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Sport

L’Inferno e la Gloria: si corre sulla Streif di Kitzbühel

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Andrea Pedrazzi

3312 metri di lunghezza, 860 metri di dislivello e una pendenza massima dell’85%. Sono i numeri che identificano la leggendaria Streif di Kitzbühel: la pista più prestigiosa, attesa e temuta dell’intero Circo Bianco maschile. Inserita nel circuito di Coppa del Mondo di sci alpino 1967, la gara che si corre alle pendici del monte Hahnenkamm si è ben presto imposta come la classica per eccellenza. Un tracciato che per le sue peculiarità morfologiche viene oggi additato come il più complesso e spettacolare per quanto riguarda le gare di velocità (Discesa Libera e Supergigante), le quali trovano quindi in questa sede l’appuntamento focale dell’intera stagione, tanto da renderlo, secondo alcuni, un traguardo che in quanto a rilevanza supera sia le competizioni iridate che olimpiche.

«Mondiali e Olimpiadi possono disputarsi su qualunque pista, ma di Streif ne esiste una e una sola». È il motto dei sostenitori di questa teoria assolutamente condivisibile. Lo sci alpino è una disciplina outdoor che non solo deve sottostare a una serie di fattori atmosferici che possono falsarne i risultati, ma si deve anche misurare con diverse condizioni di fondo nevoso e tracciato che molto spesso possono favorire le caratteristiche di alcuni atleti rispetto ad altri.

Il traguardo della Streif

La Streif di Kitzbühel: il Tempio dello sci

Piste dal basso coefficiente di difficoltà (come quelle di Lake Louise in Canada o di Kvitfjell in Norvegia) vedono spesso l’inserimento nella lotta per le prime posizioni anche di atleti ancora acerbi in quanto a tecnica sciistica, ma che su dei tracciati privi di particolari asperità possono far valere le loro doti di scorrevolezza anche in virtù di una maggiore leggerezza psicologica, che invece viene minata nel momento in cui, uscendo dal cancelletto di partenza, essi si devono confrontare con passaggi estremamente complicati a velocità che possono superare di parecchio i cento chilometri all’ora.

Piste come la Lauberhorn di Wengen (il tracciato più lungo della Coppa del Mondo, con i suoi 4480 metri di lunghezza e anche quello in cui si tocca la massima velocità, con il record assoluto di 161,9 chilometri all’ora fatto registrare nel 2013 dal francese Johan Clarey) o la Stelvio di Bormio (a detta di molti la più stancante in assoluto, a causa delle continue ondulazioni del terreno) richiedono invece delle doti di cui solamente gli atleti più maturi e completi possono disporre. Le piste poc’anzi citate però possono solo ricoprire il ruolo di nobili alfieri di fianco alla regina di Kitzbühel, il Tempio dello sci e il luogo che più di ogni altro ha consacrato le leggende di questo sport.

Le peculiarità della Streif

Ma cosa rende questa pista così diversa da qualsiasi altra? Il tracciato si dipana in una zona tutt’altro che impervia. L’altitudine media è una delle più basse in assoluto, con una partenza posta a 1665 m.s.l.m. e l’arrivo in paese a quota 805 m.s.l.m. Rinviene però la sua unicità in alcuni passaggi estremamente delicati e senza eguali nel circuito di Coppa.

La Mausefalle

Dal cancelletto al traguardo il primo di questi tratti caratteristici che incontriamo è la Mausefalle (letteralmente “trappola per topi”), il punto più ripido della pista a cui gli atleti approdano a una velocità di che permette loro di decollare per un tratto di oltre quaranta metri, atterrando poi in una compressione a cui segue una curva verso sinistra. Un passaggio che richiede dei quadricipiti d’acciaio per resistere alle forze in gioco, oltre a una perfetta coordinazione nell’atterraggio e nell’attacco della svolta che segue. In un tratto come questo la forza è fondamentale, il coraggio è d’obbligo, ma l’esperienza è cruciale per un’adeguata impostazione tattica ed è la componente che può fare la differenza.

La Steilhang

Si scende a valle per qualche centinaia di metri e si entra in un altro punto cruciale di questa pista: la Steilhang. Una doppia curva in contropendenza in cui gli sciatori sono letteralmente schiacciati contro le reti di protezione da una pressione forsennata della forza centrifuga (a riguardo è impossibile non tornare con la mente all’agghiacciante volo di Peter Fill nel 2013, per fortuna senza conseguenze eccessivamente gravi). Ma, usciti da questo interludio infernale, gli atleti hanno appena il tempo di tirare una profonda boccata di ossigeno nei comunque tortuosi tratti di scorrimento prima di gettarsi nel passaggio che più di ogni altro sintetizza l’imponenza della Streif.

Il terrificante imbocco della Steilhang

L’Hausbergkante

L’Hausbergkante. Dopo avere affrontato i tratti appena menzionati, ai quali ne andrebbero aggiunti altri meno rilevanti ma pur sempre oltremodo impegnativi, gli atleti possono scorgere finalmente la folla oceanica che abitualmente si ammassa al traguardo. Questo però, non significa ancora poter allentare la pressione sugli sci, sollevarsi e respirare. Anzi, il fulcro della discesa deve ancora essere affrontato.

Dopo la Steilhang e un tratto meno insidioso ma molto delicato immette su un altro pendio estremamente ripido, sul quale gli atleti saltano per diverse decine di metri, dovendo però già pensare a come immettersi nell’incubo che li attende. Una lunga diagonale in cui le lamine degli sci devono essere agganciate a un terreno estremamente ripido (si dice che i gatti delle nevi per battere questo segmento debbano essere legati a dei cavi per non rovesciarsi). Su di questo per mantenere l’equilibrio serve una portentosa resistenza degli addominali e il fisico già stremato dagli sforzi appena compiuti deve mantenere la posizione aerodinamica per imboccare poi la picchiata sullo schuss finale, il rettilineo verso il traguardo dove un pubblico da stadio solleva il suo ruggito.

Leggi anche: Sci alpino, torna lo spettacolo del Circo Bianco.

La pista delle leggende

Per affrontare le numerose traversie che caratterizzano la Streif è dunque necessaria una tecnica sopraffina, unita a una massiccia dose di coraggio e di fiducia nelle proprie capacità. Elementi, questi ultimi, che in una disciplina come la Discesa Libera si ottengono solamente con l’esperienza. Tant’è vero che convenzionalmente i velocisti raggiungono l’apice del loro rendimento fisico e attitudinale a ridosso dei trent’anni e quindi dopo diverse stagioni di agonismo in Coppa.

Il tutto si complica ulteriormente a Kitzbühel, dove le difficoltà della pista e le doti richieste per affrontarle vengono esponenzialmente amplificate, rendendo la Streif il vero banco di prova per i fenomeni di questo sport. L’albo d’oro annovera quindi i nomi dei più grandi velocisti della storia, a partire dallo svizzero Didier Cuche che qui ha conquistato ben sei (cinque in Discesa e una in Superg) delle ventuno vittorie ottenute in carriera. Tra gli altri plurivincitori ci sono i “mostri” austriaci  Franz Klammer e Karl Schranz, rispettivamente a quota quattro e tre  vittorie in Discesa Libera. A un altro austriaco, Hermann Maier, spetta il primato di vittorie in Supergigante con cinque successi.

La follia di Kristian Ghedina poco prima dell’arrivo nella Discesa del 2004

Leggi anche: Pyeongchang 2018, arrivano le Olimpiadi invernali.

L’albo d’oro italiano

Tra gli sciatori in grado di domare la Streif ci sono anche tre italiani. Il primo fu Kristian Ghedina nel 1998. Ghedina è ricordato principalmente per il numero folle regalato ai tifosi nel 2004, quando concluse la discesa con una spaccata in volo a 140 chilometri all’ora! Nel 2016 è stata la volta del già citato Peter Fill, che ottenne la sua rivincita contro questa Bestia dopo il terribile incidente del 2013.

Ma quando si parla di azzurri sulla Streif c’è un solo nome a svettare su tutti: Dominik Paris. L’atleta della Val d’Ultimo conquistò il suo primo successo in Discesa nella località tirolese a soli ventitré anni (nel 2013) per poi replicare nel 2017 e nel 2019, senza farsi mancare un trionfo anche in Supergigante nel 2015. Quattro vittorie che lo rendono non solo l’atleta italiano più vincente di sempre su questo tracciato, ma anche lo sciatore attualmente in attività ad aver domato più volte la pista delle leggende.

Dominik Paris si prepara ad affrontare la Hausbergkante

Sarà l’anno di Dominik Paris?

Quest’anno Paris è reduce dal grave infortunio che lo bloccò durante la scorsa stagione propria in vista delle gare di “Kitz”, alle quali arrivava come favorito d’obbligo dopo la storica doppietta di Bormio a fine dicembre 2019 (sulla Stelvio, in cui invece Paris è il padrone incontrastato con sei trionfi in carriera) e dopo essere riuscito ad amicarsi per la prima volta anche la sua Nemesi, quella Lauberhorn di Wengen sulla quale pochi giorni prima della sospensione della sua attività aveva agguantato un preziosissimo secondo posto alle spalle del grande rivale svizzero Beat Feuz.

Il rientro del nostro campione si è rivelato complicato, con tratti di gara in cui ha lasciato intravedere il suo valore e altri in cui non è ancora sembrato pienamente a suo agio, senza quella capacità di spingersi oltre i suoi limiti che lo rendeva unico nel panorama agonistico. Una parziale rinascita è però arrivata nella discesa sulla Stelvio dello scorso dicembre, dove Paris si è di nuovo giocato la vittoria, chiudendo quarto a soli tredici centesimi dal vincitore Matthias Mayer. È dunque difficile avere delle attese precise su Paris in questa edizione dell’Hahnenkamrennen, che per la prima volta (causa variazioni di calendario dovute al Covid-19) ospiterà ben due gare di Discesa Libera e una di Supergigante. Ciò che resta assicurato però è che, anche senza i settantamila tifosi in attesa sul traguardo più prestigioso, lo Spettacolo non mancherà sulla pista più bella del mondo.

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