La scuola sui binari è l’ultimo romanzo di Ángeles Doñate, pubblicato per Feltrinelli a maggio 2020. La vicenda trae ispirazione dal periodo vissuto dall’autrice, originaria di Barcellona, in America Latina. Proprio in Messico, lungo il confine con gli Stati Uniti, Ángeles Doñate ha lavorato come volontaria in una scuola. Da questa fondamentale esperienza e dalla consapevolezza dell’importanza dell’istruzione, tanto più in contesti difficili, è nato il suo ultimo libro.
Ne La scuola sui binari si intrecciano due piani narrativi ambientati in spazi e tempi diversi. L’uno, collocato nel passato, si snoda intorno all’Escuela Artículo 123, una delle tante scuole-vagone realizzate dal governo messicano per l’educazione dei figli degli operai delle ferrovie e dei braccianti stagionali. Questa prima vicenda vede come protagonisti quattro giovani ragazzi. Ikal, Tuerto, Chico e Valeria vivono nei dintorni di una stazione ferroviaria dispersa nel territorio messicano. Qui lavora Don Ernesto, insegnante della scuola Malinalli Tenepatl. Il maestro, attraverso l’istruzione e la relazione educativa, dà speranze a giovani e bambini cresciuti in un contesto segnato dalla miseria e dalle ingiustizie sociali.
L’altra vicenda, ambientata nel presente, ha come protagonista Hugo Valenzuela, ispettore capo della Dirección General de Educación. Valenzuela è stato chiamato a convalidare la chiusura definitiva delle scuole-vagone, giudicate espressione di un modello educativo inutile e antiquato. Sulla sua scrivania campeggia il fascicolo riguardante la scuola Malinalli Tenepatl, l’ultima del suo genere. Nel corso del romanzo, le due storie finiscono per intrecciarsi. Passato e presente si scontrano e si giunge a una soluzione più realistica che romantica. Lo scioglimento, infatti, vede prevalere gli interessi politici ed economici. Ad ogni modo, al termine della storia, moralmente vincitrice è quella parte di umanità che ha scelto gli ideali e la coerenza come fari per le proprie azioni.
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Ne La scuola sui binari non confluisce solamente l’esperienza di volontariato dell’autrice nella scuola di Mexicali. Sono presenti numerosi rimandi all’ordinamento costituzionale del Paese sudamericano e alle norme a tutela dei lavoratori, approvate già all’inizio del ventesimo secolo.
Il 5 febbraio 1917, infatti, il Congresso messicano promulgò una Costituzione democratica e anticlericale, frutto della Rivoluzione scoppiata sette anni prima. L’insurrezione armata, guidata da Francisco Madero, intendeva porre fine alla dittatura di Porfirio Díaz, durata trentacinque anni. Con la Costituzione del 1917 i rivoluzionari promossero importanti riforme sociali e una netta separazione tra Stato e chiesa. Per fare solo un esempio, il congresso mise un limite alla quantità di terra che ogni persona poteva possedere. Inoltre, sulla base del principio di utilità sociale, riconobbe al governo federale il potere di espropriare e ridistribuire i terreni.
In particolare, l’articolo 123 riconosceva alle diverse categorie di lavoratori il diritto a condizioni lavorative dignitose, allo sciopero e alle tutele sociali. Un suo comma si occupava in modo specifico dei lavoratori del settore agricolo, industriale, minerario eccetera, garantendo a questi ultimi condizioni abitative e igieniche adeguate. La legge, inoltre, imponeva l’obbligo di realizzare scuole, ospedali e ulteriori servizi necessari alla comunità, laddove i luoghi di lavoro fossero isolati. La Costituzione Messicana del 1917 servì da modello per le costituzioni progressiste di tutto il mondo, grazie a una tutela dei lavoratori tra le più illuminate e radicali dell’epoca.
Negli anni Trenta alcune riforme del lavoro (la ley del trabajador) attuarono finalmente il contenuto dell’articolo 123. Portarono, così, all’istituzione delle cosiddette scuole vagone, non a caso chiamate escuelas artículo 123. Il loro scopo era assicurare l’istruzione nei luoghi più isolati e alle categorie economicamente più fragili.
Le scuole-vagone, descritte ne La scuola sui binari, sono una realtà ancora esistente. In Messico continuano a operare in contesti poveri, periferici e a rischio criminalità. Nate lungo linee ferroviarie oggi inutilizzate, rappresentano un servizio fondamentale per le fasce più fragili della popolazione. Le scuole-vagone garantiscono, infatti, un’istruzione elementare ai figli delle famiglie povere. In questo modo, consentono alle nuove generazioni di accedere a condizioni di vita e di lavoro migliori.
Proprio all’interno del romanzo, Don Ernesto coglie con le sue parole la funzione centrale delle scuole-vagone. Un servizio ancora indispensabile, nonostante i mutamenti economici, sociali e demografici attraversati dal Paese. «Ai margini del mondo dei ricchi, vivono sempre dei bambini. Non sono figli di stagionali, ma sono figli di quelli che sono scomparsi mentre viaggiavano verso il Nord e, invece di contadini, sono operai delle fabbriche».
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Il fil rouge che percorre l’ultimo romanzo di Doñate è in fondo un elogio della scuola, vista come àncora di salvezza laddove tutto lascia presagire un destino già scritto. Che cos’è la scuola se non un mezzo di emancipazione individuale, culturale, sociale e politica? Proprio questo messaggio emerge dalla trama del racconto, che, intrecciando realtà e finzione, porta in primo piano l’importanza del lavoro educativo.
Un altro tema ricorrente nel romanzo è l’irriducibilità della scuola a un mero discorso di risparmio economico. La scuola costa, tanto più se attrezzata, adeguata, diffusa capillarmente sul territorio e accessibile a chi non se la potrebbe permettere. Sulla scuola, tuttavia, non si può risparmiare. Diversamente, si metterebbero a rischio le nuove generazioni, la loro possibilità di scegliere un futuro migliore e di riscattarsi da condizioni difficili. In conclusione, investire sulla scuola significa, come direbbe Don Ernesto, vedere nelle future generazioni non dei delinquenti o degli operai disoccupati, ma delle promesse.
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