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Spettacolo

Dalla Prima lettera di Achille Lauro agli italiani

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Michele Mosca

«È giunto il nostro momento. Colpevoli, innocenti. Attori, uditori. Santi, peccatori. Tutti insieme sulla stessa strada di stelle. Di fronte alle porte del Paradiso. Tutti con la stessa carne debole. La stessa rosa che ci trafigge il petto. Insieme, inginocchiati davanti al sipario della vita. E così sia. Dio benedica solo noi. Esseri umani».

Così termina il monologo finale dell’ultima esibizione di Achille Lauro al Festival di Sanremo 2021, manifestazione nella quale l’artista romano ha sicuramente dato il meglio di sé, lasciando libero sfogo alla sua fantasia e al suo peculiare estro. A differenza degli anni passati, Achille Lauro quest’edizione non l’ha vissuta da concorrente, ma da ospite fisso. Ogni serata un “quadro” diverso, cinque serate, cinque performance per raccontare la musica e i suoi generi.

Achille Lauro annuncia con questa immagine su Instagram che Me ne Frego è disco d’oro.

Al di là delle esibizioni musicali che si possono apprezzare o meno, il cantante ha messo in scena delle rappresentazioni artistiche degne di nota, anche grazie ai costumi di Gucci e al supporto di personaggi di un certo calibro: Monica Guerritore, Emma Marrone, Claudio Santamaria tra gli altri. Dei travestimenti se n’è parlato moltissimo, Achille Lauro ha fatto sicuramente discutere, ma non è nuovo a questo trasformismo: già l’anno passato aveva attirato l’attenzione su di sé proprio per i suoi costumi al Festival.

La peculiarità, però, di quest’anno è sicuramente il tema religioso. «Non sono un santo» recita la copertina del numero 10 di Vanity Fair del 3 marzo, che fa riferimento alla lettera scritta da Achille Lauro alla rivista nella quale spiega la sua essenza creativa. La foto che accompagna il numero è Achille vestito con abiti riconducibili a Maria: velo bianco sul capo, aureola in testa, lacrime di sangue agli occhi come la Madonna di Civitavecchia, ma anche tanti, eccessivamente tanti, gioielli e monili d’oro.

«Sull’altare una slot / Cristo è una donna / Madonne sopra i muri / Il mio Dio è in minigonna / La mela dell’Eden / Eva veste serpente / La mela di Jobs / Nasci già dipendente / Ma a noi sta bene così / GENERAZIONE X».

È la descrizione alla sopracitata copertina postata sul profilo ufficiale Instagram del cantante che annuncia e rende chiaro il messaggio del suo show.

Molto più di un trasformismo

Ma dov’è la religione – e in particolare il cristianesimo cattolico – nelle performance di Achille Lauro? Partendo dalla prima serata, Achille si presenta con un vestito tutto fuorché anche solamente riconducibile alla religione, più un omaggio a Elton John e Renato Zero, paillettes, piume rosa e zeppe argentate. Anche se qualcuno ha azzardato un rimando al “piumato” san Michele Arcangelo. «Sono il glam rock» dice, esponendo, ancora una volta, lacrime di sangue e stringendo in mano un bastone nel quale è incastonato il sacro cuore di Gesù, elemento che ha scatenato l’ira del deputato di FdI Federico Mollicone, commissario di Vigilanza Rai. «Esistere è essere. Essere è diritto di ognuno. Dio benedica chi è» conclude il cantante.

Continua, con la seconda e la terza serata, lo show di Lauro, vestito prima da Mina e poi da statua greca, rappresentando il rock ‘n roll e il pop, il godimento e l’incomprensione. «Uragano nei desideri sessuali, scossa nel perbenismo familiare, promessa di piacere. Il sacro vincolo del godimento. Godere è un obbligo. Dio benedica chi gode» sussurra Mina. «Il pregiudizio è una prigione. Il giudizio è la condanna. Dio benedica gli incompresi» dice la statua.

Leggi anche: Perché Sanremo è Sanremo.

È con la quarta serata, però, che l’artista romano dà il meglio di sé: dopo l’annuncio di Amadeus scende la scalinata centrale dell’Ariston indossando un pomposo vestito da sposa, in mano la bandiera italiana. Prima di iniziare a cantare un fugace bacio in bocca al compagno di avventure Boss Doms (effusione ripetuta più volte). Lauro getta la bandiera e inizia lo show, condito, questa volta, anche dalla presenza di un irriconoscibile Fiorello coperto da una veste nera e ornato di una altrettanto scura corona di spine. Un’immagine che a primo impatto destabilizza e si apre al dilemma: chi rappresenta? Un Gesù Cristo gotico/punk? Probabile, anche se lo stesso Fiorello nella serata successiva si affretterà a sottolineare che stava vestendo i panni di santa Rita. Forse l’azzardo di un accostamento con il figlio di Dio sarebbe stato troppo?

Il quadro messo in scena rappresenta il punk rock: «Sono un bambino con la cresta. Un uomo con le calze a rete. Una donna che si lava dal perbenismo e si sporca di libertà. Sono l’estetica del rifiuto, il rifiuto dell’appartenenza a ogni ideologia. Sono Morgana che tua madre disapprova. Sono l’omologazione del “si è sempre fatto così”. Sono Marilù. Dio benedica chi se ne frega».

L’ultima serata, l’ultimo quadro viene rappresentato da un Achille Lauro apparentemente normale: completo rosa shocking e pettinatura anni Venti. Il cantante intona C’est la vie, ma verso la fine si sposta dal microfono, apre il doppiopetto e mostra una rosa conficcata nel suo ventre, un po’ santa Rita (tale fiore è associato proprio alla santa) un po’ Marina Abramovic. In sottofondo partono commenti denigratori nei suoi confronti, insulti e opinioni negative di personaggi anche di rilievo: si riconoscono molto bene Salvini e Maroni tra gli altri.

Queste voci, come spine, trafiggono Lauro che inizia a sanguinare dal costato (altro illustre collegamento?). Il liquido rosso è raccolto dal cantante e cosparso sulla camicia bianca, la canzone si conclude. Al termine della performance riecheggia la sua voce: «Dio benedica solo noi. Esseri umani».

La religione dello spettacolo

È difficile pensare che questo viaggio tra i quadri, le rappresentazioni artistiche, sia casuale e non ragionato. I costumi, i simboli, i rimandi, tutto è stato studiato da Achille Lauro (o chi per lui) per destabilizzare, ammaliare, scatenare ira e ammirazione, far parlare di sé e del messaggio di uguaglianza e tolleranza in questa edizione del Festival, in questo momento storico.

Essere sé stessi, l’importanza dell’identità di genere, dei gusti e delle pulsioni sessuali e amorose, perseguire le proprie passioni, staccarsi dalle etichette e «dall’essere come gli altri vorrebbero che voi siate». Allontanarsi dalla tradizione, dai dettami religiosi, da un mondo austero. Amare tutti, incondizionatamente, altruisticamente.

Tutto ciò è racchiuso in una cornice “sacra”, religiosa. Lauro non è nuovo a questo tipo di riferimenti: già lo scorso anno fece scalpore la sua performance vestito come la Madonna Addolorata di San Severo, abiti di cui si è spogliato per rimanere nudo, con solo una tutina intima, richiamando il san Francesco di Giotto. La canzone portata da Achille Lauro in quell’edizione era Me ne frego, il cui video prefigurava già l’ambizione artistica del cantante: in esso, infatti, continui sono le citazioni all’arte rinascimentale, tra cui sicuramente la rappresentazione della Pietà di Michelangelo (in cui Achille è il Cristo) e l’ovvio rimando a san Francesco.

Achille Lauro come san Francesco.

 

Nel festival che ha attirato critiche e discussioni da ogni angolo, tra chi l’ha accusato di sessismo, a chi l’ha eletto manifesto dell’(inesistente) ideologia gender, Achille Lauro ha saputo cavalcare l’onda del ruolo donatogli dalla direzione artistica ed è riuscito nel suo intento: fare spettacolo.

Lauro ha iniziato a esprimersi senza pregiudizi, fregandosene perché su di lui tutto è già stato detto e niente fa più scandalo. Il cantante romano ha utilizzato come megafono quello che si potrebbe definire l’ultimo programma televisivo nazionalpopolare per mettersi in mostra e dare voce alla sua essenza più intima. Non solo, ha anche coinvolto la religione, qui intesa come fatto sociale totale: elemento che in Italia, ancora oggi, influenza capillarmente ogni aspetto della società.

Leggi anche: Achille Lauro: il vero protagonista di Sanremo.

È un santo, una donna, una madonna o un cantante? Achille Lauro è sicuramente un artista polivalente, tra i più influenti in Italia al momento, che ha saputo sceneggiare (da solo o chi per lui) un’immensa pubblicità sul discorso dell’accettazione, della libertà e dell’unicità dell’essere umano e quindi inevitabilmente anche su di sé. E l’ha fatto pregando, chiedendo a Dio di benedire tutti e non lasciare indietro nessuno. D’altronde non era proprio Gesù a dire: «Ama il prossimo tuo come te stesso»?

Tra chi l’ha insultato e denigrato, chi l’ha esaltato e elevato a visionario, chi l’ha accusato di blasfemia e satanismo, chi l’ha apprezzato, rivalutato, riscoperto o abbandonato, chi tenta di leggere nei suoi spettacoli qualcosa di più di quanto dovrebbe e spiegarne i vari significati, Achille Lauro ne è uscito vincitore. Ha canalizzato su di sé i discorsi dopo ogni serata, gli articoli di giornale e i post sui social. Davanti a un’Italia tuttora ancorata alle tradizioni religiose, ai santi patroni, bisognosa di figure di riferimento, si è inserito Lauro, in totale contrasto. Si è eretto a simbolo: il manifestarsi di qualcosa nella sua assenza.

Forse è stata solo una grande operazione di marketing per annunciare due giorni dopo la conclusione di Sanremo, l’8 marzo, il suo nuovo disco: LAURO. Chissà.

Ci siamo cascati tutti. Di nuovo. (?)

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Michele Mosca

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