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Spettacolo

Il politicamente corretto esiste e non fa bene al movimento

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Stefano Cavallini

Fino a non molto tempo fa il politicamente corretto non era altro che una scusa delle destre, estreme o no, per paventare il rischio di una immaginaria dittatura e rivendicare la libertà di essere razziste, fasciste e sessiste. Da alcuni anni però, le cose sono cambiate. Da spauracchio inesistente, il politicamente corretto ha preso corpo, soprattutto negli Stati Uniti. Si tratta di un fenomeno pericoloso che non fa bene al movimento progressista.

Alcuni esempi

I media ci bombardano senza sosta. Non passa ora senza la notizia che qualcuno si sia offeso o che qualcosa sia stato censurato o modificato in nome del politicamente corretto. Andiamo a vedere alcuni esempi.

  • Il 6 marzo 2021 Charles Blow, editorialista del New York Times, scrive che il personaggio animato di Pepe le Pew inneggerebbe alla cultura dello stupro. Riportiamo le sue parole:

«RW blogs are mad bc I said Pepe Le Pew added to rape culture. Let’s see. 1. He grabs/kisses a girl/stranger, repeatedly, w/o consent and against her will.
2. She struggles mightily to get away from him, but he won’t release her
3. He locks a door to prevent her from escaping.

«This helped teach boys that “no” didn’t really mean no, that it was a part of “the game”, the starting line of a power struggle. It taught overcoming a woman’s strenuous, even physical objections, was normal, adorable, funny. They didn’t even give the woman the ability to SPEAK».

Quindi, il celebre personaggio dei Looney Tunes sarebbe un perfetto stupratore e guardare i cartoni di cui è protagonista potrebbe avere una brutta influenza sui bambini. Tutti noi da piccoli abbiamo guardato questi cartoni, eppure nessuno di noi è diventato uno stupratore (o se lo è diventato non è stato certo per il cartone). Questo perché, come diceva Bart Simpson, i cartoni sono solo «robetta esilarante», non devono per forza avere un senso. Il loro scopo primario è divertire. È pericoloso rapportare i cartoni, e in generale tutto ciò che attiene al mondo del fittizio, al mondo reale e trattarli come se si trattasse di fatti di cronaca. Va detto che, effettivamente, dopo aver letto il post di Blow, si guarda a Pepe con occhi diversi, ma il nostro sguardo non è quello dei bambini, che non ci risulta vi abbiano mai rilevato gli estremi di uno stupro. Forse si sarebbe potuta almeno chiedere la loro opinione.

Leggi anche: Essere di sinistra oggi è difficilissimo.

  • Una parte della società civile giustifica l’esistenza di qualsiasi pratica culturale, solo perché è una pratica culturale. Non ci sono culture migliori di altre, ammesso che abbia senso confrontarle nel loro complesso come separate le une dalle altre, ma questo non vuol dire che non si possano comparare le specifiche prassi, le singole idee all’interno delle varie culture. Dal nostro punto di vista, che è quello dell’occidente secolarizzato ed è ovviamente parziale (ma quale non lo è?), alcune idee sono meglio di altre, o meglio, alcune sono accettabili, altre no. Questo vale per l’arte, per l’economia, per la politica e ovviamente anche per la cultura, che ingloba tutte queste. Consideriamo ad esempio l’Islam e più nello specifico il niqab e il burqa. Questi saranno anche tratti distintivi di certa cultura islamica, ma questo non significa che debba esservi automaticamente riconosciuta una dignità universale. Questi due tipi di velo non sono nemmeno menzionati nel Corano. Si tratta di un’invenzione degli islamisti più radicali (influenzata da fattori pre ed extra-islamici), che incarna ed estremizza il giudizio dato da Bausani sulla donna nella morale coranica: «Diritti simili, ma l’uomo un gradino più in alto». Pur con tutti gli inni possibili all’autodeterminazione è veramente difficile non considerarlo uno strumento di oppressione, dato che nega la carnalità del corpo e dunque una componente essenziale dell’essere umano. Si tratta di una norma religiosa ritualizzata e la norma religiosa ritualizzata nasconde sempre una difesa del potere, che non ha niente a che vedere con la vera spiritualità, che è multiforme, personale e non relegata in vincoli precisi. È quindi estremamente controproducente che alcune femministe ne rivendichino l’uso in nome di un multiculturalismo a tutti i costi (come in questo articolo di Jacobin Italia). Persino Qadir Hekmat, capo dei talebani afghani, ha dichiarato nel 2019 che il burqa non è più obbligatorio. Non si capisce quindi come mai la sinistra continui a difenderlo. Facciamo già fatica a far valere i diritti della donna in Italia, perché dovremmo accettare usanze che li negano? Inoltre, in certi ambienti, ogni minima critica all’Islam rischia di essere tacciata di islamofobia. Ma perché non dovremmo essere critici verso una religione che ti dice come mangiare, quando mangiare, cosa bere e come vestirti? Anzi, perché non dovremmo essere critici nei confronti di tutte le religioni?
  • Un aspetto strettamente connesso alla critica della religione è quello della blasfemia. Secondo la nuova vulgata del politicamente corretto, i non credenti dovrebbero essere prudenti e autolimitarsi per non incorrere nel peccato di blasfemia nei confronti della religione, soprattutto, va detto, quella islamica. Se no, si rischia di finire crivellati dai proiettili o decapitati. Ciò rappresenta la morte della satira e del senso critico. In una democrazia il diritto alla blasfemia dovrebbe essere sacro perché, come abbiamo già detto, la religione è potere, e la critica al potere deve essere garantita. Inoltre, c’è una palese mancanza di reciprocità: un credente si offende (e diventa potenzialmente violento) se gli dicono che Dio non esiste, ma un ateo non si offende se gli dicono che Dio esiste, rimane indifferente. Dunque, un ateo rischia la vita, mentre un religioso può tranquillamente affermare il suo credo in tutta libertà (come è giusto che sia). È evidente che una parte ha una reazione spropositata.
  • Ultimamente, negli Stati Uniti, si è diffusa l’idea che i personaggi di colore dovrebbero essere doppiati solo da persone di colore. Si tratta del punto apicale del politicamente corretto insieme probabilmente all’orrida e ruffiana scena di girl power in Avengers: Endgame. Non ha nessun senso. Per i doppiatori dovrebbero contare la bravura e la voce, non la pigmentazione della pelle, anche perché il lavoro del doppiatore e dell’attore è interpretare proprio qualcun altro. Per evitare il razzismo, se ne crea di nuovo. Finirà che un doppiatore nero passerà davanti a uno che non lo è per il semplice colore della pelle e non per le sue capacità.
  • Un altro episodio strettamente legato a quello dei doppiatori è il rifiuto di Hank Azaria di interpretare il personaggio di Apu ne I Simpsons perché rappresenterebbe uno stereotipo razzista. Si tratta di un’affermazione assurda. Tutta la serie è basata su stereotipi e iperboli, ed è divertente proprio per questo: Homer è lo stereotipo dell’americano medio idiota e beone, Marge della casalinga esaurita, Bart della peste indisciplinata, Lisa della figlia geniale e studiosa, Luigi degli italiani, Willie degli scozzesi, l’Uomo Ape dei messicani, Burns del villain malvagio, Smithers dell’assistente leccapiedi. È vero, sono stereotipi, ma sono fatti apposta per far ridere, non con l’intento di discriminare. Il loro uso è paradossale e volutamente forzato. È evidente che se tutti i personaggi sono stereotipi nessuno lo è. Tra l’altro Apu non è una macchietta, ma un personaggio complesso e stratificato, tanto che gli sono dedicati diversi episodi.

Questo è solo un piccolo campionario di esempi, ma la lista è lunghissima, e ogni giorno si arricchisce di un nuovo episodio.

Il tweet incriminato di Blow.

Leggi anche: La cancel culture è un problema, la Harper’s Letter non è la soluzione.

Nuova inquisizione?

C’è chi dice sia una nuova inquisizione. Ovviamente ciò non è vero, perché il politicamente corretto nasce con le migliori intenzioni, cioè con l’obiettivo di difendere le minoranze. Si sta però trasformando in un perbenismo e in un bigottismo ammorbante, in un buonismo intransigente. In pratica, è sulla strada buona per diventare un nuovo fondamentalismo light. Si pone l’accento su cose francamente trascurabili, mentre siamo invasi da programmi degradanti che quelli sì, meriterebbero una critica serrata. Perché nessuno critica Il Grande Fratello o L’Isola dei Famosi? Perché nessuno condanna Naked Attraction, in cui si manifesta un’orrenda mercificazione dei corpi voyeuristica e si immiseriscono le relazioni umane? Perché il twerking è stato assurto a nuova lotta al patriarcato mentre invece ne è parte? Perché nessuno si sofferma sulla vacuità siderale delle modelle di Instagram? Perché non si combatte la stupidità intrinseca di Tik Tok?

Il punto critico del politicamente corretto è che non solo punta a costruire un mondo più equo e giusto, e questo è condivisibile, ma perfetto e puro. Il problema è che un mondo perfetto non esiste. Tutti i regimi autoritari che ci hanno provato sono falliti miseramente, perché è incompatibile con l’essere umano, che è fondamentalmente imperfetto. Si propugna l’attivismo tossico e assolutistico senza pensare che l’uomo non è fatto per assoluti. Ogni tanto abbiamo bisogno di essere scorretti. Abbiamo bisogno di mangiare carne, fregarcene dei bambini del Biafra, raccontare barzellette cattive sugli ebrei e sulle donne (attenzione, può farlo solo chi è di sinistra e femminista, perché in quel caso la battuta viene trascesa).

Leggi anche: Fenomenologia dell’SJW hollywoodiano.

Dobbiamo cioè, situare lampi di scorrettezza in prassi corrette, in modo che vengano assorbiti e non facciano danno. Invece il politicamente corretto vuole eliminare anche il più minuscolo episodio di slealtà a sé stesso, portando a una polarizzazione che aumenta i conflitti e l’insofferenza delle persone normali, che hanno l’impressione di essere censurate e vivere sotto una campana di vetro. In questo modo, chi non era magari progressista, ma nemmeno reazionario, è portato per contrasto a radicalizzarsi. Tutto ciò non fa che avvantaggiare la destra estrema, che può dipingere la sinistra come nevrastenica, superficiale, ossessionata da quisquilie, e conquistare consensi nel bacino degli stremati.

In parole povere, si combatte il bigottismo con uno nuovo bigottismo più fashion e smart, che riceve il plauso delle grandi corporation, del tutto disinteressate alle battaglie sociali, ma interessate a vendere. Il movimento progressista si sta avvitando su sé stesso in una morsa autodistruttiva e paranoica. Ci sono persone che preferirebbero scatenare una guerra nucleare piuttosto che aggiungere un’altra lettera a LGBT: la sinistra pensa di conquistarle dicendo che solo un nero può doppiare (o tradurre) un nero, magari con lo sponsor della Nike?

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Stefano Cavallini

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