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I fondi alla cultura: una storia destinata a ripetersi anche con il Recovery Fund?

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Alessia Zannoni

Tra gli argomenti che imperversano al Governo negli ultimi mesi, il Recovery Fund ha acquisito una valenza centrale, soprattutto per quanto riguarda i fondi alla cultura. La corretta gestione di questo strumento porterebbe a una ripresa economica e sociale per quei settori colpiti direttamente e indirettamente dalla crisi conseguente alla pandemia. Tuttavia, hanno fatto discutere le disposizioni del MiBACT in merito all’utilizzo del Recovery Fund per la cultura. Molte associazioni e realtà operanti nel settore culturale hanno messo in evidenza le problematiche che affliggono il settore e quanto si potrebbe fare per invertire la tendenza.

La situazione attuale

Anche se al giorno d’oggi la cultura non viene percepita in Italia come un elemento chiave per l’economia, in realtà rappresenta un’importante risorsa nel PIL nazionale. Cultura e turismo, infatti, contribuiscono a circa il 13% del prodotto interno lordo del Paese. Senza contare che l’Italia è tra i primi pPaesi al mondo per quanto riguarda il numero di musei e siti UNESCO presenti sul territorio. Eppure, il settore culturale viene percepito come tra i più instabili per chi ci lavora e il Recovery Fund appare come un investimento essenziale nel campo della cultura.

I tagli alla cultura sempre più stringenti, uniti a una politica gestionale – anche territoriale – poco attenta all’utilizzo strategico di risorse, hanno gettato le basi per l’odierna situazione: l’Italia possiede un patrimonio culturale immenso, ma per gran parte esternalizzato. Spesso gli organi centrali delle organizzazioni culturali si trovano così a dover scegliere tra il garantire l’offerta culturale o lo stipendio ai propri dipendenti e questo sfocia in un sistema di esternalizzazioni. Così, le attività come biglietterie, bookshop e guide turistiche vengono spesso appaltate a società esterne che ne trattengono i guadagni. A questa situazione va ad aggiungersi il fatto che chi lavora per le cooperative che gestiscono questi servizi rientra spesso sotto il CCNL Multiservizi. Quanto a retribuzione, si parla di circa sei euro lordi l’ora, anche per lavoratori in possesso di titoli qualificanti.

E il MiBACT in tutto questo? Stando alla delibera della Corte dei Conti avvenuta a dicembre 2020, il Ministero dei Beni Culturali non eccelle in quanto a spesa strategica nel settore. Si apprende, infatti, che le spese hanno un carattere emergenziale: manca quindi un piano di investimento strategico. Inoltre, risulta evidente una carenza riguardante il personale interno al MiBACT, sia per competenze – nelle quali non si è investito – sia per quantità effettiva. Per quanto la gestione abbia influito, questi risultati derivano dalla mancanza di fondi che il settore culturale affronta da ormai troppo tempo. Per questo motivo, l’attenzione a un piano che parta dal Recovery Fund e arrivi alla cultura è tanta.

Leggi anche: Il Recovery Fund e l’esito della trattativa europea.

Recovery fund: esiste un piano chiaro per i fondi alla cultura?

Cultura e turismo sono tra i settori che maggiormente hanno subito l’impatto della crisi dovuta alla pandemia. Si tratta, purtroppo, dell’ennesima riprova dei molti problemi che minano la base di questo settore e per i quali il Recovery Fund potrebbe rappresentare un punto di svolta. Investire sull’innovazione, sul rilancio territoriale e sulla formazione del personale rappresenterebbe una grande novità per il settore. Eppure, a dicembre arriva la prima batosta: alla cultura arriveranno solo 3,1 miliardi di euro. Una cifra irrisoria per quello che i paragrafi iniziali della bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza annunciano come un settore chiave. Inoltre, dando un’occhiata ai piani approvati per il turismo e la cultura, si nota una chiara inclinazione al mantenimento e potenziamento: pur trattandosi di temi importanti e necessari da affrontare, manca un piano chiaro volto alla gestione strategica del patrimonio culturale.

A gennaio arriva poi una nuova bozza in cui i fondi destinati alla cultura salgono alla cifra di otto miliardi. L’incremento servirà a raggiungere in modo più incisivo gli obiettivi trasversali citati nel Recovery Fund, quali digitalizzazione e occupazione giovanile e femminile. Tuttavia, se i fondi destinati alla cultura hanno raggiunto una cifra adeguata, i piani per il loro investimento risultano ancora poco definiti. Mancano infatti investimenti sulla produzione culturale, che in Italia è forte non solo nel comparto tangibile, ma anche in quello intangibile con numerosi festival. Un appello ad una maggiore chiarezza arriva da C.Re.S.Co. – Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea –, che ritiene il Recovery Fund decisivo nel rinnovamento del sistema culturale.

Leggi anche: Teatro e restrizioni: quale futuro?

Il dibattito sulla digitalizzazione

La digitalizzazione rappresenta un punto chiave nel testo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In quest’ottica, il MiBACT assicura impegno sia nella digitalizzazione del patrimonio, sia nella digitalizzazione dell’amministrazione. Questo permetterebbe un rilancio del settore, rendendone i sistemi più efficienti e competitivi a livello europeo. Tuttavia, due recenti comunicati del MiBACT afferenti a questa sfera hanno riaperto il dibattito.

Il primo riguarda il bando per la selezione di quaranta tirocinanti nel campo della digitalizzazione del patrimonio culturale. I requisiti richiesti sono alti, a fronte di una giovane età massima per partecipare e di una retribuzione ritenuta non adeguata. A questo si aggiunge il recente annuncio della “Netflix della cultura”, la piattaforma ITsART. La piattaforma accoglierà un repertorio che spazierà dal patrimonio paesaggistico alle arti della scena, nel tentativo di promuovere l’arte nel e del nostro Paese. La reazione del pubblico non è stata tuttavia quella sperata. In un momento storico in cui l’occupazione nel settore culturale ha raggiunto una forte criticità, ci si chiede quale sia il senso di investire in questo tipo di digitalizzazione. Soprattutto, perché investire in una nuova piattaforma dedicata dovrebbe essere la soluzione, quando si sarebbe potuto investire nell’ampliamento dell’offerta su RaiPlay?

Nonostante il forte impatto sul territorio, la cultura sembra rimanere ancora relegata a un ruolo marginale nell’economia italiana. Il Recovery Fund potrebbe essere l’occasione per indirizzare finalmente i fondi alla cultura a un rinnovo strutturale del sistema. Investire in produzioni, occupazione e digitalizzazione garantirebbe un riallineamento dell’Italia al resto dell’Unione Europea. Rimane però il dubbio che il MiBACT abbia l’intenzione e la capacità di attuare una tale risposta a una crisi derivata dalla pandemia, ma radicata più a fondo nel sistema.

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Alessia Zannoni

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