Giovedì 24 dicembre, alla vigilia di Natale, l’Unione Europea e il Regno Unito hanno finalmente raggiunto un accordo sulla Brexit. Il Regno Unito uscirà ufficialmente dall’Unione il primo gennaio 2021, dopo un periodo di transizione durato un anno. Arrivati a questo punto dei negoziati, lo spettro di un no deal si stava facendo sempre più vicino. C’è voluto l’intervento diretto della presidente della Commissione Europea e del premier britannico per permettere ai capi negoziatori Michel Barnier e David Frost di chiudere definitivamente le trattative. Il testo dell’accordo arriva dopo otto mesi di estenuanti negoziati e a quasi cinque anni dal referendum del giugno 2016 in cui i britannici hanno deciso di lasciare l’UE.
Almeno apparentemente, l’accordo di recesso è stato accolto con entusiasmo dal governo di Londra. Gli inglesi hanno sempre detto di voler evitare un “cattivo” accordo più di quanto volessero evitare un no deal. Il mantra che ha guidato i leader del leave è sempre stato «take back control». La volontà di riprendere il controllo su una serie di politiche ora in mano all’UE: principalmente, immigrazione, accordi commerciali e aiuti di Stato. Per questo Boris Johnson si è detto soddisfatto: «The deal is done» ha twittato il Primo Ministro poche ore dopo la chiusura dei negoziati. Ha però ribadito la volontà di rimanere un alleato e un amico per l’UE. Non mancano anche tensioni interne alla politica britannica. I labouristi accusano il governo di aver firmato un accordo thin, debole, che lascia scoperti e non regolati troppi settori. Al contrario, l’ala più estremista del partito di Johnson accusa il premier di aver ceduto su troppe questioni, firmando un accordo poco favorevole per il Paese.
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Dall’altra parte della Manica, il 24 dicembre la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il capo negoziatore europeo, Michel Barnier, hanno tenuto una conferenza stampa. I toni sono stati molto più cauti e meno entusiastici rispetto a quelli dei britannici. Von der Leyen si è detta sollevata, in quanto grazie a questo accordo è stato evitato il peggio, ma si è detta anche triste per l’ufficiale uscita del Regno Unito dall’Unione. Ha detto: «Questo, fino a oggi, era il gruppo a cui tutti volevano unirsi, non andarsene». Ha poi invitato tutti gli europei a guardare avanti e a lasciarsi indietro la triste pagina della Brexit.
L’intesa raggiunta regola principalmente i rapporti commerciali bilaterali tra il Regno Unito e l’UE. Si tratta dunque di un accordo di libero scambio che permetterà alle parti di continuare a scambiare merci senza l’imposizione di dazi e quote. Nonostante ciò, gli inglesi lasceranno ufficialmente il sistema del Mercato Unico Europeo e l’unione doganale dal primo gennaio prossimo. Dunque, è stata evitata la maggiorazione dei costi sulle aziende e i consumatori per l’importazione e l’esportazione dei beni, ma lo scambio di merci subirà sicuramente dei ritardi dovuti a maggiori controlli alle dogane e aumento della burocrazia. Nelle ultime settimane i negoziati si sono concentrati principalmente su tre punti: i diritti alla pesca, il cosiddetto level playing field, e la governance dell’accordo.
La questione della pesca, nonostante abbia una rilevanza economica limitata, aveva assunto un importante valore simbolico. Inizialmente, la bozza di accordo proposta dal Regno Unito prevedeva che la quota di pesce pescato dalle imbarcazione europee in acque britanniche fosse ridotta di una percentuale che andava dal 60 all’80% in tre anni. L’intesa finale, invece, sancisce che i pescatori europei dovranno ridurre la quantità di pesce pescato in acque britanniche del 25% entro il 2025. Questo permetterà ai pescatori britannici di avere più pesce a disposizione nelle loro acque.
Il level playing field è, invece, il meccanismo che impedisce alle aziende di un determinato membro dell’Unione Europea di fare concorrenza sleale alle aziende di altri Stati membri. Bruxelles ha voluto fortemente che questo principio si applicasse anche nell’accordo Brexit. Si temeva che il Regno Unito, tramite aiuti di Stato alle proprie imprese o regole ambientali meno stringenti, permettesse alle proprie aziende di avere un vantaggio su quelle europee. Dunque, secondo l’accordo firmato, il governo britannico non dovrà più rispettare le varie regolamentazioni europee (sugli standard ambientali o fito-sanitari o sugli aiuti di Stato), ma non potrà discostarsene fino a distorcere la leale concorrenza con i partner europei. Ci sarà quindi un livello minimo di standard da rispettare su diverse materie.
Per quanto riguarda la governance dell’accordo, si è discusso principalmente del meccanismo di risoluzione di eventuali controversie che dovessero insorgere tra le parti. Il Regno Unito non sarà più soggetto alla giurisdizione della Corte di Giustizia dell’UE: dunque, c’era bisogno di nuove procedure in caso di violazione dell’accordo. È stato istituito un meccanismo di arbitrato, fortemente voluto da Bruxelles. Inoltre, è prevista la possibilità di applicare “sanzioni” economiche in caso una delle due parti violi l’intesa sulla libera e leale concorrenza.
Infine, per quanto riguarda il movimento di persone dall’UE al Regno Unito e viceversa, l’accordo mette fine alla libera circolazione tra il continente e l’isola. Il governo britannico ha annunciato che da gennaio entrerà in vigore una nuova legge sull’immigrazione, un sistema che renderà difficile trasferirsi nel Paese. Dall’altro lato, i cittadini del Regno Unito non potranno più facilmente trasferirsi sul continente per motivi di studio, di lavoro e, in generale, per lunghi periodi di tempo. Il Regno Unito uscirà anche dal programma Erasmus+.
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Senza dubbio, l’intesa firmata lo scorso 24 dicembre segna una svolta molto importante nelle relazioni tra il Regno Unito e l’Unione Europea. Tuttavia, questo è solamente l’inizio di un lungo processo di definizione dei futuri rapporti. L’accordo regola principalmente gli scambi commerciali tra le due parti e prevede cooperazione in diversi settori ma, nonostante la sua lunghezza, lascia interi settori ancora non regolamentati.
I grandi esclusi dall’intesa sono, senza alcun dubbio, i servizi finanziari. L’ottanta per cento dell’economia britannica dipende dal settore dei servizi, dove il Regno Unito ha un surplus di bilancia commerciale nei confronti degli Stati membri dell’UE di diciotto miliardi di sterline. Dunque, l’intera City di Londra, banche, compagnie assicurative e società di consulenza con sede nel Regno Unito, dal primo gennaio 2021 non faranno più parte del mercato unico dei servizi dell’UE. Ci saranno decine di accordi da rinegoziare che regolino le nuove attività finanziare transfrontaliere. Si creerà sicuramente un sistema meno stabile e più frammentato, con accordi bilaterali diversi tra loro.
Altro grande escluso dell’accordo è il settore della sicurezza nazionale. Con l’uscita dall’Unione Europea, il Regno Unito uscirà automaticamente anche dalla maggior parte dei suoi programmi e delle sue agenzie. In primo luogo, Londra sarà esclusa dalle agenzie EUROPOL e EUROJUST, che permettono lo scambio di informazioni tra i servizi di polizia e quelli giudiziari dei vari Stati membri. Inoltre, uscendo dal sistema del mandato di arresto europeo dovrà negoziare un accordo di estradizione con l’UE. Infine, la polizia britannica perderà l’accesso al Sistema di Informazioni di Schengen (SIS), un database che permette l’accesso a milioni di dati e informazioni per individuare i terroristi. Tenendo conto del considerevole uso che l’intelligence inglese fa del SIS, dovrà essere trovato un nuovo accordo in materia.
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Dopo otto mesi di negoziato e con la paura di una possibile uscita del Regno Unito dall’Unione senza accordo, la firma arrivata il 24 dicembre è stata un sospiro di sollievo sia per il Regno Unito che per i Paesi dell’UE. Grazie all’accordo commerciale, le imprese e i consumatori non subiranno maggiorazioni di costi e prezzi. Londra ha un deficit di circa 79 milardi di sterline nei confronti dei paesi UE per quanto riguarda il commercio di beni. L’Italia, nonostante esporti solo il 5% dei beni verso il Regno Unito, è il terzo Paese per surplus commerciale nei confronti dei britannici. La nostra industria avrebbe sicuramente avuto ingenti danni da una hard Brexit, soprattutto il settore agroalimentare, tessile e meccanico.
Fortunatamente, il peggio è stato evitato per il bene di tutti. Il percorso verso una chiara definizione dei rapporti tra le due parti sulle varie politiche è però ancora lungo, e gli accordi da negoziare sono ancora tanti.
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