Augh! Edizioni pubblica, nella collana Khorakhanè, Mi hanno rapito gli zingari, opera prima di Cristhian Scorrano e Marina Pirulli. Il primo è forse più noto per il progetto Nomad Chef – Wandering Restaurant, che porta in giro per il mondo una cucina vegetariana dalle forti influenze italiane e balcaniche. La seconda, invece, è traduttrice e operatrice olistica.
In questo romanzo, che unisce finzione e autobiografia, seguiamo la vicenda realmente accaduta di Luigi, giovane italiano dalle ambizioni letterarie che, sulla strada per la Grecia, finisce in un fosso nei pressi di Shutka (Macedonia), sobborgo di Skopje in cui vive la comunità rom più grande al mondo. Qui, giorno dopo giorno, i primi pregiudizi del protagonista e narratore lasciano il posto a una visione globale e a una conoscenza più approfondita del popolo rom.
Il termine “zingaro” è, come sappiamo dispregiativo e inesatto. Sarebbe più corretto infatti dire zigano o gitano per indicare le popolazioni rom e sinti che vivono nomadi e apolidi nell’est Europa. Un’endiadi forzata e tecnicamente imprecisa, questa, in nome del politically correct, ma se non altro inoffensiva. La difficoltà stessa nel definire questo popolo sottolinea l’ignoranza generale rispetto ai suoi usi e costumi, superficialità rappresentata da una serie di stereotipi razzisti. Lo zingaro vive nelle roulotte con la sua numerosa famiglia, in condizioni di scarsa igiene e con una istruzione quasi inesistente. Ruba, rapisce i bambini al mercato e non lavora onestamente. Infine, non ama mescolarsi con gli stranieri e non ha interesse alcuno nello scambio culturale, semmai il contrario.
Il titolo del libro richiama in modo provocatorio una serie di pregiudizi e credenze sbagliate che abbiamo del popolo romanés. Il narratore si fa, in maniera del tutto onesta e sincera, portavoce di questa ignoranza, perché così i bambini italiani sono cresciuti e questo hanno sempre saputo dei gitani anche quando vengono da famiglie dichiaratamente antirazziste. Mi hanno rapito gli zingari, tuttavia, sin dalle prime pagine mostra l’ironia dell’autore che vuole dimostrare il contrario: una famiglia rom non lo rapisce, bensì vuole solo aiutarlo con la macchina in panne e lo requisisce in casa per bere il caffè.
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Il romanzo parte da una situazione critica e potenzialmente pericolosa per distruggere il pregiudizio riga per riga, dimostrando cosa c’è dietro ogni gesto di questa comunità incompresa. Troviamo infatti un forte senso dell’ospitalità, la solidarietà, il mutuo aiuto, l’abitudine di stare insieme, ma anche la povertà, la convivenza in spazi ristretti che mostrano ancora i segni delle guerre dei Balcani, la micro-criminalità, lo spaccio e la prostituzione.
Luigi viene letteralmente catapultato in un mondo che, secondo la sua educazione italiana ed eurocentrica, dovrebbe essere da disprezzare. Invece, scopre vizi e virtù di un popolo come gli altri e coglie l’occasione per scoprire cosa significhi vivere in un mondo globalizzato. Diventa un vero couchsurfer, ospitando sconosciuti da tutto il mondo e facendoli dormire sul divano. Poi, partecipa a convegni e workshop incentrati sul rapporto tra popoli europei per abbattere stereotipi e pregiudizi. Nelle avventure di Luigi, scopriamo quindi che le etichette spesso servono proprio come punto di partenza per affrontare l’altro, purché si superino. E questo non è facile e non tutti lo vogliono fare.
Cristhian Scorrano e Marina Pirulli hanno curato un libro di indubbio valore per mettere alla prova i benpensanti e sfidare i lettore a trovare anche i pregiudizi più reconditi verso il popolo rom. L’intento è chiaramente di rivedere quanto crediamo di sapere riguardo quelli che chiamiamo in modo superficiale zingari, giocando con l’ironia e con il punto di vista di un giovane ambizioso che parte per un viaggio verso la culla della cultura. Trova invece l’amore, una nuova famiglia, una nuova cultura a cui appartenere. L’impressione è che l’Europa non sia quel che vediamo nelle gite scolastiche o al telegiornale, ma sia nei fatti uno stato mentale che ancora in molti devono incontrare.
Forse perché si tratta di un esordio, la scrittura risente degli eccessivi commenti del narratore. Risulta spesso troppo ingenua e semplicistica, rischiando di rafforzare gli stereotipi al posto di indebolirli. La lettura, tuttavia, è scorrevole e, se si ha alle spalle un’esperienza all’estero, è facile immedesimarsi nel protagonista.
È quindi una lettura consigliata, soprattutto se non si hanno dubbi sul proprio antirazzismo e sulla propria apertura mentale. Perché è facile dire di non avere pregiudizi quando non si è consci di cosa voglia dire essere l’altro. E siamo tutti disposti a conoscerlo?
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