Sembra si sia finalmente arrivati a una conclusione. I capi negoziatori Michel Barnier e David Frost, dopo nove mesi di discussioni, il 24 dicembre scorso hanno raggiunto un accordo in merito ai rapporti commerciali conseguenti l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, mettendo (forse) fine ai tira e molla che hanno caratterizzato i dialoghi negoziali degli ultimi quattro anni e mezzo. L’accordo UE-UK rappresenta di per sé una notizia positiva per entrambe le parti in causa. I team negoziali hanno infatti lavorato incessantemente per fare in modo che la separazione fosse quanto più indolore possibile e si scampasse al temuto – e a tratti plausibile – scenario del no deal. Per chi siano più vantaggiosi i termini del compromesso raggiunto, però, costituisce un dubbio che solo il tempo aiuterà a sciogliere del tutto.
Il contenuto dell’accordo UE-UK
Quello che è certo è che il Regno Unito, a partire dal 1° gennaio 2021, non fa più parte del mercato unico e dell’unione doganale europei, con tutto ciò che ne consegue. Il libero movimento di persone, beni, servizi e capitali per come lo conoscevamo appartiene ormai al passato. Come già noto da tempo, le conseguenze di questo cambiamento non passeranno inosservate per cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni su entrambe le sponde della Manica.
Ma veniamo ai contenuti dell’accordo. Il Trade and Cooperation Agreement si articola in tre pilastri principali, che riguardano rispettivamente una nuova partnership economica e sociale, un partenariato sulla sicurezza e un accordo quadro sulla governance dell’accordo stesso.
Pesca e level playing field
La parte del testo che riguarda il libero scambio è stata la più discussa e complessa da definire. Nello specifico, le questioni che hanno maggiormente messo in difficoltà i team negoziali sono quelle relative alla pesca e al cosiddetto level playing field.
Oltre a regolare lo scambio di merci, servizi, energia e altri settori economici e sociali di interesse di ambo le parti, infatti, l’accordo ha fissato nuove regole per la gestione delle risorse ittiche in acque europee e britanniche, aspetto che destava non poche preoccupazioni tra gli esponenti del settore. La questione si è conclusa con un accordo che prevede che i pescatori europei dovranno ridurre del 25% nell’arco di cinque anni e mezzo la quantità di pesce pescato in acque UK. Allo scadere del periodo di transizione individuato, la gestione delle acque britanniche tornerà a essere di completa competenza delle autorità UK. A quel punto, le condizioni di accesso dovranno essere rinegoziate.
L’intesa prevede inoltre che, per avere accesso al mercato unico senza il pagamento di dazi o quote, le merci prodotte in UK debbano rispettare degli standard minimi. I produttori britannici dovranno quindi adeguarsi ai canoni europei, giocando così ad armi pari (da cui l’espressione level playing field) con i produttori UE.
Programmi faro, cooperazione giudiziaria e governance
Contribuendo in parte al bilancio dell’Unione Europea, il Regno Unito continuerà ad aderire ad alcuni programmi faro finanziati dall’UE stessa. Tra questi, il più degno di nota è il nuovo programma quadro per ricerca e innovazione Horizon Europe. Tra gli aspetti del compromesso che lasciano l’amaro in bocca all’UE, si annovera sicuramente la scelta britannica di non partecipare al programma europeo Erasmus. Quest’ultimo, infatti, da oltre trent’anni rappresenta la maggiore opportunità di scambio, condivisione e creazione di legami per generazioni di giovani studenti europei. La decisione di Londra appare piuttosto eloquente: i giovani britannici saranno solo britannici, dunque la loro identità sarà britannica e non più europea.
Il secondo pilastro definisce il quadro normativo in merito all’applicazione della legge e alla cooperazione giudiziaria, sia in ambito civile che penale. Questo elemento risulta particolarmente importante nella lotta al crimine transfrontaliero e al terrorismo.
L’ultimo pillar svolge un ruolo centrale nel garantire stabilità per le imprese, i consumatori e i cittadini. Esso determina infatti gli aspetti operativi connessi all’attuazione dell’accordo, facendo in modo che entrambe le parti giochino secondo le regole concordate. Il testo istituisce inoltre dei meccanismi di risoluzione delle controversie. Anche su quest’ultimo aspetto, i negoziati sono stati tutt’altro che semplici. L’UE ha alla fine deciso di accettare la richiesta UK di fare riferimento a un organo indipendente diverso dalla Corte di giustizia dell’UE.
Una separazione dolorosa
L’Unione Europea, forte della ritrovata seppur fragile coesione dimostrata nel fronteggiare la crisi in corso, appare sollevata e piuttosto soddisfatta dell’intesa raggiunta. Nonostante ciò, Michel Barnier e Ursula von der Leyen, i volti pubblici dell’UE sulla Brexit, non nascondono il proprio disappunto. La poca flessibilità dei negoziatori britannici, infatti, non ha consentito di affrontare in maniera lungimirante alcune questioni chiave, come la mobilità dei cittadini e la possibilità di una politica estera comune. Sia la Presidente della Commissione Europea che il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel hanno inoltre espresso la propria tristezza per questa separazione, che in qualche modo rappresenta un fallimento per il progetto di integrazione europea.
Il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri ha dato il via libera all’accordo, entrato in esercizio provvisorio dall’alba del nuovo anno. La palla è ora nelle mani del Parlamento Europeo, che presto dovrà pronunciarsi sull’esito dei negoziati. Il presidente David Sassoli ha dichiarato:
Il Parlamento accoglie con favore l’intenso dialogo, gli scambi e l’unità senza precedenti dimostrate dalle istituzioni europee durante l’intero processo negoziale. Tuttavia, il Parlamento si rammarica che la durata dei negoziati e la natura di questo accordo all’ultimo minuto non consentano un adeguato controllo parlamentare entro la fine dell’anno.
Proprio per il poco tempo a disposizione per esaminare il lungo testo dell’accordo, a Bruxelles si ipotizza un’estensione del periodo di applicazione temporanea. Il termine è attualmente fissato al 28 febbraio, ma rimandarlo consentirebbe all’Eurocamera di esprimersi in piena coscienza sul post-Brexit nella plenaria di marzo.
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Aria di festa
Dal canto suo, il Primo Ministro britannico Boris Johnson esulta per l’intesa raggiunta con l’UE. Egli afferma infatti di aver rispettato tutte le promesse fatte e le volontà espresse dal popolo britannico tramite referendum nell’ormai lontano 2016. Il tono del premier inglese è apparso decisamente più entusiasta di quello degli esponenti delle istituzioni europee. Johnson ha celebrato la ritrovata “stabilità e certezza” di cui godrà il Regno Unito grazie a questo accordo, oltre alla recuperata sovranità britannica. L’accordo è davvero così vantaggioso per i sudditi della regina? Probabilmente non così tanto, ma se si pensa che lo scenario di un’uscita dall’UE senza accordo sembrava una possibilità tutt’altro che remota per il Regno Unito, alla fine anche il compromesso ottenuto sembra degno di un festeggiamento in grande stile.
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Che cosa ci aspetta?
La presenza di un accordo tra le parti, come si diceva, rappresenta indubbiamente un ottimo punto di partenza per le buone relazioni future tra UE e UK. In fin dei conti, i valori rimangono ampiamente condivisi e gli intenti su molte questioni rilevanti – non da ultima, il cambiamento climatico – sono comuni. Il 28 dicembre, il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e il Primo Ministro Johnson hanno accolto il compromesso raggiunto, definendolo «giusto e bilanciato». I due hanno cominciato a gettare le basi per la cooperazione futura, convenendo sulla necessità di intensificare i lavori per una risposta globale alle pandemie.
Il 30 dicembre il Parlamento britannico ha approvato l’accordo con il favore non solo del partito conservatore, ma anche di quello laburista. La firma dell’accordo da parte dell’UE e del Regno Unito è avvenuta nella stessa data, consentendo l’avvio della sua applicazione provvisoria a partire dal 1° gennaio 2021.
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Sia Johnson che von der Leyen hanno ribadito l’importanza non solo economica e sociale, ma anche strategica, della cooperazione tra UE ed UK. Il Primo Ministro britannico ha sottolineato che il Regno Unito rimarrà sempre “culturalmente, emotivamente, storicamente, strategicamente e geologicamente legato all’Europa”. D’altronde sono circa 4 milioni i cittadini europei che, dal 2016 ad oggi, hanno richiesto di stabilirsi sul suo territorio “fornendo un enorme contributo al Paese”.
Il Regno Unito sta intanto lavorando ai trattati bilaterali con i Paesi con cui, prima del recesso dall’UE, intratteneva rapporti commerciali in qualità di suo Stato membro. Il primo accordo siglato da Londra dopo l’intesa commerciale con l’UE è stato quello del 29 dicembre con la Turchia. Chissà che proprio quest’ultima, da tempo in lizza per entrare a far parte dell’UE e ormai sfiancata dall’attesa e dalle resistenze (ad oggi giustificate) di alcuni Stati membri, possa rivelarsi un importante alleato per l’UK nello scenario post-Brexit.