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Spettacolo

Un anno di buio in sala. Quale futuro per i lavoratori dello spettacolo?

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Davide Zazzini

Un anno di luci spente, platee svuotate e cancelli sprangati. Incassi crollati e produzioni col contagocce. Cinema e teatri sono senza pubblico da marzo 2020. Per il mondo dell’arte e della cultura la pandemia è stata un’autentica mattanza. L’Inps stima in Italia in 327.000 i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo senza reddito e senza tutele (che anche prima latitavano). Ora urge progettare un futuro migliore. Con più consapevolezza, più tutele, più diritti. Per tutti. In questa direzione va la proposta di legge sulle Disposizioni per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo di Chiara Gribaudo (Pd) e Alessandra Carbonaro (M5S), presentata l’11 novembre scorso alla Camera dei deputati, che è il culmine di mesi di dialogo e ascolto con i professionisti e le associazioni di categoria.

Per capirci di più, oggi theWise Magazine ha incontrato Francesco Micheloni, professione prestigiatore, nonché attivista di Volt Italia, che come tanti è rimasto senza lavoro, e ha passato gli ultimi mesi in un cordone di solidarietà ad ascoltare e sostenere colleghi, artisti e associazioni di categoria.

Francesco Micheloni. Foto per gentile concessione dell’intervistato.

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Francesco, perché abbiamo avuto bisogno di una pandemia per dare voce (e dignità) a un settore vitale per tutta la nazione, ignorato addirittura nel primo DPCM del governo Conte di sussidi ai lavoratori?

«Il lavoro dell’artista non è considerato un vero lavoro. Quando chiedono a un artista di cosa si occupa e risponde: “Sono un attore, o un prestigiatore”, la frase successiva è quasi sempre: “No, ma di lavoro vero intendo!”. Come se non si potesse vivere di cultura, o di qualcosa che semplicemente ci rende felici. Questo è un pensiero triste e trasversale nella nostra società. E quando è anche lo Stato a ragionare in questo modo, nascono problemi strutturali e profondi. Come il non riconoscimento delle tutele riservate a ogni altro lavoratore, per malattia, ferie, maternità eccetera. Con la pandemia è finalmente venuto alla ribalta il grido disperato di migliaia di persone per far passare il messaggio che la chiusura di un teatro equivale alla chiusura di un’azienda, visto che c’è chi con l’arte ci vive, e produce ricchezza e bellezza».

Dopo un anno senza lavoro, qual è la condizione dei lavoratori dello spettacolo in Italia?

«La situazione è tragica. Si salvano solo le realtà più grandi e strutturate. A farne le spese sono invece i più deboli, che dovrebbero essere tutelati sia perché sono la maggioranza sia perché costituiscono il vero tessuto culturale della nostra società. I piccoli produttori, i piccoli festival, le rassegne, gli artisti di città, avvicinano e stimolano l’espressione artistica nelle persone. E questo valore è indiscutibile. Ho conosciuto personalmente artisti straordinari, che da anni vivevano di teatro, musica o eventi live, costretti a cambiare settore e a trovare altri impieghi, spesso precari, per tirare avanti nell’indifferenza politica generale. Altri, demoralizzati, hanno smesso del tutto».

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Che tipo di tutele chiedono ora i manifestanti?

«Le richieste si concretizzano in due visioni: una a breve, un’altra a medio-lungo termine. Finché continua a infuriare la pandemia, è necessario poter accedere ai sussidi statali previsti per tutte le altre categorie di lavoratori. In secondo luogo, e forse anche più importante, è necessario che si ascoltino e capiscano le esigenze del settore, in modo da inserire il lavoratore dello spettacolo in un quadro normativo studiato ad hoc in base alle sue particolarità che manca da decenni, e scongiurare situazioni future di questo tipo».

La proposta di legge Gribaudo-Carbonaro in discussione alla Camera cerca di riempire questo vuoto. Quali novità porta?

«La proposta ha esattamente questo come obiettivo principale: rivedere il quadro normativo dentro al quale è attualmente inserito il lavoratore dello spettacolo, e aggiornarlo in funzioni di tempi ed esigenze nuove. Prevede nuovi ammortizzatori sociali, l’abbassamento dei giorni lavorativi per accedere a maternità e malattia, il riconoscimento legale della figura degli insegnanti, sgravi fiscali per alcune categorie allo scopo di facilitare le produzioni e l’istituzione di un reddito di discontinuità che riconosca l’intermittenza intrinseca di questo tipo di lavoro. Tutte cose assolutamente condivisibili ma al tempo stesso migliorabili».

Per questo come Volt Italia, avete organizzato un ciclo di eventi e dibattiti, #Chiamataallearti, che ha unito attori, giornalisti, politici, registi e lavoratori per perfezionare la legge. Quali proposte sono venute fuori?

«Ovviamente le discussioni tecniche si sono tenute dietro le quinte, ma gli eventi sono stati occasione di confronto tra realtà diverse davvero stimolanti. Le proposte sono tantissime. Tra tutte, il superamento della concezione frontale datore di lavoro/dipendente, dato che questo settore non risponde alle logiche canoniche di lavoro e spesso il datore di lavoro è anche dipendente; il riconoscimento della natura intermittente di questo lavoro, con l’istituzione di un reddito di discontinuità; il superamento del sistema di calcolo dei contributi in base alle giornate lavorate, in favore di uno basato sulle ore».

Quale richiesta è emersa più insistentemente dal tour di ascolto?

«Il nostro tour di ascolto è durato quattro mesi e ci ha portato a interfacciarci con associazioni, artisti, organizzatori, direttori di teatro. Tutti ci hanno confermato l’urgenza di riformare questo settore. Trasversalmente è emersa la necessità immediata di salvare un settore abbandonato. I lavoratori dello spettacolo sono stati i primi a fermarsi e chissà quando potranno riprendere a lavorare con i ritmi pre-pandemia. Chiedono di essere riconosciuti a tutti gli effetti come lavoratori, di essere tutelati legalmente e di aggiornare il sistema a un modello più moderno, che tenga conto degli enormi mutamenti che hanno visto protagonista questo settore negli ultimi anni».

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C’è anche un’altra proposta di legge alla Camera per i lavoratori del settore a firma Matteo Orfini (Pd): che differenze porta rispetto a quella Gribaudo?

«Al momento, a nostro avviso, la proposta Gribaudo è la più completa. Abbiamo apprezzato molto che l’onorevole si sia messa in gioco, partecipando a un evento live con Andi Shehu, presidente di Volt Italia, e con me; siamo anche sicuri che le interlocuzioni proseguiranno. Allo stesso tempo accogliamo con grande favore anche la proposta di legge Orfini. Anzi, la presenza di due iniziative che guardano a questo settore è il segno tangibile che la politica non può più ignorare quella parte del Paese che non solo fa parte del tessuto produttivo, ma ne forma anche l’immagine riconoscibile in tutto il mondo».

Oltre alla legge, si discute di una costituzione di uno Statuto dei lavoratori dello spettacolo sulle linea guida di risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2007 che incoraggia gli Stati a creare uno statuto sociale degli artisti.

«Nel 2007 si iniziò a immaginare un inquadramento diverso per i lavoratori dello spettacolo che riconoscesse appunto la diversa natura di questo settore. Fu l’Europa ad accorgersene, proponendo uno statuto che comprendesse tutte le categorie di lavoratori dello spettacolo, e chiese agli Stati membri di legiferare in tal senso. Alcuni l’hanno fatto, noi in Italia no. La stessa sorte è toccata al codice unico dello spettacolo, altro progetto che non ha mai visto la luce.  Se qualcosa è emersa più di ogni altra nel nostro tour d’ascolto, è proprio la necessità di creare un inquadramento normativo specifico per questo settore, moderno e più attinente alla realtà delle cose. Abbiamo iniziato da poco a lottare, e siamo determinati ad arrivare fino in fondo».

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Davide Zazzini

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