L’amministrazione Biden ha assunto i posti di comando a Washington da appena due settimane, ma il quarantaseiesimo Presidente degli Stati Uniti ha già invertito la rotta su diversi provvedimenti presi da Trump. Fra gli altri, fare chiarezza nei rapporti con le due grandi potenze rivali, la Russia e la Cina, e capire come cambia la politica estera.
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Partiamo dalla Russia, con il cui imperituro presidente Putin c’è già stato un eloquente scambio telefonico. Biden vuole intraprendere una linea dura, specialmente dopo l’umiliazione dell’attacco informatico scoperto poco prima delle elezioni. La presenza di Trump alla Casa Bianca aveva creato un rapporto con la Russia a dir poco controverso. Se l’inchiesta sulla collusione nelle elezioni del 2016 non aveva fornito prove, il coinvolgimento di Mosca nella sua ascesa alla Casa Bianca non è mai stato escluso del tutto. Inoltre, come racconta chiaramente un resoconto dell’ISPI, l’annessione della Crimea, così come l’intervento militare russo in Siria a sostegno del regime di Bashar al-Assad e le operazioni di “guerra ibrida” eseguite in tutto il mondo, sono per Washington la conferma che la Russia post-sovietica, nonostante non possa rivaleggiare con gli Stati Uniti quanto a spese militari, rimane un avversario e una fonte di instabilità internazionale.
Nel corso della presidenza, la politica estera di Trump si è sempre basata sul concetto di “America First”: azione unilaterale, più lontana dagli alleati tradizionali – che definiva, ironicamente, «weaklings» – e più vicina agli avversari storici. Durante la prima campagna elettorale, aveva detto apertamente che avrebbe diminuito il ruolo del Paese nelle alleanze di sicurezza, tra cui la NATO e i trattati di mutua difesa con Corea del Sud e Giappone.
Sotto molti aspetti, è stato esattamente così. La sua fascinazione verso Vladimir Putin ha assunto forme diverse, tra cui incontri segreti nel 2017 e ripetuti tentativi di sminuire la portata dell’invasione della Crimea. Trump non ha mancato poi di invitare il leader russo alla Casa Bianca e di chiedere la riammissione della Russia nel G7, nonché di negare le accuse che il governo russo prenda di mira giornalisti e oppositori politici (ultimo di una lunga lista, Aleskei Navalny). L’ISPI aggiunge poi che durante l’amministrazione Trump gli Stati Uniti hanno approvato anche il più grande invio di armi all’Ucraina dall’inizio della crisi in Crimea e si sono ritirati dal trattato INF, uno dei principali accordi di riduzione degli stock missilistici siglati da USA e URSS negli anni Ottanta.
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Biden ha intenzioni ben diverse. Già nel 2018 aveva messo la firma a un articolo in cui spiegava che Putin mette in serio pericolo la democrazia occidentale. La sua politica verso la Russia si baserà sul pesante uso di sanzioni, l’espansione e il potenziamento della NATO e la creazione di un fronte democratico internazionale che possa fare da argine a vecchi e nuovi autoritarismi. In campagna elettorale, ha dichiarato che «la farà pagare» alla Russia per gli innumerevoli tentativi di influenzare le elezioni – incluse le sue. Per il momento, ha messo in chiaro che gli Stati Uniti agiranno con mano ferma in difesa dei propri interessi nazionali, e sembra che i due presidenti siano d’accordo sul mantenere scambi «trasparenti e frequenti».
Intanto, Biden corre ai ripari per rinnovare il trattato New START, in scadenza il 5 febbraio – l’ultimo baluardo degli accordi sulle armi nucleari rimasto tra Russia e USA. Trump aveva insistito per estenderlo anche alla Cina, la quale però non ha mai acconsentito a unirsi. Anche se l’attuale accordo, siglato nel 2010 da Obama, ha delle lacune notevoli – ad esempio, include solo le armi a lungo raggio, e non quelle tattiche, a corta gittata – il nuovo Presidente non vuole correre rischi, e afferma che tornerà a parlare della preoccupante espansione delle forze nucleari cinesi in un secondo momento.
Per quanto riguarda la Cina, la situazione assume contorni meno definiti, e Biden non sembra avere fretta di invertire la rotta tracciata dal suo predecessore. Infatti, come spiega la CNN, a inizio 2020 Trump aveva cercato di pacificare i rapporti con Pechino, dopo due anni di estenuante guerra commerciale, diminuendo le sanzioni verso i beni cinesi. In cambio, la Cina si impegnava ad acquistare duecento miliardi di dollari in prodotti americani. Ad agosto, era riuscito persino a dichiarare che «la Cina sta comprando un sacco, un sacco di roba, per farmi felice».
A fine anno, invece, la situazione è precipitata di nuovo. Trump non è riuscito a mettere a tacere alcune delle lamentele principali di Washington, tra cui le accuse che la Cina si appropri delle tecnologie americane. Nelle ultime settimane la tensione è cresciuta ancora: Trump ha sfruttato i suoi ultimi giorni per aggiungere altri nove colossi industriali cinesi alla lista delle sanzioni, fra cui Xiaomi, di recente salita al terzo posto fra le principali aziende produttrici di smartphone.
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Su questo punto, dunque, Biden e Trump sembrano piuttosto d’accordo. Il nuovo presidente ha più volte dichiarato che le pratiche commerciali «abusive» della Cina mettono a serio rischio gli Stati Uniti, e ha anche criticato aspramente gli abusi dei diritti umani perpetrati nel corso delle proteste a Hong Kong. Di recente ha definito la Cina il principale nemico americano a lungo termine.
A differenza di Trump, comunque, il piano di Biden contro il nemico asiatico prevederebbe un approccio multilaterale supportato dai Paesi alleati, per massimizzare la pressione su Pechino. L’opposto, dunque, della politica “America First” adottata dal predecessore. Ci vorrà del tempo, però, per costruire il consenso necessario. I nuovi membri del gabinetto, per ora, si posizionano molto vicini ai precedenti, primo fra tutti Antony Blinken, il segretario di Stato, le cui dichiarazioni ricordano molto quelle del trumpiano Mike Pompeo. Durante il suo discorso inaugurale di fronte alla Commissione Affari Esteri del Senato, ha criticato il modo in cui la Cina ha affrontato la crisi Covid-19, ha affermato l’importanza del supporto militare a Taiwan e ribadito le violazioni della democrazia a Hong Kong.
Si apre, dunque, una nuova questione: con l’arrivo di Biden, Mosca e Pechino diventeranno un fronte unito, alleato contro la potenza occidentale? Per il momento, sembra che i loro interessi siano ancora inconciliabili. Lo scopriremo con il tempo.
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