La direzione del pensiero. Matematica e filosofia per distinguere cause e conseguenze è il nuovo libro di Marco Malvaldi, pubblicato per i tipi di Raffello Cortina Editore.
Noto romanziere giallo e saggista scientifico, Malvaldi ha dedicato la sua ultima opera al tema della causalità, che, come recita il titolo, fa da ponte tra l’ambito matematico e quello filosofico.
Occuparsi di causalità significa infatti trattare serie temporali, ovvero variabili che cambiano nel tempo, e interpretare le relazioni tra le variabili stesse.
La direzione del pensiero si apre con la poesia di Kipling Sei onesti servitori, dedicata al valore dei perché. Il perché, infatti, è alla base dell’imparare. Proprio la capacità di ragionare in modo astratto è ciò che ha consentito a Homo Sapiens di sopravvivere nel corso di migliaia di anni. Si tratta di un vantaggio evolutivo che gli ha permesso di collaborare con altri in grandi numeri, di apprendere e di guardare più lontano. Tra le capacità astratte di Homo Sapiens riveste notevole importanza quella di distinguere tra cause e conseguenze.
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Ne La direzione del pensiero Malvaldi affronta il concetto di causalità sotto tre diversi punti di vista.
Nella prima parte viene trattata la causalità come capacità di prevedere il futuro. In questo senso essa viene assimilata alla direzione del tempo. Il capitolo si apre con un aneddoto tratto dalla storia della medicina.
Karl von Rokitansky, anatomopatologo dell’Ottocento, faceva visitare ognuno dei pazienti del suo ospedale dal medico Josef Škoda, che lo auscultava con lo stetoscopio. Se il paziente moriva, Rokitansky eseguiva l’autopsia ed era così in grado di collegare ciò che vedeva con ciò che Škoda aveva precedentemente auscultato. In pratica, non solo era in grado di individuare le cause della morte, ma anche di metterle in relazione con i rumori dello stetoscopio. Al tempo stesso era capace di predire eventuali conseguenze sulla base di osservazioni empiriche.
A proposito di causalità e previsione del futuro, Malvaldi presenta gli studi di Norbert Wiener, allievo del noto filosofo Bertrand Russell, sulla predizione delle serie temporali, e quelli di Clive Granger, premio Nobel per l’economia, ideatore della cosiddetta G-causality.
Il battesimo della causalità come disciplina scientifica avvenne proprio con Norbert Wiener, che durante la seconda guerra mondiale cercò di prevedere con un algoritmo le traiettorie degli aerei in modo da progettare un sistema di puntamento automatico.
È stato inoltre con Granger che la causalità è uscita dal regno della filosofia speculativa per entrare a far parte della cosiddetta analisi dei dati. In tutto ciò ha giocato un ruolo fondamentale la matematica: il linguaggio comune di Russell, Wiener e Granger. Essa ha consentito a tutti e tre di esprimere idee fantasiose in modo formale e rigoroso, rendendo semplici dei concetti troppo complessi per essere comunicati a parole.
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Nella seconda parte de La direzione del pensiero l’autore illustra la causalità come capacità di intervenire in concreto sugli eventi presenti, o in astratto su eventi già successi, per chiedersi in che modo un intervento li potrebbe, o li avrebbe potuti, modificare. Qui un posto centrale occupa la teoria del cosiddetto calcolo causale, o calcolo-do di Judea Pearl, il fondatore della moderna teoria della causalità matematica.
Secondo Pearl nello studio della causalità è fondamentale andare oltre l’osservazione e immaginarsi cosa accadrebbe se, ovvero, «in termini matematici, intervenire sul sistema, chiedendosi quale sarebbe l’effetto di una data variabile se noi la forzassimo ad avere un determinato valore.»
Un altro aspetto fondamentale della causalità è dato dal ragionamento controfattuale, basato sul principio del “cosa sarebbe successo se non…”.
«Il ragionamento controfattuale è quello che in continuazione gli esseri umani applicano per capire come sarebbero andate le cose, se uno solo dei bivi lungo i quali hanno viaggiato gli eventi fosse stato imboccato nell’altra direzione». Nella causalità matematica i controfattuali servono per distinguere l’importanza delle concause.
Infine l’ultima parte de La direzione del pensiero è dedicata alla possibile origine di uno dei processi più misteriosi della mente umana: la coscienza. Se infatti, come affermano molti neuroscienziati, la coscienza è un processo, un’oscillazione continua tra percezione, memoria e previsione, essa si basa sulla causalità. Lo stesso vale per il libero arbitrio, ovvero il decidere di fare o non fare qualcosa sulla base della previsione dei risultati.
L’autore spiega come il nostro cervello organizzi la realtà in categorie, a partire da segnali provenienti dal mondo esterno. La categorizzazione è un’attività fondamentale per la previsione del futuro, legata come abbiamo visto alla causalità.
Malvaldi si sofferma quindi sulla fisiologia del cervello e sulla teoria dell’informazione integrata (IIT), sviluppata da Giulio Tononi. «Secondo la IIT la coscienza emerge dall’interazione delle parti funzionali del cervello, le quali grazie ai loro collegamenti creano una scena coerente.»
La conclusione dell’opera torna al tema del linguaggio, o meglio, dei linguaggi che definiscono la causalità. Da una parte quello verbale, fatto di segni, parole e frasi, dall’altro quello matematico, fatto di numeri, formule e proporzioni. Entrambi risultano indispensabili per trattare il tema della causalità, che ci dimostra quanto scienza e filosofia siano inestricabilmente legate tra di loro.
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