Lo scorso 17 marzo, il razzismo ha ancora colpito, ma questa volta non si è rivolto al solito oggetto della sua logica malata. Difatti la Georgia, Stato nel sud degli Stati Uniti, ha testimoniato alla “strage” di Atlanta, che ha portato via ben otto cittadine americane di origine asiatica. In poco più di un’ora il ventunenne Robert Aaron Long, sospettato numero uno, avrebbe colpito tre diverse centri benessere. Al di là della mera cronaca, è rilevante sottolineare un elemento. Questo è, da tempo, il primo crimine razziale di rilievo che non veda vittima un cittadino afroamericano. Perché bisogna far risaltare questo aspetto? La risposta è scontata, ma spesso neanche troppo: non esiste solo la minoranza nera all’interno della società statunitense. Bisogna dunque andare ad analizzare questo crescente sentimento anti-asiatico. Inoltre è fondamentale capire come e in che proporzioni le varie minoranze negli Stati Uniti soffrano il razzismo.
Strage di Atlanta: riflesso delle tensioni con la Cina?
Sicuramente questo sentimento di avversione verso l’etnia asiatica non nasce improvvisamente. Quindi bisogna andare a ricercare la matrice di questa tendenza. In questo caso abbiamo un fattore nella nostra analisi che risalta facilmente agli occhi: la gestione di Trump.
Cina, COvid e trump: una bomba destinata a esplodere
I quattro anni di presidenza repubblicana hanno posto un marchio indelebile di avversione verso la Cina. Iniziata con la guerra commerciale nel 2019, l’astio di Trump verso Pechino ha raggiunto il picco massimo con la pandemia del Covid-19. Dopo l’inizio di questa “guerra” sanitaria, sono sempre più cresciute le voci di una possibile paternità del virus da parte della Cina. Sicuramente lo scoppio dei primi contagi nella città di Wuhan hanno destato subito forti sospetti. Poi la questione si è ulteriormente deteriorata quando è stato rilevato il palese ritardo nella comunicazione dell’emergenza. Difatti anche la stessa Unione Europea si è interrogata lo scorso anno, rilevando un comportamento poco trasparente di Cina e OMS. A tutto questo si è aggiunta la convinta presa di posizione di Trump. Nel settembre 2020, l’allora presidente USA, ha dichiarato durante un’assemblea dell’ONU:
Dobbiamo rendere responsabile la Cina, che ha diffuso questa piaga nel mondo.
La recente indagine a wuhan e le parole di biden
In funzione di smentire queste dichiarazioni di Trump è recentemente partita una missione in Cina dell’MS. Un gruppo di esperti ha passato un periodo di tempo a Wuhan, visitando laboratori, per dare un senso a questa incertezza che dura da oltre un anno. È artificiale o no questo virus? La risposta dell’OMS è stata netta: il virus ha origine animale. Dunque le indagini parrebbero scagionare la Cina, anche se molti esperti sia convinti che la verità non stia tutta lì. Alcuni ipotizzano che il virus sia nato in natura, ma successivamente raccolto dagli scienziati cinesi. Questi ultimi poi avrebbero commesso l’errore di non contenerlo nei laboratori. La verità per ora risiede nelle parole dell’OMS. Dopo gli accadimenti di Atlanta, è intervenuto a tal proposito Biden. Il presidente americano ha parlato di responsabilità e presa di coscienza:
Gli americani devono prendersi la responsabilità per non aver mostrato abbastanza indignazione per gli attacchi e l’odio verso gli asiatici nell’ultimo anno.
Biden ha parlato anche della responsabilità delle parole, riferendosi indirettamente a Trump. Indubbiamente, secondo il democratico, la colpa che va attribuita alla modalità comunicativa del Tycoon. L’utilizzo di epiteti come “virus cinese” hanno dato una sostanziale sferzata all’odio razziale verso il ceppo asiatico in America. Un dato rilevante, in questo senso, ce lo offre il CSUSB (Center for the Study of Hate and Extremism). Nell’ultimo anno i crimini d’odio contro gli asiatici sono aumentati del 149%. Questo numero così sostanziale va ad avvalorare la tesi sostenuta da Biden. Grazie a una simile analisi si riesce a dare un “senso” alla strage di Atlanta. Ma come detto in principio, negli USA l’odio razziale non ha un solo colore o etnia.
La vita difficile delle minoranze: una mappa degli USA
Negli Stati Uniti a il mirino dell’odio razziale, e non solo, è puntato sempre su determinate categorie. Si può dedurre dai vari dati che la discriminazione è di tipo razziale, religiosa e di orientamento sessuale. Dato confermato da un’analisi del Dipartimento di Giustizia americano. Sicuramente i più colpiti, sommariamente parlando, sono gli afroamericani e gli omosessuali. Il dato che deve incuriosire è la distribuzione geografica di questi numeri: le città più sviluppate sono quelle con il numero maggiore. New York, Los Angeles, Washington stupiscono per la loro natura internazionale e la forte presenza multietnica. Un report del 2019 dell’FBI conferma che la razza tiene banco assoluto nei crimini d’odio. Ben il 57,6% dei crimini risale a questa matrice motivazionale, seguita da un’altra precedentemente citato. Il 20,1% degli atti d’odio ha origine religiosa. L’ultima è quella sessuale: il 16,7% delle vittime sono state aggredite per il loro orientamento.
Arrivando nello specifico alla suddivisione delle minoranze vittime di discriminazione, quella afroamericana resta la più colpita (48,5% dei casi). Ricollegandoci agli avvenimenti di Atlanta, notiamo che gli atti di violenza di natura anti-asiatica sono stanziati intorno al 4,4%, il che dimostra come il dato non sia così sostanziale, ma che gli avvenimenti degli ultimi due anni (presidenza Trump soprattutto) hanno fatto impennare esponenzialmente i casi. Andando a guardare anche le altre matrici d’odio, vediamo statistiche che confermano la tabella prima analizzata. Se guardiamo alla religione i più colpiti sono gli ebrei (60,2% casi), mentre guardando all’orientamento sessuale abbiamo gli omosessuali (61,8%).
Una malattia diffusa e alimentata da un’altra malattia: le armi
Gli USA purtroppo non possiedono, all’interno del suo tessuto sociale, solamente la malattia della discriminazione (di ogni tipo). Questa tendenza deviata è alimentata da un’altra “piaga” che affligge il Paese: la non regolamentazione delle armi. L’ultima grave notizia correlata alle armi arriva dal Colorado. Il 23 marzo un ragazzo di ventuno anni è entrato in un supermercato uccidendo dieci persone con un fucile d’assalto. La violenza che è quasi la normalità è forse l’aspetto più sconvolgente di questo Paese, il quale però teme tutta questa violenza. Da un rapporto del Pew Research Center emergono dati interessanti: il 44% della popolazione conosce qualcuno che ha subito un colpo d’arma da fuoco. Il 53% dei ragazzi tra i 13 e 17 anni pensano che le armi siano un serio problema per la società. Ecco il dato più eclatante: dal 2008 al 2017 342.439 persone sono state uccise da un colpo d’arma da fuoco, con una frequenza sconvolgente di una morte ogni quindici minuti.
A questo proposito è intervenuto il presidente Biden, che ha pubblicamente fatto un appello al Congresso per approvare una legge che possa regolamentare la vendita di armi. Questo collegamento tra gli avvenimenti di Atlanta e la non regolamentazione delle armi è vitale. Una cultura basata sull’uso scriteriato di strumenti di morte non può che coincidere con un alto tasso di crimini d’odio. Se l’America vuole uscire da questa spirale di violenza razziale, religiosa, sessuale, deve necessariamente fare i conti con le armi. Gli Stati Uniti hanno bisogno di smontare questa impalcatura costituita d’odio che gli ultimi quattro anni di presidenza repubblicana non hanno costruito, ma sicuramente rafforzato.