Le dimissioni di Zingaretti
Con un annuncio su Facebook Zingaretti si è dimesso da segretario del Pd. Nel suo sfogo il segretario si dice amareggiato che nel suo partito si discuta solo di poltrone e di correnti contrapposte. Riportiamo integralmente il post:
Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni.
Sono stato eletto proprio due anni fa. Abbiamo salvato il Pd e ora ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee, la nostra visione. Dovremmo discutere di come sostenere il Governo Draghi, una sfida positiva che la buona politica deve cogliere.
Non è bastato. Anzi, mi ha colpito invece il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto. Non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni.
Ma il Pd non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa in una guerriglia quotidiana. Questo, sì, ucciderebbe il Pd.
Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. L’Assemblea Nazionale farà le scelte più opportune e utili.
Io ho fatto la mia parte, spero che ora il Pd torni a parlare dei problemi del Paese e a impegnarsi per risolverli. A tutte e tutti, militanti, iscritti ed elettori un immenso abbraccio e grazie.
Zingaretti si lamenta di uno dei mali atavici del Pd, cioè la divisione in correnti e la «guerriglia quotidiana», che è presente nel partito da anni e che ha raggiunto il suo massimo apicale quando i centouno franchi tiratori sabotarono l’elezione di Prodi a Presidente della Repubblica. Problema che nel tempo ha portato a scontri e dissidi interni, provocando abbandoni (Pierluigi Bersani e Giuseppe Civati) ed eliminazioni politiche (Ignazio Marino).
A destra si è accolta la notizia con soddisfazione o indifferenza, a seconda dei casi, e ciò rientra nel normale gioco della contrapposizione politica. A sinistra (la sinistra a sinistra del Pd) invece, si è reagito con autentica gioia. La possibilità di un crollo del Pd è stata accolta dagli elettori come una grande notizia.
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Il Pd è (anche) di sinistra
Basta leggere qualche commento su Facebook per accorgersene. Il problema del Pd non è la destra, ma la sinistra, quella totemica sinistra “vera” che in Italia tutti vogliono, ma nessuno sa dove sta. L’argomento di molti elettori (un esempio sono i post di pagine come Socialisti Gaudenti e Hipster Democratici) con sensibilità di sinistra è che il Pd non sarebbe di sinistra, quindi non ci sarebbe nessuna ragione di votarlo.
Anzi, se il partito dovesse sfasciarsi, meglio così, finalmente ci sarebbe spazio per la sinistra autentica. Il problema è che la sinistra “autentica”, oltre a non essere ben identificabile, a causa delle continue scissioni e del fatto che c’è sempre qualcuno pronto a dichiararsi più a sinistra di chi osa pensare di esserlo, ha percentuali da prefisso telefonico e non conta praticamente niente. A questo punto, viene da chiedersi cosa votano quelle persone, onnipresenti sul web ma assenti nel Paese reale, che pur di sinistra non votano Pd. Perché PaP o Possibile non hanno il venti per cento?
Considerare il Pd di destra è ormai una moda, qualcosa che bisogna dire per dimostrarsi spiritosi, un elemento fondamentale per accedere ai circoli hipster, ma spesso chi lo dice non conosce il partito a fondo. Certo, sono stati commessi molti errori che hanno alimentato questa convinzione e hanno allontanato gli elettori: il Jobs Act, l’abolizione dell’articolo diciotto, la presenza di personaggi come Minniti, il piegarsi al sistema neoliberista, la ridotta rappresentanza delle donne in ruoli apicali, gli elogi a Barbara D’Urso e l’aver definito Conte il «leader dei progressisti», auto-scippandosi un ruolo di primaria importanza che Zingaretti invece si sarebbe dovuto conferire per essere credibile.
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Eppure, sebbene sia difficile definirlo nel suo complesso di sinistra, ci sono elementi che sono indubbiamente di sinistra: la base è il più ampio gruppo di persone veramente di sinistra esistente oggi in Italia. Sono cittadini sinceramente democratici che investono tempo e risorse nel partito e che vogliono davvero il bene di questo Paese. Questo gruppo è capace di organizzare esperienze sociali uniche in Italia (e nel mondo), come le Feste dell’Unità, ed è la vera e più autentica eredità del Pci. All’interno del Pd ci sono anche molte personalità che sono di sinistra in tutto e per tutto: Gianni Cuperlo, Marcella Zappaterra, Iacopo Melio, Giuditta Pini, Monica Cirinnà e molti altri. Inoltre il Pd si batte per vedere riconosciuti i diritti delle persone LGBT ed è profondamente antifascista e antirazzista. Il Problema vero, semmai, non è che il Pd non è di sinistra, perché non è vero, è che gli elementi di sinistra al suo interno attualmente contano poco.
Nessuno vuole un Pd di sinistra
La verità è che in Italia tutti si lamentano che il Pd non è di sinistra, ma nessuno vuole un Pd di sinistra. Ovviamente non lo vuole la destra, a cui fa comodo confrontarsi con un avversario dall’identità non ben definita e quindi più debole, a cui invece può contrapporre i propri valori retrogradi ma granitici. E soprattutto, non lo vuole la sinistra massimalista, che non può sopportare che qualche altro soggetto politico occupi il campo della sinistra popolare, rubandogli la scena. Basta vedere quello che è successo con le Sardine: un vero e spontaneo movimento di popolo che è stato letteralmente fatto a pezzi dai massimalisti. I massimalisti lo hanno accusato di essere manovrato dai poteri forti, usando tra l’altro gli stessi argomenti della Lega, solo perché hanno vista minacciata la propria posizione. In ultimo, purtroppo, non lo vuole nemmeno il Pd che, forse per calcolo elettorale o più probabilmente per incapacità, non riesce a rendere egemonici gli elementi di sinistra che ci sono al suo interno. Tuttavia, rimane l’unico partito tra i maggiori nel quale questo rinnovamento è potenzialmente possibile e la sola forza che possa coagulare intorno a sé un polo progressista. Forse non sarà di sinistra, ma la sinistra non può farne a meno.