In un breve editoriale apparso su Il Corriere della Sera lo scorso 28 febbraio, lo storico Ernesto Galli della Loggia si è scagliato contro i quesiti della prova scritta di filosofia e storia (A019) cui sono stati chiamati a rispondere i partecipanti al concorso straordinario del MIUR per la scuola secondaria.
Ammalata di schizofrenia, la scuola italiana – votata da anni a una rovinosa indulgenza nel valutare il merito dei suoi studenti – quando invece si tratta di giudicare i docenti da ammettere nelle proprie fila, allora si rifà divenendo una sadica esaminatrice. Leggere, per credere, le domande cui sono stati chiamati a rispondere (in 150 minuti!) i partecipanti al recentissimo Concorso Straordinario per il ruolo nella classe di Filosofia e Storia. Che riporto nella loro integralità.
1) Esporre le funzioni di una webquest per una lezione sul rapporto tra Stato e Chiesa dal 1870 al 1983 rivolta a un gruppo classe eterogeneo in cui sono presenti anche alunni Dsa (cioè affetti da disturbi specifici dell’apprendimento);
2) Partendo dall’uomo di Vitruvio di Leonardo sviluppare un confronto tra l’antropocentrismo di stampo rinascimentale (ad esempio Pico della Mirandola) rispetto a quello di Protagora, guardando poi alla sua evoluzione nella filosofia del Seicento (Cartesio);
3) Sviluppare un percorso didattico mettendo in evidenza obiettivi trasversali, metodologie e riferimenti bibliografici sul rapporto natura ed essere umano nella filosofia contemporanea (scegliendo a piacere un approccio analitico o continentale);
4) Impostare un lavoro di gruppo con l’ausilio di fonti giornalistiche e cartografiche per chiarire i presupposti geopolitici e gli sviluppi dei conflitti in Medio Oriente nel XX secolo;
5) Spiegare le prove dell’esistenza di Dio di Anselmo e di San Tommaso facendo particolare riferimento al XII libro della Metafisica di Aristotele e ai concetti di esistenza e ontologia. Precisare con quale metodologia si potrebbe trattare questo argomento di fronte a una classe.
6) Testo in lingua inglese con cinque domande cui rispondere in lingua.
Mi chiedo: che cosa è accaduto in Italia, in tutti noi, perché potessero verificarsi cose del genere?
Non è la prima volta che Galli della Loggia lancia feroci critiche al sistema di selezione degli insegnanti e alla scuola in generale. Gli aspiranti insegnanti di storia si ricorderanno bene quel Fuori i nomi al vetriolo apparso sempre sul Corriere della Sera del 26 maggio 2016, all’indomani della prova scritta del concorsone della Buona Scuola.
Oggi, come quasi cinque anni fa, l’accusa al MIUR è la medesima: quella di operare una decimazione non dichiarata degli aspiranti docenti di filosofia e storia, attraverso domande inique e demenziali.
Come definire delle prove che richiedono ai candidati di sciorinare, ciascuna in venticinque minuti e in maniera esauriente, antropocentrismo rinascimentale, antico e moderno, presupposti e sviluppi dei conflitti mediorientali, la storia dell’Islam dal VII al XXI secolo, e l’elezione di Barack Obama e la storia degli afroamericani dal XVIII al XXI secolo?
Domande belle e impossibili, i cui contenuti non sono minimamente attinenti a quello che in realtà a scuola si riesce concretamente a fare. Insomma la ratio è: uccideteli tutti, il MIUR riconoscerà i suoi.
Per rispondere all’interrogativo (retorico, in realtà il nostro lo sa bene) di Ernesto Galli della Loggia, è successo che da molto tempo il MIUR non ha altro interesse (e soluzione) che decimare gli aspiranti candidati insegnanti con quesiti oceanici intrisi di nozionismo.
Perennemente sottofinanziato, il ministero non ha nessun incentivo a mettere a bando la totalità dei comunque pochi posti vacanti e sobbarcarsi i costi di insegnanti di ruolo. Perché dovrebbe pagare un insegnante di ruolo quando quel lavoro lo può affidare a un supplente con meno diritti e nessuna pretesa di essere pagato nei mesi estivi?
Supplenti che del resto non mancano e che costituiscono uno sterminato esercito di riserva, specialmente per classi di concorso come storia e filosofia. Supplenti che non possono fare fronte comune, perché divisi in gruppi concorrenti con interessi contrastanti: chi ha già l’abilitazione per la classe di concorso, chi ha il TFA, chi ha i 24 crediti, chi si è appena laureato, chi ha i tre anni di servizio, che ne ha 14. Divide et impera.
Il ministero perciò non ha nessuna intenzione di proporre una prova di selezione ragionevole perché i posti sono pochi rispetto ai candidati e se qualcuno passa tocca purtroppo assumerlo. Se proprio si deve fare il concorso, meglio fare prove impossibili, che nel migliore dei casi producono meno insegnanti di ruolo rispetto ai posti messi a bando (177 per la A019 in tutta Italia per il concorso straordinario).
Posti, ça va sans dire, che in molti casi saranno poi occupati dagli stessi supplenti bocciati al concorso.
E qui si consuma la beffa del supplente di Schrödinger: è qualificato e non qualificato allo stesso tempo per insegnare agli stessi studenti.
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Fin qui la situazione a valle: il ministero produce prove concorsuali durissime per decimare gli idonei alla cattedra e mantenerli nel precariato scolastico. Ma da dove nasce questo esercito di supplenti e candidati insegnanti di filosofia e storia?
Se il MIUR controlla la domanda di insegnanti, ne controlla anche l’offerta attraverso le facoltà universitarie, dove però gli interessi di tutte le parti coinvolte vanno nella direzione opposta: la produzione di massa.
L’università di massa non è naturalmente una cosa che è stata decisa a tavolino dal MIUR: è stata un naturale sviluppo della società del dopoguerra, che ha avuto il grande pregio di scardinare la concezione classista dell’istruzione superiore.
Ma a vecchi problemi se ne sostituivano di nuovi: il cambiamento necessario del rapporto studente-discente, la diluizione della qualità dell’insegnamento, l’iscrizione in massa di persone interessate solo al pezzo di carta e ai vantaggi che ne derivano: problemi già sottolineati illo tempore (nel 1977) da Umberto Eco in alcune pagine di Come si fa una tesi di laurea.
Invece di porre dei correttivi ai problemi dell’università di massa, nel corso dei decenni, ministero, università e facoltà hanno semmai avallato e incoraggiato questo stato di cose, ciascuno per i propri motivi.
Il ministero ha fatto di tutto per aprire le maglie dell’istruzione superiore, non tanto con il fine del progresso umano della società, ma nel disperato e ossessivo tentativo di colmare il divario sul numero dei laureati con gli altri Paesi OCSE.
Università e facoltà dal canto loro si sono guardate bene dal porre freno alla massificazione perché finanziate dal MIUR proprio in base alla quantità di studenti iscritti e laureati. E naturalmente anche dalle tasse universitarie che questi pagano, si intende.
Questo meccanismo perverso ha naturalmente toccato l’apice là dove cronicamente mancano i soldi e dove è più facile strappare il pezzo di carta con un po’ di parlantina: le facoltà umanistiche. Per sopravvivere e mantenere lo status quo, facoltà (o dipartimenti) come storia e filosofia, letteratura, lingue sono diventati dei diplomifici dove il 18 non viene negato a nessuno, il 30 e lode si regala con una chiacchierata di cinque minuti, dove ai docenti viene caldamente suggerito di rendere più facili i programmi e di promuovere gli studenti. L’aneddotica in materia non manca, basta leggersi qualche post sul sito di Claudio Giunta, ordinario di letteratura italiana a Trento.
Ed è qui che si consuma tutta la lucida ipocrisia del MIUR.
Quando si tratta di finanziamenti e punti percentuali nelle statistiche OCSE, la laurea in storia, filosofia, materie umanistiche non si nega a nessuno, con lode e calcio nel sedere, se necessario.
Quando si tratta di dare invece qualcosa in cambio a questo persone, stipendio e contratto dignitoso, allora il ministero diventa lo scrupolosissimo e sadico esaminatore della classe disagiata – per dirla à la Raffaele Alberto Ventura – di edotti precari che ha contribuito a creare.
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La situazione richiederebbe misure drastiche, che nessuno degli attori in campo ha intenzione di intraprendere. Servirebbe una rivoluzione che difficilmente arriverà in tempi brevi. Non è un caso che Fioramonti nel 2019 abbia optato per le dimissioni.
Più lucido sperare in un esaurimento del ciclo storico: quando la laurea umanistica non avrà davvero più valore se non statistico – ci siamo davvero vicini – sperabilmente caleranno gli iscritti e nella catastrofe economica delle facoltà forse ci sarà lo spazio per una rinascita di un insegnamento di qualità scevro da eccessive speculazioni economiche.
A propria volta l’esercito di riserva vedrà i propri ranghi ridotti e godrà di maggior potere contrattuale nei confronti del ministero, che non potrà più decimarlo in sede di concorso.
Fino ad allora, se non siete sicuri di volervi iscrivere ad una facoltà umanistica, di insegnare o – peggio – di intraprendere la carriera accademica con un dottorato, semplicemente non fatelo. Le facoltà umanistiche hanno già mietuto abbastanza persone innocenti, lasciandole nel limbo.
Se avete già fatto una di queste scelte, e se proprio volete assolutamente insegnare, un sentito e partecipato in bocca al lupo.
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