Coppa del mondo di sci: al via la 55° edizione
In attesa di sapere come si risolverà il serrato botta e risposta tra governo e regioni italiane riguardo alle sorti degli impianti italiani nell’imminente stagione invernale, gli appassionati di sci alpino sono tornati sulle nevi europee grazie all’inizio della cinquantacinquesima edizione della Coppa del mondo.
Un’edizione che inevitabilmente deve confrontarsi con le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, ma che con il giusto grado di cautela ambisce a riportare nelle case dei tifosi il grande spettacolo del Circo Bianco.
Nonostante il Covid, la passata stagione si preannunciava oltremodo entusiasmante per più di una ragione, sia in ambito femminile (dove per la prima volta la nazionale italiana si presenta con la detentrice della coppa del mondo generale in carica, dopo il successo di Federica Brignone nel 2019/2020), sia in ambito maschile. Aspettative confermate nelle gare d’esordio, lo scorso 17 e 18 ottobre, sul ghiacciato Rettenbach di Sölden (Austria), e con i due slalom femminili di Levi, in Lapponia. Senza una pretesa di totale esaustività nei confronti di chi in questa sede viene per la prima volta introdotto al mondo dello sci alpino agonistico, si cercherà di fornire una riflessione sullo stato attuale di questa affascinante disciplina e sui suoi motivi di interesse.
Valanga Rosa
No, non ci stiamo riferendo al nome attribuito al gruppo di atlete italiane che nella seconda metà degli anni Settanta riuscì a imporsi all’attenzione internazionale in questo sport. O meglio, non solamente. Perché se i risultati di Maria Rosa Quario, Daniela Zini e compagne sono tutt’oggi degni di nota, il termine “Valanga Rosa” è spesso utilizzato dai giornalisti sportivi contemporanei per riferirsi ai trionfi recenti di atlete come la già citata Federica Brignone (figlia di Quario), la campionessa olimpica Sofia Goggia e l’ex astro nascente (ormai solida realtà) Marta Bassino. Un trio meraviglioso che nelle recenti stagioni ha occupato i vertici delle classifiche di diverse specialità dello sci alpino, fino all’epocale trionfo di Brignone nella scorsa annata.
Federica Brignone
Partiamo proprio da quest’ultima, figlia d’arte classe 1990 ed esordiente nel massimo circuito internazionale a soli quindici anni, con un’eredità quasi opprimente sulle spalle. Una pressione che però non ne ha pregiudicato il percorso agonistico che ha visto l’atleta valdostana ascendere tra le migliori interpreti dello Slalom gigante appena affacciatasi oltre la soglia dei vent’anni, con una medaglia d’argento ai mondiali di Garmisch-Partenkirchen del 2011 accompagnata da diversi piazzamenti sul podio nelle competizioni di Coppa.
Crescita costante culminata con la prima vittoria, ottenuta a Sölden, nella gara d’esordio della stagione 2015/2016, in cui per la prima volta riuscì a concretizzare per due manches consecutive ciò di cui si era dimostrata capace negli anni precedenti, ma che sempre le era sfuggito a causa di una scarsa continuità. Da quel momento la sua parabola ascendente ha subito un’ulteriore crescita, la quale però è sempre stata minata da una serie di passi falsi che le hanno impedito di ottenere i trionfi che il talento le avrebbe consentito di conquistare.
Quindi, nonostante una confidenza sempre maggiore con la vittoria (conquistata oltre che in Gigante, sua disciplina di riferimento, anche in Superg e Cobinata alpina), il bronzo olimpico a Pyeongchang nel 2018, solo nella scorsa edizione ha saputo trovare quella regolarità in grado di conferirle non solamente la tanto ambita coppa di Slalom gigante, ma anche quella di Combinata e soprattutto il trionfo in classifica generale, mai centrato prima da alcuna sciatrice italiana.
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Un successo arrivato in maniera rocambolesca, con un’interruzione anticipata della competizione a causa Covid e con la conseguente impossibilità di disputare le finali previste a Cortina D’Ampezzo nella metà di marzo. Una decisione che ha portato con sé una serie di polemiche. Pur comprendendo le perplessità sull’assegnazione del premio più prestigioso di questo sport con dieci gare in meno rispetto a quelle previste da calendario, vogliamo qui spezzare una lancia in favore dell’atleta azzurra, i cui meriti nella scorsa stagione sono innegabili. Cinque vittorie, undici volte sul podio e 1378 punti finali sono un bottino stagionale che non solo non ha precedenti nella storia dello sci italiano al femminile, ma che raramente si sono riscontrati anche a livello internazionale.
Una striscia di risultati che acquista un valore ancor maggiore in relazione al fatto che sia stata raggiunta con un numero limitato di gare a disposizione, perché Brignone stessa, non meno delle avversarie che la seguivano in classifica, è stata penalizzata dal fatto di non lottare per i numerosi punti ancora in palio in una stagione che l’ha vista protagonista in tutte le specialità (escluso lo slalom speciale che ad oggi resta il suo maggiore punto debole).
Sofia Goggia
Percorso diverso invece per Sofia Goggia, atleta bergamasca salita alla ribalta ai mondiali di Schladming del 2013, durante il Superg d’apertura divenuto poi tristemente noto per l’infortunio di Lindsey Vonn, ad oggi considerata da molti la sciatrice più forte di tutti i tempi, che in quell’occasione non dovette solo uscire di scena anzitempo, ma si procurò un infortunio destinato a ripercuotersi sul resto della sua carriera fino al ritiro avvenuto nel 2019. Un evento tragico che divenne emblema di una giornata difficile per questo sport e pervasa dalle polemiche che fecero seguito alla disputa di una gara disputata in condizioni estreme (neve fresca caduta sul tracciato e un fitto banco di nebbia che compromise la visibilità di atlete chiamate a lanciarsi sugli sci a oltre cento chilometri all’ora).
In questo contesto grigio e tribolato ci fu però un lampo azzurro in grado di solleticare l’animo dei tifosi italiani. Una ragazza di soli ventuno anni, fino a quel momento mai protagonista a livello internazionale, che uscita dal cancelletto in un momento in cui le medaglie parevano già assegnate riuscì a far tremare la terza posizione occupata dalla campionessa Julia Mancuso. Goggia in quell’occasione terminò quarta a soli cinque centesimi dal podio, ma la delusione per la medaglia sfumata per un’inezia venne colmata dalla consapevolezza di aver trovato una nuova stella della velocità.
Dovettero, tuttavia, passare alcuni anni prima che la sciatrice bergamasca potesse confermare questo suo status, dato che, complici anche alcuni infortuni piuttosto seri, Goggia raggiunse il suo primo podio in Coppa del mondo solo nel 2016, anno in cui esplose definitivamente e chiuse la stagione con due vittorie, un bronzo iridato e la terza posizione in classifica generale. Ma sarebbe stata la stagione successiva a vederla raggiungere i traguardi più importanti, con la conquista della coppa di specialità in Discesa libera e dell’oro olimpico nella stessa disciplina.
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Risultati raggiunti davanti proprio a quella Lindsey Vonn che nel frattempo non solo era riuscita a tornare sugli sci, ma anche a riconfermarsi regina delle specialità “veloci”. Gli ultimi fuochi della dominatrice statunitense aprivano a Goggia la possibilità di spadroneggiare negli anni successivi in Supergigante e Discesa libera.
Purtroppo così non è stato, complice un nuovo infortunio al quale è conseguita una condizione di instabilità in cui Goggia ha saputo dimostrare a tratti di essere ancora un protagonista dello sci (siamo ancora a bocca aperta per i due secondi posti consecutivi nella gare di Garmisch nel 2019 al suo rientro dall’infortunio) ma anche di avere smarrito una certo equilibrio nella sua azione, arrivando quindi troppo spesso a superare il limite che ogni atleta si deve autoimporre per preservare la propria incolumità (dobbiamo ancora smaltire i brividi per la sua rovinosa caduta nella prima delle due discese di Bansko nella scorsa stagione, oltre che per l’uscita di scena a Garmisch che le costò una frattura al radio).
Tuttavia il suo ritorno lo scorso ottobre con un ottimo sesto posto sul Rettembach lascia ben sperare per la stagione appena iniziata, nell’attesa di rivederla protagonista nelle “sue” gare.
Marta Bassino
Più breve, al momento, ma non priva di soddisfazioni, anche la carriera di Marta Bassino, atleta piemontese classe 1996 che nel 2016 conquista nella classica d’apertura a Sölden il suo primo podio in Coppa del Mondo per poi andare incontro ad una crescita graduale che l’ha portata nel 2019 a raggiungere il suo primo successo (sempre in Gigante) a Killington davanti alla compagna Brignone, in una delle diverse doppiette azzurre che queste ragazze ci hanno regalato negli ultimi anni. L’ultima è avvenuta poche settimane fa in apertura di un’edizione 2020/2021 che, grazie ai tre talenti di cui si è appena discusso, merita di essere seguita in ogni sua tappa.
Il rientro sugli sci di Paris
Se per quanto riguarda il settore femminile lo sci azzurro sta conoscendo quello che probabilmente è il suo momento di massimo splendore, altrettanto non si può dire per la compagine maschile. Dopo il felice decennio degli anni Duemila con campioni come Giorgio Rocca (non gli abbiamo ancora perdonato la caduta ai Giochi di Torino nel 2006), Massimiliano Blardone, Davide Simoncelli e l’intramontabile Manfred Mölgg (ancora in attività, seppur senza l’ambizione di primeggiare) gli uomini dello sci italiano hanno faticato a trovare dei grandi risultati di squadra.
E se nelle discipline tecniche (Slalom speciale e Slalom gigante) ancora oggi non è presente un atleta di prima fascia, sciatori come Christof Innerhofer e Peter Fill hanno in tempi recenti raggiunto risultati di rilievo nelle discipline veloci (Discesa libera e Supergigante). Ma è innegabile che in questo contesto, per quanto non manchino nomi di spicco, i maggiori successi siano stati appannaggio della figura di Dominik Paris. Il trentenne altoatesino, dopo l’esplosione in giovane età nella storica Discesa libera di Bormio nel 2012, ha raggiunto in anni recenti lo standard del fuoriclasse. Nove sono state le vittorie conseguite nella stagione 2018/2019, terminata con la conquista della coppa di specialità in Supergigante, disciplina nella quale ha anche centrato la vittoria ai mondiali di Åre, in Svezia.
Un livello che era stato confermato nelle prime gare dello scorso anno, con la doppietta storica proprio sulla pista Stelvio, nella località valtellinese dove raggiunse il suo primo successo (in totale sono sei le vittorie su questo tracciato). Lanciato da questi trionfi riuscì a sfatare anche il suo maggiore tabù, agguantando il podio nella Discesa di Wengen, sulla quale non era mai riuscito a esprimersi al meglio, concludendo solamente alle spalle del grandissimo rivale elvetico Beat Feuz.
E proprio dopo questo risultato, a pochi giorni dalla resa dei conti sulla leggendaria Streif di Kitzbühel, la pista Regina della Coppa del Mondo e su cui Paris ha trionfato per ben quattro volte, la notizia più tragica. Un banalissimo gesto scomposto durante un allenamento ha causato la rottura del crociato anteriore destro di Domink Paris, interrompendo quindi la carriera del più grande sciatore italiano dai tempi di Alberto Tomba. Oggi, dopo il periodo più difficile del suo percorso agonistico bruscamente interrotto sul più bello, Dominik Paris è tornato sugli sci e si dichiara pronto a riprendere l’attività, nella speranza tornare al più presto là dove era giunto prima dell’arresto forzato.
Perciò, anche se quest’anno non potremo godere della spettacolare cornice costituita dai settantamila tifosi che ogni anni si riversano all’arrivo della temibile pista austriaca, speriamo di essere allietati dal vedere nuovamente il Re della Streif domare come nessun altro l’infernale passaggio della Hausbergkante per poi gettarsi a capofitto nel baratro che porta al traguardo più prestigioso.
Il ritorno agli sci di Mikaela
Ma parlando di fuoriclasse non si può non citare Mikaela Shiffrin. Una delle più grandi sportive emerse nel decennio passato, che a soli venticinque anni ha già scritto pagine fittissime di storia di questo sport. Non solo Shiffrin è la slalomista più vincente di sempre, ma con i recenti miglioramenti anche nelle discipline veloci è entrata nel ristrettissimo gruppo di atlete (mai nessun uomo ci è riuscito) in grado di vincere almeno una gara in tutte le discipline della Coppa del mondo. Un dominio che per diverse stagioni è stato quasi imbarazzante nei confronti delle avversarie, come nella stagione 2018/2019 chiusa con diciassette vittorie in coppa (record assoluto) e un punteggio di 2204 punti, il secondo più alto mai registrato.
E la scorsa stagione stava seguendo il medesimo canovaccio, con Shiffrin che a poco più di un mese dalla chiusura aveva un vantaggio di quasi quattrocento punti su Brignone e puntava ad allargare ulteriormente questa forbice. Tutto questo fino alla tragedia della morte del padre, avvenuta improvvisamente a causa di un incidente domestico, a seguito della quale Shiffrin non è riuscita trovare la motivazione per tornare in gara. Dando forfait in una serie di eventi importanti, la statunitense ha prestato il fianco per il rientro delle avversarie Brignone e Vlhova, con l’italiana che con la vittoria della Combinata di Chrans-Montana ha effettuato il sorpasso che poi le ha consegnato la vittoria finale.
Ci siamo poc’anzi soffermati sui meriti che hanno portato la sciatrice valdostana alla conquista della sfera di cristallo, ma sarebbe oltremodo scorretto non ammettere che senza la rinuncia alle gare da parte di Shiffrin, dovuta a motivi che purtroppo nulla hanno a che fare con lo sport, l’esito sarebbe molto probabilmente stato diverso. E pur senza intoppi fisici, il rientro della campionessa del Colorado non è stato assolutamente facile, tanto da farle addirittura pensare al ritiro.
Abbiamo rischiato di perdere quella che al momento è innegabilmente la sciatrice più completa e costante in attività. Non è stato facile, ma Mikaela è tornata a gareggiare e si è subito imposta sui suoi livelli, concludendo seconda nel primo Slalom della stagione e pagando la fatica il giorno seguente, quando ha chiuso comunque con un più che dignitoso quinto posto. Sicuramente un ritorno positivo, dopo ben trecento giorni lontana dalle competizioni, che lascia intendere la sua determinazione nel voler riappropriarsi di ciò per cui la scorsa stagione non ha potuto nemmeno lottare fino alla fine.
La sfida si preannuncia infuocata
Con Shiffrin alla ricerca di uno stato di forma ottimale e il ritiro di Marcel Hirscher, fenomeno austriaco in grado di dominare la Coppa del mondo maschile dal 2012 al 2019, la sfida per la conquista del titolo più ambito è apertissima. E se a livello femminile la slovacca Vlhova ha già acquisito il ruolo di favorita dopo il podio nella gara iniziale e la vittoria di entrambi gli slalom di Levi (ma le nostre Brignone e Bassino sono pronte a renderle la vita difficile), in ambito maschile è tutto da decidere.
Lo scorso anno la Coppa finì in maniera piuttosto inaspettata nelle mani del norvegese Alexander Amondt Kilde, che pur avendo conquistato un solo successo nell’arco della stagione è riuscito a imporsi grazie a una maggiore regolarità sui favoriti Alexis Pinturault e Henrik Kristoffersen (due principali inseguitori di Hirscher prima del suo ritiro), i quali hanno alternato vittorie schiaccianti a clamorosi passaggi a vuoto. La teoria vorrebbe che su di loro ricadessero i favori del pronostico anche per la stagione appena avviata, ma le loro prestazioni sottotono nel Gigante di apertura (a loro decisamente affine, essendo entrambi sciatori principalmente tecnici) non sono un buon segnale.
Decisamente troppo presto per chiamarli fuori dal gioco, ma quel che è certo è che se i due non riuscissero a limitare la dispersione di punti importanti, aprirebbero più che uno spiraglio in favore dei fenomeni della velocità, che, pur penalizzati dal calendario (Discesa libera e Supergigante sono presenti in numero inferiore rispetto a Slalom gigante e Slalom Speciale), potrebbero avere la possibilità di inserirsi nella lotta per la Coppa. Il tutto senza dimenticare la competizione iridata, prevista per febbraio a Cortina, che contribuirà a rendere ancora più appassionante lo scontro.