«Chiama tua mamma, vai a fare i tuoi riti voodoo di m***a, piccolo asino».
Questa frase, catturata dai microfoni della Rai durante la partita Inter-Milan di Coppa Italia dello scorso 26 gennaio 2021, è stata pronunciata dal fuoriclasse svedese Zlatan Ibrahimovic nei confronti dell’attaccante dell’Inter Romelu Lukaku, belga di origini congolesi, dopo un duro scontro di gioco. Le parole che hanno acceso gli animi del derby e, soprattutto, dei due protagonisti, poi squalificati proprio per l’imbarazzante teatrino fatto di insulti e minacce, fanno riferimento a un episodio controverso risalente al 2017 quanto Lukaku era in forza all’Everton, in procinto di lasciare il club.
Secondo Farhad Moshiri, principale azionista dell’Everton, nel bel mezzo delle trattative che nel 2017 portarono l’attaccante belga al Manchester United fu apparentemente decisivo un rito voodoo al quale assistette Adolphine, madre del giocatore, in un suo viaggio in Congo. Lukaku, già al tempo, smentì queste voci e soprattutto qualsiasi relazione tra la sua famiglia e il voodoo, professandosi sempre molto cattolico così come sua madre, arrivando, poi, a minacciare di querela chiunque avesse cavalcato questa notizia. Come siano andate effettivamente le cose, ovviamente, non possiamo saperlo; ciò che questo siparietto ci lascia, però, è l’enfasi estrema posta sull’episodio del 2017 e in particolare sul voodoo, parola che si carica simultaneamente di stereotipi e negatività, paura e imbarazzo, anche se non dovrebbe.
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Il voodoo, differentemente da quanto si possa pensare, è una vera e propria religione con tanto di pantheon di divinità, cosmologia, dottrine e riti: nonostante ciò, è spesso erroneamente associato a qualsivoglia tipo di credenza spiritica e manipolazione stregonesca.
Il termine si riferisce a una serie di culti diffusi tra le popolazioni Yoruba, Fon ed Ewe, provenienti dall’area africana compresa tra il Benin – dove è religione riconosciuta – la Nigeria e il Togo, ma anche alle espressioni sincretiche sviluppatesi specialmente a Haiti e in Louisiana a seguito dell’inserimento coatto di schiavi provenienti dall’Africa in Centro e Nord America a partire dal XVI secolo. A tal proposito è utile precisare che la parola “voodoo” è usata principalmente per riferirsi alla sua versione in Louisiana: si preferisce, invece, “voudou” per la versione haitiana e “vodu” o “vodun” per le versioni africane.
Il vodu africano, a grandi linee, si basa sulla venerazione della natura e degli antenati, sulla coesistenza del mondo dei vivi con quello dei morti e sull’importanza dell’anima, scissa in due componenti fondamentali: una strettamente corporea e una volatile, in grado di lasciare il corpo. A capo delle divinità del vodu c’è Mawu (detto anche “Buon Dio”), entità creatrice immanente e irraggiungibile che non si interessa del mondo degli uomini e lascia che il rapporto con il divino sia a carico di alcune figure intermedie chiamate loa/orisea. Questi ultimi sono innumerevoli: ognuno fa riferimento a uno specifico ambito e ha le proprie qualità e caratteristiche, tra cui l’essere “buono” o “cattivo”. Gli uomini interagiscono con i loa/orisea attraverso un complesso sistema cerimoniale e rituale caratterizzato da offerte sacrificali animali, danze e canti, riti di possessione e trance coordinati da specifiche figure sacerdotali chiamate ougan se uomini, mambo se donna.
Le celebrazioni, secondo molti, sono spettacolari e confusionarie, un insieme di corpi che si muovono singolarmente ma in armonia. Sono feste sacrali che poco hanno a che fare con l’immaginario di un “rito vudù” e molto più in comune con alcune feste religiose convenzionali. Senza entrare nei dettagli, il vodu possiede alcuni elementi che, all’apparenza, sono molto simili o comunque assimilabili al cristianesimo: il buon Dio creatore, entità spirituali simili ad angeli o santi, il corpo, il sacrificio eccetera. Proprio per questo molti cristiani in Africa e a Haiti non rinunciano alle pratiche e ai rituali vuduisti, anzi in molte realtà queste due religioni vanno di pari passo (potrebbe essere questo il caso della famiglia di Lukaku?).
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A distinguere il vodu, tra i tanti dettagli, è la presenza, pur non essendo prerogativa del culto, di comparti di magia nera ed elementi associati alla stregoneria e al mondo dell’occulto (come gli zombi, non zombie!). Proprio per questo e per i continui – e necessari – sacrifici animali, tale religione è stata spesso perseguitata e screditata, soprattutto dalle posizioni coloniali e cristiane (ufficiali o istituzionali). Queste ultime hanno contribuito, nel tempo, alla negativa rappresentazione della religione, amplificata dai media tradizionali e soprattutto dall’industria cinematografica fantastica/horror.
Le famose “bambole voodoo” altro non sono che un infondato e caricaturale simbolo utilizzato spesso per screditare il vodu, i riti e i suoi seguaci, spaventare e puntare il dito contro pratiche rituali sconosciute ed “esotiche”. Un prodotto prettamente occidentale delle idee razziste e pregiudizievoli che ancora oggi colpiscono l’Africa e il mondo americano, configurandosi come una delle tante risonanze postcoloniali.
Numerosi registi e sceneggiatori nel corso della storia del cinema hanno cavalcato il voodoo e i suoi (presunti) riti stregoneschi per pellicole di grande successo. Basti pensare a grandi film come Indiana Jones e il tempio maledetto (1984) o il più recente Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare (2011), dove sia Indy che Jack Sparrow vengono minacciati con una bambolina voodoo avente le loro sembianze. Anche prodotti destinati a un pubblico di bambini, poi, sono costellati di tali stereotipi. Numerosi episodi e lungometraggi della serie animata Scooby Doo ruotano attorno al voodoo. Anche la Disney con La principessa e il ranocchio (2009) restituisce una spaventosa rappresentazione del culto della Louisiana attraverso la figura antagonista del Dottor Facilier.
Sono proprio queste errate immagini dei culti voodoo a caricare questa parola di stereotipi e concetti negativi, tanto da usarla in frasi ingiuriose, insulti e minacce dalle quali ci si deve necessariamente difendere prendendone le distanze.
Non è un caso, dunque, che Ibrahimovic abbia utilizzato quell’episodio e quelle parole per insultare Lukaku, e che quest’ultimo si sia sentito in dovere, in più occasioni, di prendere le distanze dal voodoo per proteggere la propria immagine e quella della sua famiglia. Nonostante ciò, nel mondo del calcio ancora sono frequenti rimandi a riti, “macumbe”, scaramanzie adottate da calciatori africani. Già Adebayor, ai tempi del Tottenham, accusò la sua stessa madre di stregoneria: la donna, secondo il calciatore, spinta dall’invidia maturata verso il successo del figlio, avrebbe agito magicamente su di lui per rovinargli la carriera. Per non parlare, poi, dei campionati nazionali africani e della Coppa d’Africa. Vere e proprie occasioni nelle quali è possibile assistere a riti (voodoo e non) e sacrifici propiziatori per far vincere la propria squadra o far perdere quella avversaria. Numerose testate giornalistiche, sportive e non, da anni scrivono pezzi su presunti usi di stregoneria, magia nera e incantesimi associati a queste competizioni.
Articoli, post, tweet del genere, o su argomenti ed episodi come quello dello scontro tra Ibra e Lukaku, scritti spesso senza cognizione di causa e, com’è ormai d’uso comune, esclusivamente per fare click e condivisioni, non fanno altro che aumentare un divario culturale già ampio, alimentando spesso il razzismo non esplicito, quello più interiore, insito nel subconscio del lettore medio, del tifoso di calcio, dell’occidentale: quello di chi distingue tra un “noi qui” e un “altro là”.
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