Con il sì al governo Draghi è caduto uno degli ultimi tabù del Movimento 5 Stelle. L’ex presidente della BCE, un tempo acerrimo nemico di Grillo e compagni, ha convinto la maggioranza degli iscritti alla piattaforma Rousseau e degli eletti in Parlamento. Ma la scelta non è stata indolore. Alessandro di Battista, un tempo tra i leader del Movimento, ha lasciato il partito, e quaranta parlamentari sono stati espulsi per non aver votato la fiducia al nuovo esecutivo. Tredici di questi hanno dato vita a L’alternativa c’è, la componente del gruppo misto alla Camera che aspira a dare voce allo spirito originario movimentista e anti-establishment del Movimento 5 Stelle.
Il nome, come hanno spiegato i promotori, nasce in contrapposizione al celebre slogan Tina (There is no alternative) coniato da Margaret Thatcher. Un brand che richiama i temi della lotta all’austerity, al neoliberismo, alle istituzioni europee. Tutte battaglie care ai 5 Stelle delle origini. Paolo Giuliodori, giovane deputato eletto nelle Marche, ci spiega per email le ragioni della sua scelta.
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Onorevole Giuliodori, perché il suo no a Mario Draghi?
«Votare in dissenso dal mio gruppo non è stato facile, ma non potevo andare contro la mia coscienza. Draghi incarna al cento per cento tutto quel mondo di grandi potentati finanziari ed economici che abbiamo sempre combattuto. Anzi, il Movimento 5 Stelle era nato proprio per contrapporsi a questo tipo di interessi. C’è stato un netto cambio di rotta da parte del M5S al quale però non potevo accodarmi. Non sono disposto a sostenere chi ha attuato per anni politiche neoliberiste che mettono la finanza prima delle persone.
Non possiamo dimenticare quando, da Direttore Generale del Tesoro, Draghi avallò la svendita del patrimonio industriale italiano, o quando da presidente della BCE negò l’aiuto al popolo greco. Non possiamo non ricordare la questione dei derivati di Stato. Insomma i motivi sono tanti. Senza dimenticare che doveva essere un governo di alto profilo, dei migliori, ma io non vedo che un’ammucchiata con tutti dentro!».
Non era meglio provare ad influenzarlo dall’interno, come hanno deciso di fare molti suoi ex compagni 5 Stelle? Senza di voi la destra ha ancora più peso nell’esecutivo.
«Non credo sia così, anzi le dirò di più: la cosa assurda è che, pur essendo il primo gruppo parlamentare dentro il governo Draghi, conteremo poco o nulla. Si è detto che avremmo dovuto sostenere Draghi perché altrimenti avrebbe cancellato gli importanti risultati del Movimento 5 Stelle, come il reddito di cittadinanza, il decreto dignità, il superbonus 110%. Ma trovo debole questa affermazione. Sarebbe assurdo abolire una norma come il reddito in un momento delicato, oppure abolire il superbonus, che ha fatto partire in tutta Italia tantissimi interventi a vantaggio di piccole e medie imprese, tra l’altro in un settore, quello dell’edilizia, in crisi da ormai un decennio.
Ovviamente Draghi non toccherà questi punti. Ma supponiamo l’improbabile caso che un governo a guida Draghi possa abolire le nostre norme. A quel punto tutte le forze politiche che lo sostengono si prenderanno davanti ai cittadini italiani la responsabilità di tali azioni! Al contrario, il Movimento 5 Stelle a supporto del Governo Draghi, contro tutti i suoi principi, si sta condannando all’irrilevanza politica nella prossima legislatura. E a quel punto sì che le altre forze politiche potranno cancellare indisturbate tutti i risultati raggiunti dal Movimento.
Qual è la convenienza? Sono ben consapevole del momento difficile che sta vivendo il Paese, della gravità della situazione e dei bisogni dei cittadini. Ma non per questo possiamo accettare qualsiasi tipo di ricatto! Non possiamo accettare supinamente qualsiasi Governo, soprattutto se guidato da chi rappresenta certi interessi. Non possiamo accettare tutto, rinnegando la nostra identità e il nostro passato».
Il voto su Rousseau ha visto prevalere chi voleva concedere la fiducia a Draghi. Nemmeno questo è bastato a convincervi?
«Riguardo al voto su Rousseau ci sarebbe molto da dire.
Il voto era stato rinviato per poter sciogliere le riserve sulla composizione del Governo Draghi e valutare il programma di governo. Scelta legittima, ma poi è stato convocato in fretta e furia senza sapere nulla né sull’accozzaglia che avrebbe votato la fiducia né su ciò che la nuova maggioranza intendeva realizzare, sui temi, le proposte. Niente di ciò che avrebbe voluto fare Draghi era stato almeno accennato. Allora è facile pensare che la motivazione del rinvio fosse solo un pretesto per posticipare il voto a un momento più favorevole. E tutto ciò è reso ancor più grave dal fatto che il quesito fosse stato formulato in maniera suggestiva e manipolatoria, lasciando intendere che solo con la partecipazione al governo saremmo stati in grado di difendere i nostri provvedimenti. Affermazione, come ho già detto, che trovo debole, vista la maggioranza bulgara che sostiene il Governo Draghi, in cui il Movimento non avrà molta voce in capitolo. Anche Grillo è stato costretto a scendere in campo per ricompattare le truppe e nonostante ciò non abbiamo avuto un risultato schiacciante: il quaranta per cento ha espresso voto contrario a questo governo.
Inoltre, il quesito presentava la nascita del futuro Ministero della transizione ecologica come la vera svolta, la discriminante per il Movimento 5 Stelle per appoggiare o meno il Governo Draghi. Ma in realtà esisteva già un Dipartimento sulla transizione ecologica presso il Ministero dell’Ambiente e fino a tre giorni prima del voto su Rousseau nessuno lo aveva mai considerato così importante da essere il nuovo pilastro dell’azione politica del M5S.
Tutto ciò alimenta seri dubbi sull’utilizzo imparziale del nostro strumento di democrazia diretta da parte dei vertici del Movimento. La votazione così come è stata portata a compimento si è rivelata tendenziosa e palesemente volta a inibire il voto contrario alla partecipazione del M5S al Governo Draghi. Anche per questo ho fatto la mia scelta, ho deciso di rappresentare i delusi, i contrari, chi non crede in questa nuova ammucchiata e chi si è sentito preso in giro».
Ci parli di L’alternativa c’è. Diventerete una forza politica a tutti gli effetti?
«Ho riflettuto molto su cosa sarebbe successo, sul futuro della mia attività politica e se rimanere o meno nelle istituzioni. Se mi sono candidato nel 2018 l’ho fatto perché credo fermamente in un’idea di politica nuova: diversa, pulita, libera. Libera dalle logiche di partito, libera dai ricatti dei potenti di turno, libera dai vincoli esterni che soffocano la nostra vita. Non è retorica, è un’alternativa che era possibile ed è ancora possibile. In fondo una democrazia sana ha bisogno proprio di questo: una speranza di cambiamento e un’alternativa credibile, altrimenti è pensiero unico, altrimenti non è democrazia. Per questo subito dopo il no a Draghi, insieme ad altri dodici colleghi espulsi, abbiamo deciso di unire le forze in una nuova componente del gruppo misto alla Camera, che per l’appunto prende il nome di L’alternativa c’è. Il nostro obiettivo è dare una forma al dissenso, convogliando le nostre energie in un contenitore basato su temi comuni e condivisi da tutti i componenti. L’idea di politica che vogliamo rappresentare in Parlamento deve avere una voce univoca, organizzata e con obiettivi precisi. Unire le forze è fondamentale per avere un’opposizione più strutturata e dare maggiore peso alle nostre istanze e ai nostri temi. Vogliamo avere peso nelle decisioni, incidere nelle commissioni, avere più spazio negli interventi in Aula, segnalare emendamenti in maggior numero.
Per questo motivo la componente è uno strumento tecnico utile, importante per fare opposizione in modo efficace. Anche perché – faccio una puntualizzazione doverosa – il gruppo misto non è una scelta ma un obbligo, è l’approdo automatico per chi non possiede un gruppo parlamentare, come nel nostro caso in seguito all’espulsione. Non è proprio possibile stare in Parlamento senza appartenere a un gruppo. Ma di certo non siamo andati al misto per tirare a campare, per stare a guardare e goderci lo spettacolo in maniera passiva. I pop corn non fanno per noi».
Luigi Di Maio ha definito da poco il Movimento come una forza “moderata e liberale”. Che aggettivi userebbe per descrivere il vostro nuovo progetto?
«Ne prendo atto, anche se sinceramente me lo ricordavo diverso…
Quando parlo di cambio di rotta del Movimento 5 Stelle mi riferisco proprio a questo. Siamo nati come movimento antisistema e adesso sembriamo la stampella del PD o di Forza Italia. Non è più il Movimento in cui ho creduto, di cui ho condiviso e sposato battaglie importanti. Ha cambiato pelle negli anni, e il drastico calo nei consensi ne è dimostrazione, ma adesso la trasformazione è in partito di governo pro sistema è stata completata. Non bisogna stare al governo a qualsiasi costo e accettare qualsiasi compromesso. Il M5S, in fondo, è uno strumento nelle mani dei cittadini per cambiare le cose. E mi dispiace vedere che tanti abbiano frainteso il senso di questo concetto: il Movimento non è un fine, è un mezzo. Un mezzo che ci ha permesso di portare avanti le nostre battaglie. Lo scopo è realizzare le nostre idee, portare avanti i nostri temi, quindi se lo strumento non si rivela più adeguato allora è chiaro che si deve cambiare strumento.
Per quanto riguarda il nostro nuovo progetto, la risposta è già tutta nel nome: siamo l’alternativa».
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Il manifesto che avete presentato parla di ambiente, lotta all’austerity e alle privatizzazioni, reddito universale, multilateralismo. Sono in gran parte parole d’ordine che il Movimento 5 Stelle ha abbandonato già prima di votare la fiducia a Mario Draghi. Quando è iniziato lo spostamento al centro?
«Non so se si possa parlare di spostamento al centro. Noi parliamo di temi e di scelte. Di sicuro, da un po’ di tempo, le scelte del Movimento non sono coerenti con le idee, le battaglie e i principi con cui siamo nati e cresciuti. Capisco l’evoluzione da forza di rottura, antisistema, di opposizione, a forza di governo, ma non contraddire in modo così palese i principi che ci hanno portato a essere prima forza politica del Paese. Altrimenti si perde ogni credibilità, altrimenti si perde il contatto con i cittadini e ci si rende anche deboli ai tavoli di trattativa con gli altri partiti. Come infatti è stato».
Il Movimento nasceva come né di destra né di sinistra. Ora che ne è uscito, ritiene ancora superata questa dicotomia?
«Bisognerebbe definire prima di tutto cosa si intende oggi con destra e sinistra. Il sistema politico di oggi è molto variabile e così pure i principi e i valori che storicamente hanno caratterizzato le politiche di destra e sinistra. Io credo che al centro si debbano mettere i temi, al di là delle etichette».
Ha qualche riferimento internazionale? Un progetto o leader politico straniero a cui guarda con simpatia?
«Non ho particolari riferimenti a livello internazionale, ci sono moltissimi esponenti per lo più sconosciuti che apprezzo. Se proprio volessimo tirare fuori un nome direi José Mujica, ex Presidente dell’Uruguay, una persona che incarna molto il concetto di politica come servizio e non come perseguimento dei propri interessi (potere, fama, soldi). Tra l’altro proprio Beppe Grillo anni fa ne aveva tessuto le lodi in varie occasioni, portandolo come esempio da seguire».
Da Pizzarotti a Paragone, fuoriusciti ed espulsi non hanno avuto grande fortuna. Cosa vi fa pensare che per voi le cose andranno diversamente?
«Il nostro obiettivo è innanzitutto dare voce in Parlamento a chi non si sente rappresentato da questo governo. Abbiamo dei valori e dei temi che vogliamo portare avanti e credo che ci sia un gran lavoro da fare. Credo che qualsiasi germoglio di sana politica sia sempre positivo e possa portare a costruire qualcosa di grande. Lo stesso M5S qualche anno fa nei sondaggi era irrilevante, conteggiato negli “altri partiti”. Quello che verrà lo vedremo, ogni storia ha un suo percorso, adesso siamo concentrati a fare un’opposizione decisa e senza sconti. Poi se seminiamo bene arriveranno buoni frutti».
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