, la terra è «una crosta sottile», come scriveva Büchner, e a tratti e in certi momenti sembra svaporare sotto ai nostri piedi. Ma è altrettanto vero che questo non accade: che nella vita di tutti i giorni, appoggiare il piede sopra una pozzanghera non significa sprofondare negli abissi aperti dalla meccanica quantistica.

L’affermazione di una verità prospettica e di una realtà contestuale non conducono a una deriva solipsistica, non negano l’ontologia della materia. Carlo Rovelli, in Helgolandsostituisce l’oggettività con l’intersoggettività: la rete di coscienze e conoscenze che, guardandosi e riconoscendosi, continuano a capirsi. I punti di vista non sono mai isolati, ma partecipano di un discorso che li ha già preceduti, continuano un dialogo che ancora li oltrepassa.

Oltre “la crosta sottile”: la vertigine degli abissi

Albert Einstein.

Il valore contestuale, pragmatico e – per usare un’espressione del filosofo americano Richard Rorty – “antifondazionalista” della nostra conoscenza sul mondo a cui arriva Carlo Rovelli in Helgoland ci porta a una ridefinizione delle fondamenta della scienza. In questo senso il pensiero di Rovelli sembra in linea con le posizioni del fisico ed epistemologo statunitense Thomas Kuhn, che nel 1970 scrisse il testo capitale La struttura delle rivoluzioni scientificheTesto dove compaiono concetti cardinali della scienza e della filosofia contemporanea (come “paradigma” e “comunità scientifica”). L’idea comune ai due è quella di considerare il pensiero scientifico, per dirla con Rovelli, come «un pensiero in movimento continuo, la cui forza è proprio la capacità di rimettere sempre in discussione ogni cosa e ripartire, di non aver paura di sovvertire un ordine del mondo per cercarne uno più efficace, e poi rimettere ancora tutto in discussione, sovvertire tutto di nuovo» (p. 82).

Ma oltre la trama delle relazioni che cosa rimane? Rovelli risponde citando il pensiero di un monaco buddhista indiano vissuto a cavallo tra il II e il III secolo d. C.: Nāgārjuna. Secondo Nāgārjuna, tutto esiste soltanto in relazione a qualcos’altro. Prese da sole, le cose (gli uomini) sono “vuote”. Concepita in questo modo, «la realtà ultima, l’essenza, è assenza, vacuità. Non c’è» (p. 152). È l’abisso che si spalanca davanti alla pozzanghera che precede i nostri piedi: una vertigine che ci affascina e ci perturba allo stesso tempo. E come scriveva Nietzsche in un aforisma di Al di là del bene e del male, «se scruterai a lungo nell’abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te».

La meccanica quantistica è la più importante conquista della scienza moderna. «Ha chiarito le basi della chimica, il funzionamento degli atomi, dei solidi, dei plasmi, il colore del cielo, i neuroni del nostro cervello, la dinamica delle stelle, l’origine delle galassie… mille aspetti del mondo. È alla base delle tecnologie più recenti: dai computer alle centrali nucleari. Ingegneri, astrofisici, cosmologi, chimici e biologi la usano quotidianamente». (p. 12). Eppure, continua a rimanere un mistero: il canto di una sibilla agli angoli della notte. L’antropologo inglese James Frazer, ne Il ramo d’oro, si domandava: «Quale colore avrà la ragnatela che il fato sta ora intrecciando sul telaio del tempo? Sarà bianca o rossa? Non lo sappiamo. Una pallida, tremante luce illumina le parti già ordite. Il resto è avvolto nell’oscurità, nella nebbia».

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