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Economia

Cina, la linea sottile tra sorveglianza e privacy

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Thomas Piai

Se c’è una nazione che esce da questo 2020 rafforzata e più pronta delle altre ad affrontare il nuovo anno appena iniziato, quella è di sicuro la Cina. Nonostante l’emergenza Covid-19, è stata l’unica economia mondiale ad aver chiuso l’anno economico con un segno positivo, anche se ridimensionato. Motivo di vanto? Per il presidente cinese Xi Jinping non ci sono dubbi. Come affermato nel discorso di fine anno alla nazione, l’epopea affrontata dalla Cina per tutto il 2020 ha fatto in modo che i suoi cittadini potessero festeggiare il Capodanno con grandi manifestazioni. Con il susseguirsi nel resto del mondo di lockdown, misure restrittive e un’ormai accertata terza ondata, la dimostrazione di “libertà” vista in Cina, non lascia spazio a dubbi sull’efficacia delle misure di sorveglianza intraprese, talvolta a discapito della privacy. O sì?

Leggi anche: Cina, Russia e USA in Italia: la geopolitica ai tempi del Covid-19.

Il Presidente cinese Xi Jinping. Foto: Wikimedia Commons.

Sorveglianza avanzata: telecamere in casa e riconoscimento biometrico

Come è opinione di molti analisti, il controllo sulle attività dei propri cittadini e il tracciamento dei positivi e dei relativi contatti sono stati i punti forti del contenimento del virus attuato dalla Cina. Molti ricorderanno le prime immagini trasmesse dai telegiornali dove si vedevano persino dei droni intimare alle persone di restare a casa. Oppure i vari reportage che evidenziavano l’utilizzo di tecnologie avanzate con lo scopo di mantenere una sorveglianza costante. Telecamere dotate di riconoscimento facciale a ogni angolo, termoscanner e tracciamento dei dispositivi mobili hanno permesso al governo di Pechino di avere un quadro completo degli spostamenti di ognuno, potendo intervenire tempestivamente e in modo mirato.

Secondo quanto affermato da Giada Messetti in un articolo sul quotidiano Domani, fino a due anni fa erano presenti 350 milioni di telecamere sul territorio cinese, mentre entro quest’anno arriveranno a essere 560 milioni, una ogni tre abitanti. Come mostrato dalla CNN ad aprile, molti cinesi avevano la propria porta di casa tenuta sotto osservazione. Non solo, certe famiglie erano persino controllate all’interno delle stesse mura domestiche. La giustificazione avanzata dal governo è imputabile a un aspetto prettamente legato all’efficienza. Le telecamere monitoravano ventiquattro ore al giorno le famiglie in quarantena, liberando così il personale medico, che poteva dedicarsi a compiti più urgenti.

All’imponente presenza di telecamere, vanno aggiunti gli investimenti fatti dal governo cinese fin dal 2017 nell’ambito dello sviluppo di intelligenze artificiali, in grado di raccogliere i dati biometrici dei propri cittadini. Tra le aziende coinvolte nel settore della tecnologia della sorveglianza spicca Huawei, diventata leader mondiale nella vendita di smartphone proprio in questo 2020. Secondo il Washington Post, l’azienda avrebbe implementato un’intelligenza artificiale in grado di riconoscere le diverse etnie attraverso la scansione facciale. Più nello specifico, il sistema sviluppato includerebbe un “allarme uiguri”, capace di segnalare in tempo reale alla polizia la presenza di appartenenti a questa minoranza islamica. Va ricordato che il governo cinese contrasta fortemente l’etnia uigura, tanto da internare i membri della comunità in veri e propri campi di rieducazione.

Leggi anche: La Cina, la questione degli uiguri e noi.

Huawei: dallo scoop del Washington Post alla fine della sponsorizzazione Griezmann

Le accuse mosse dal Washington Post hanno costretto i dirigenti Huawei a una risposta immediata. Alcuni portavoce dell’azienda hanno bollato quanto pubblicato dal quotidiano americano come «completamente inaccettabile». Inoltre, hanno puntualizzato che la tecnologia sviluppata da Huawei non è progettata per identificare alcun gruppo etnico.

Non è stato dello stesso avviso il calciatore francese in forza al Barcellona, Antoine Griezmann. A seguito di quanto emerso, il calciatore ha deciso di porre fine alla sponsorizzazione del marchio Huawei, di cui era ambasciatore in Europa fin dal 2017. Da sempre sensibile al rispetto dei diritti dell’uomo e della donna, Griezmann ha chiesto a Huawei di non limitarsi a negare le accuse, ma di attuare azioni concrete per condannare la repressione di Pechino nei confronti degli uiguri. L’azienda di telecomunicazioni si è detta rattristata per la decisione del giocatore. Tuttavia, si è resa disponibile a dimostrare che il tipo di lavoro svolto riguarda lo sviluppo di algoritmi e applicazioni nel campo del riconoscimento facciale per un uso generico e basati su standard globali.

Quanto affermato, però, non sarebbe del tutto vero. Lo scoop del Washington Post riporta di campagne marketing erogate ad hoc sulla base del rilevamento biometrico. Queste pubblicità, create in collaborazione con altre aziende tecnologiche, sarebbero capaci di consigliare particolari prodotti secondo l’etnia rilevata. Ed è con questo pretesto che, secondo le fonti, verrebbe utilizzato “l’allarme uiguri”. In un primo momento Huawei ha rilasciato un comunicato direttamente sul proprio sito, affermando che l’applicazione di questo strumento è avvenuto solo in fase di test. A seguito della richiesta di maggiori chiarimenti da parte del Washington Post, l’azienda ha prontamente rimosso quanto comunicato in precedenza.

Antoine Griezmann. Foto: Wikimedia Commons.

Sorveglianza: luci e ombre sulla privacy

Il governo cinese ha sempre difeso le proprie scelte in merito all’iper-profilazione e al controllo assiduo dei propri cittadini. L’importanza che viene data alla collettività rispetto alle esigenze del singolo non può essere messa in discussione. Contenere il Covid-19, ma anche prevenire crimini e attentati, sono motivi più che validi per una sorveglianza pervasiva. Inoltre, la Cina non è la sola nazione al mondo a utilizzare la tecnologia per questo fine. Negli Stati Uniti, per esempio, telecamere e rilevazioni biometriche sono un potente e valido aiuto per le forze dell’ordine durante le indagini. Per questo motivo, le grandi aziende come IBM, Microsoft e Google hanno impedito l’utilizzo delle proprie tecnologie per il riconoscimento facciale e vocale. La loro motivazione: non voler favorire l’abuso di potere da parte della polizia.

Ovviamente le due differenti realtà non sono equiparabili visto il sistema sociale e politico dei due Paesi. A dispetto di quanto si possa pensare però, in Cina il dibattito pubblico sull’utilizzo massivo dei sistemi di sorveglianza è molto acceso. Gran parte della popolazione non sembra accettare in modo passivo quanto sta succedendo e sono diverse le azione dimostrative a riguardo. L’artista cinese Deng Yufeng, per esempio, ha dimostrato che è quasi impossibile potersi muovere per Pechino senza essere ripresi da qualche telecamera. Il numero e l’ubicazione delle stesse cambiavano da una settimana all’altra, costringendo l’artista ad impiegare quaranta minuti per percorrere un solo chilometro a piedi. Altrettanto significativa è la scelta fatta delle autorità di Hangzhou, capoluogo in cui è presente il quartier generale del colosso informatico Alibaba. Un professore di giurisprudenza ha denunciato lo zoo cittadino per aver raccolto i propri dati biometrici senza il suo consenso. In seguito al processo, il tribunale ha dato ragione al professore, spingendo così le autorità a vietare il riconoscimento facciale anche all’ingresso delle zone residenziali.

La sempre più massiccia raccolta di informazioni riguardanti i cittadini cinesi ha creato malcontento e il governo sta prendendo seri provvedimenti a riguardo. Da ottobre Pechino sta lavorando a una regolamentazione della raccolta dei dati personali molto simile alla nostra GDPR, con l’obiettivo di trovare un equilibrio tra il loro utilizzo e il rispetto della privacy. Per quanto il passo avanti sembri importante, le modalità con cui avviene rimangono poco chiare. La domanda legittima, che anche la già citata Giada Messetti si pone, è se questa regolamentazione non sia in realtà un tentativo di impedire alle aziende private di raccogliere e gestire i dati personali. Nonostante l’apparente interesse nel voler tutelare la privacy dei propri cittadini, la mossa del governo sembra orientata a rafforzare il monopolio sul controllo sociale attraverso l’utilizzo di quello che da molti viene definito l’oro del nuovo millennio, per l’appunto, le preziose informazioni personali.

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