È passato poco più di un mese dall’inizio della 75esima edizione del campionato NBA. La gloria per i Los Angeles Lakers, vincitori delle Finals 2020, è stata breve ma intensa, con i classici e inutili paragoni tra la stella assoluta della lega LeBron James e quello che negli States viene definito The G.O.A.T. Michael Jordan. Se la pre-season è stata pressoché inesistente non si può certo dire lo stesso del “mercato” NBA, almeno sulla carta, che prometteva veri e propri botti e trade da capogiro ma che in fin dei conti si è concluso con tanto hype e pochissime novità.
A novembre gli appassionati di pallacanestro si erano concentrati sulle trattative che ruotavano attorno all’MVP in carica Giannis Antetokounmpo e sul futuro di Anthony Davis. In alcuni istanti le due cose sembravano quasi correlate, con l’ex Pelicans in attesa della decisione del greco per un eventuale big-three senza eguali nella prossima stagione, ma poi tutto si è concluso con le permanenze rispettivamente ai Bucks e ai Lakers con contratti da 228 e 190 milioni in cinque anni. L’unica vera novità è stata la trade tra l’MVP del 2017 Russell Westbrook e l’All Star John Wall, con il primo accasato agli Wizards e Wall in Texas. Ma parlando di campo, cosa ci ha detto questa prima fase regular season NBA accorciata a 72 partite?
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Steph Curry si è ripreso l’NBA, ma basterà a Golden State?
Dopo l’ennesimo infortunio del minore degli Splash Brothers Klay Thompson, in molti avevano scommesso su un’altra stagione nelle retrovie della Western Conference per i Golden State Warriors dopo un’annata conclusa con 15 vittorie e 50 sconfitte. L’addio di Kevin Durant nel 2019 e la maledizione di Thompson avevano comportato delle statistiche impietose per gli uomini di Steve Kerr che, fino a un paio di anni fa, erano considerati la miglior franchigia di sempre. Tuttavia, i Warriors sono riusciti a portare nella Baia un talento interessante come James Wiseman, selezionato con la seconda scelta del Draft 2020 che si sta ritagliando spazi in un team importante e blasonato. Note meno liete per l’azzurro Nico Mannion che stenta a entrare nelle rotazioni di coach Kerr ma che continua di dichiararsi felice dell’occasione concessagli da Golden State.
Abbiamo parlato di Wiseman e di Mannion, ma quando si parla dei Warriors è inevitabili focalizzare l’attenzione sul due volte MVP della regular season NBA Steph Curry. Il numero 30 ha iniziato la stagione da autentico dominatore, quasi ai livelli del biennio 2015/2016, periodo in cui ha messo in mostra un basket ingiocabile per chiunque. Il figlio di Dell ha letteralmente rialzato l’asticella e nella partita contro Portland ha sgretolato il suo career-high mettendo a referto 62 punti. Le medie realizzative di Curry in questo avvio di regular season sono da MVP, seconde solo a James Harden, ma la strada per accedere ai playoffs per i Warriors è ancora molto lunga e impervia. Ciononostante, con un Curry così non è il caso di scommettere contro Golden State!
La trade che ha stravolto la lega
Con il ritorno sul parquet di Kevin Durant, l’attenzione del mondo NBA è tornata a New York sponda Nets dopo tanti anni. Il settimo posto a est della scorsa stagione condito da un’eliminazione per 4 a 0 contro i Raptors aveva fatto storcere il naso ai tifosi dei Brooklyn Nets contro la stella Kyrie Irving che, senza il numero 7, si era ritagliato il ruolo di leader senza grandi risultati. Dopo i playoffs 2020, i Nets hanno deciso di affidare le chiavi della squadra a coach Steve Nash, ex playmaker dall’intelligenza cestistica fuori dal comune e già due volte MVP. Con l’arrivo dell’ex numero 13 dei Suns e il ritorno di Kevin Durant in tanti avevano caricato di attese i Nets, definendoli addirittura dei potenziali vincitori dell’anello. Tuttavia, l’inizio di stagione non è stato di certo entusiasmante, fino alla trade che ha letteralmente stravolto l’NBA.
La franchigia di Brooklyn è già entrata nella storia della lega per una delle trade più folli e, con il senno di poi, scriteriate di sempre: nel 2013, infatti, i Nets avevano deciso di scambiare il loro futuro per garantire l’approdo nella Grande Mela di due All Stars come Kevin Garnett e Paul Pierce, rispettivamente trentasettenne e trentaseienne. All’epoca i Celtics si erano sfregati le mani e a oggi continuano a godere di quella trade. Perché citiamo questo episodio? Perché i Nets hanno messo a segno un’operazione che, seppur con molte differenze, ricorda almeno “in uscita” l’esperienza del 2013.
Il GM Sean Marks ha portato a New York niente meno che James Harden, ormai ai ferri corti con i Rockets e che manifestava la sua insoddisfazione da mesi. Il miglior marcatore delle ultime tre stagioni va a formare uno dei big-three potenzialmente più forti di sempre assieme a Kevin Durant, suo ex compagno ai Thunder, e Kyrie Irving, che però non ha preso benissimo l’arrivo di Harden e sta continuando a mettersi in luce più fuori dal campo che dentro. Il “Barba” all’esordio ha messo a referto una tripla doppia da capogiro, quasi a voler mettere in chiaro che a est le gerarchie ora sono tutte appannaggio dei Nets. Unico neo: devono vincere nel breve periodo, nel giro di massimo due o tre anni, altrimenti la trade potrebbe rievocare i fantasmi del passato.
Le due sponde di Los Angeles
Nella città degli angeli le due franchigie stanno mantenendo alti i ritmi, confermandosi come le due principali teste di serie della Western Conference. I campioni in carica sono i principali favoriti per l’anello e i rinforzi del supporting cast non hanno fatto altro che aumentare le aspettative sui gialloviola. Oltre al duo di fuoriclasse James-Davis, gli uomini di Vogel hanno rinforzato il roster firmando il Sixth Man of the Year 2020 Harrell, che è passato dalla sponda Clippers a quella dei Lakers; si sono accaparrati un uomo esplosivo come Dennis Schröder e tanta esperienza con lo spagnolo Gasol. James come al solito sta proponendo prestazioni da MVP e anche quest’anno lotterà fino alla fine per aggiudicarsi il titolo di miglior giocatore della regular season NBA che non vince dal 2013. Il minutaggio è leggermente calato ma l’età avanza ed è giusto quindi preservare il miglior cestista del terzo millennio.
Anche sulla sponda meno blasonata di Los Angeles la situazione è abbastanza tranquilla. Dopo la sconfitta da record contro i Mavericks, i Clippers hanno inanellato ottimi risultati soprattutto grazie a un Paul George in grande spolvero. Sulla carta solo i Lakers, a oggi, hanno un duo del livello di George e Leonard; ma gli uomini di coach Tyrron Lue stano ancora trovando una quadra in grado di portarli sulla vetta della Western Conference. Se un giorno non troppo lontano Kawhi Leonard e Paul George riusciranno a capire come rendere al meglio in coppia probabilmente non ce ne sarà più per nessuno.
Chi incanta e chi delude
Dopo un inizio abbastanza movimentato e per certi versi inaspettato di regular season NBA, le gerarchie delle due conference sembrano aver preso una forma chiara. A ovest le due franchigie di Los Angeles amministrano senza grossi problemi, mentre i Suns si stanno dimostrando una delle sorprese della lega. L’arrivo a Phoenix di Chris Paul ha sicuramente giovato a una franchigia che negli ultimi anni ha sempre faticato molto. Inoltre, la prima scelta del Draft 2018 Deandre Ayton sembra aver fatto un grande salto di qualità e, assieme a Jae Crowder e all’All Star Devin Booker, la franchigia dell’Arizona potrebbe davvero essere l’underdog della stagione, ovviamente senza mire di anelli.
Straordinario fino ad ora il percorso degli Utah Jazz che grazie a Donovan Mitchell e Rudy Gobert hanno portato la franchigia di Salt Lake City ad una streak di vittorie a doppia cifra. A est molto bene i Sixers, guidati da un super Joel Embiid chiamato assieme a Ben Simmons a riportare Philadelphia in vetta alla Eastern Conference, Bucks e Celtics permettendo.
Sotto le attese l’avvio di regular season NBA dei Nuggets, reduci da una finale di Western Conference nel 2020, che stentano a trovare continuità di risultati. A poco per ora sono serviti gli “straordinari” di Nikola Jokic che viaggia su cifre da MVP. L’approdo ai playoffs per Denver è l’obiettivo minimo, ma serve un cambio di rotta. Male anche i Pelicans di Zion Williamson e Brandon Ingram e gli Heat, reduci dalla finale NBA contro i Lakers, che sembrano aver perso quel brio che tanto aveva incantato i tifosi.
Con le due franchigie di Los Angeles sugli scudi nella Western Conference e i Nets con un potenziale stratosferico, riuscirà qualche squadra a inserirsi nel discorso per il titolo come hanno fatto i Miami Heat nella scorsa stagione?