Lo Stato italiano aveva puntato molto sul vaccino prodotto dalla casa farmaceutica anglo-svedese Astrazeneca. Esso rappresenta una risorsa importante: ha un’ottima efficacia nel prevenire sintomi e ospedalizzazione e, cosa di fondamentale importanza, può essere conservato a temperature facilmente gestibili da normali frigoriferi. Tuttavia anch’esso non è stato risparmiato dai ritardi nelle forniture.
Il nuovo vaccino approvato prima dall’EMA (Agenzia europea per i medicinali) e poi dall’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) è di tipo a vettore virale e si distingue dai primi due vaccini a mRNA arrivati in Italia, quelli di Pfizer e di Moderna. In particolare il siero anglo-svedese contiene un adenovirus, totalmente innocuo per l’essere umano, come vettore delle informazioni genetiche per la produzione della proteina spike del coronavirus (SARS-CoV2).
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Ciò non toglie che l’efficacia del vaccino sia comunque elevata, tuttavia cambia la modalità di somministrazione delle due dosi. Se per il ritrovato di Pfizer e Moderna le dosi vengono somministrate a ventuno e ventotto giorni l’una dall’altra, per quello di Astrazeneca la seconda somministrazione avviene dopo dieci settimane circa.
Un virus è un involucro di proteine (capside) al cui interno è contenuto del materiale genetico, RNA o DNA. Questo contiene le informazioni delle il virus necessita per potersi riprodurre. A differenza di una cellula, un virus non può riprodursi da solo ma deve parassitare un essere vivente (per esempio un batterio, un fungo o una cellula di un essere pluricellulare) alla quale trasmettere le proprie informazioni genetiche. Sarà poi la cellula stessa a produrre tante copie del virus che andranno a infettare altre cellule sane.
Per poter raggiungere lo scopo, il virus deve penetrare dentro la cellula, che è protetta dalla membrana cellulare. Per farlo si serve delle particolari proteine di cui è ricoperto, dette proteine spike. Esse si ancorano a precise molecole che si trovano sulla superficie esterna della membrana cellulare, chiamate recettori. Questi attivano una serie di reazioni che portano a una sorta di apertura della membrana della cellula. In pratica il virus “inganna” la cellula facendosi aprire la porta d’ingresso.
Questo spiega anche perché alcuni virus sono capaci di infettare solo alcune specie di esseri viventi, ma non altre. Per esempio la proteina spike di un virus potrebbe attaccarsi ai recettori delle cellule di un gatto, ma non a quelle di un essere umano. Questo accade perché cellule di specie diverse presentano recettori diversi.
Un vaccino di questo tipo sfrutta un virus che non è in grado di provocare malattie nell’essere umano per veicolare all’interno delle cellule l’informazione genetica per fargli produrre le proteine spike. Il vaccino Astrazeneca contiene solo una porzione di DNA del coronavirus nel capside di un virus diverso e innocuo appartenete al genere degli adenovirus.
La porzione di DNA viene portata all’interno delle cellule umane grazie all’adenovirus. Questo si attacca ai loro recettori, secondo quanto riportato sopra. Le nostre cellule “leggono” il DNA del coronavirus e ottengono le istruzioni per costruire la sua proteina spike, che verrà rilasciata nel corpo. Trattandosi solo della proteina e non del virus del Covid-19 “completo”, essa non può provocare nessuna malattia. Tuttavia stimolerà il sistema immunitario a riconoscerla e a produrre anticorpi specifici, che garantiranno l’immunità verso il coronavirus.
La differenza con il vaccino a mRNA di Pfizer e Moderna sta proprio qui. In questi vaccini, l’informazione genetica è racchiusa nell’RNA messaggero a filamento singolo, incapsulato in un liposoma. Il liposoma si fonde a una delle nostre cellule rilasciando l’mRNA, che la “istruirà” su come produrre la proteina spike.
Nel caso di Astrazeneca, l’informazione genetica è trasportata sotto forma di DNA, il quale è formato da due filamenti legati insieme a formare una doppia elica. Inoltre il DNA è protetto dal capside proteico dell’adenovirus e non da un lipoma. Questi due fattori di differenza sono di cruciale importanza perché rendono il materiale genetico del siero anglo-svedese più stabile e resistente.
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Infatti per il vaccino ad adenovirus di Astrazeneca non serve una rigida conservazione a temperature bassissime (bastano solo 2-8 °C) come richiesto dalle soluzioni di Pfizer e Moderna (-80 °C). Le condizioni di conservazione meno proibitive rendono senz’altro più semplice la distribuzione e l’utilizzo su larga scala del vaccino.
Risulta molto difficoltoso consegnare le dosi di Pfizer ai medici di famiglia, mentre questi potrebbero conservare le fiale di Astrazeneca semplicemente in un comune frigo. Per la buona riuscita di una campagna di vaccinazione di massa, la logistica e il coinvolgimento di quanto più personale in grado di conservare e iniettare il vaccino possibile sono requisiti fondamentali. Senza questo non saremo in grado di immunizzare la maggior parte della popolazione nel più breve tempo possibile.
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