Da quando nel mondo è scoppiata l’emergenza Covid-19 si è discusso molto di istruzione, di didattica a distanza e delle difficoltà di studenti e studentesse. Studi accademici e inchieste giornalistiche hanno indagato su un tema ancora oggi dibattuto e che divide l’opinione pubblica. Tuttavia, in pochi hanno prestato attenzione alla situazione degli studenti delle accademie di belle arti, che sono stati i primi a toccare con mano le difficoltà del cambio di paradigma in ambito formativo. Se gli universitari in qualche modo sono riusciti a resistere tramite la didattica a distanza, duale, le attività blended e altre forme innovative, come si sono approcciati i docenti e i ragazzi che frequentano le accademie, le quali per natura necessitano di una forte ed essenziale componente pratica e “in presenza”?
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Abbiamo incontrato due giovani pittrici che da qualche settimana hanno concluso il loro ciclo di cinque anni presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ilaria Simeoni e Maria Pilotto, rispettivamente classe 1995 e 1996, ci hanno raccontato la loro esperienza, provando a fare da portavoce di molti, spiegando aspetti positivi e negativi di questo momento così difficile. Da quel che si apprende dall’intervista, inizialmente, gli artisti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia si sono trovati spiazzati e soprattutto senza prospettive a corto raggio poiché non erano state ipotizzate soluzioni alternative per la natura stessa dell’istituzione. Pertanto, l’inaspettata emergenza pandemica e la relativa chiusura hanno imposto un cambio di paradigma sostanziale.
Fin da subito gli artisti e le artiste si sono adoperati con i pochi materiali a disposizione per poter continuare la loro ricerca artistica da casa o in spazi privati. Le difficoltà inoltre si sono verificate in tutto il settore dell’arte. Inizialmente, infatti, tutte le mostre e i concorsi sono stati sospesi o prorogati. Successivamente, la gran parte di questi eventi ha optato per soluzioni alternative, come mostre online. Tuttavia, esponendo le opere tramite un sito se ne perde la componente emozionale e, da quanto si osserva, queste tipologie di esposizioni non hanno convinto del tutto gli artisti.
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«Nelle primissime fasi della pandemia non abbiamo avuto nessun riscontro da parte dell’Accademia di Belle arti di Venezia, ma dopo qualche settimana si sono adoperati per l’utilizzo di una piattaforma istituzionale per poter seguire le lezioni, in linea con quanto proposto dalle università. Essendo che la maggior parte dei corsi sono pratici, ogni singolo docente ha cercato soluzioni alternative e idonee al lavoro da casa» spiega Ilaria Simeoni. Linea simile anche quella di Maria Pilotto, che propone un esempio di buona gestione: «Uno dei corsi in cui ho riscontrato una migliore soluzione didattica è stato il corso di Tecniche dell’incisione in cui la professoressa ha trovato dei modi per farci lavorare con dei materiali facilmente reperibili al supermercato. In questo caso abbiamo utilizzato, al posto delle tradizionali lastre di zinco, il tetrapak, che si è rivelato un materiale davvero innovativo e oserei dire rivoluzionario nella mia pratica artistica».
«Nelle primissime battute del lockdown non possedevo i materiali per dipingere con i colori a olio in quanto erano rimasti in accademia e così mi sono cimentata di più nell’acquerello, riprendendo una tecnica per me centrale soprattutto negli scorsi anni. L’acquerello è una tecnica quasi zen, che molto spesso non riesco a portare avanti in un ambiente dinamico come l’atelier. Inoltre, in casa non dispongo di grandi spazi per poter dipingere su tela e di conseguenza ho adattato il mio stile pittorico alle esigenze determinate dalla situazione sanitaria attuale. Posso dire di aver lavorato in modo più meditativo e lento: dalla scelta dei soggetti all’accostamento dei colori». Queste le parole di Maria.
Anche Ilaria ha affermato di aver ritrovato una tecnica parzialmente trascurata nel tempo, come la pittura en plein air: «Sicuramente questa situazione ha influito molto sul mio lavoro pittorico che solitamente in atelier è svolto con ritmi sostenuti. Fortunatamente a casa ho uno stanza adibita a laboratorio di pittura e non ho avuto molte difficoltà nel reperire il materiale per poter dipingere. Il lavoro non ha avuto una continuità immediata, ci sono voluti un po’ di giorni per adattarmi alle nuove dinamiche di questa situazione. Rimanere a casa mi ha aiutato ad avvicinarmi nuovamente al disegno e alla pittura en plein air rivolta al giardino e alla natura, nella quale ho realizzato molti bozzetti e opere di piccole dimensioni. Diciamo che il mio percorso artistico ha risentito nel formato di grandi dimensioni che solitamente facevo in accademia».
«Sì, senza dubbio la mancata condivisione degli spazi in Accademia ha influito molto sulla produzione artistica. Il fare arte non è una pratica solo volta alla persona singola, ma è un’esperienza e un apprendimento collettivo. Ogni giudizio o punto di vista di un collega o docente può essere utile alla crescita e al lavoro che si sta eseguendo nel determinato laboratorio. Questa è una cosa di cui ho sentito molto la mancanza, perché il supporto pittorico vive anche attraverso una moltitudine di sguardi e non solo dall’occhio di chi la crea» afferma Ilaria Simeoni.
«L’Accademia di Venezia ha le aule dei vari laboratori chiamate atelier, uno spazio che ognuno sfrutta per la propria ricerca artistica. L’ambiente dell’atelier è molto dinamico e spesso ci si ritrova a lavorare con studenti più grandi e più giovani contemporaneamente, riuscendo ad avere continui stimoli e suggestioni. Devo dire che la cosa che è mancata di più è stata proprio questa: il non poter condividere con gli altri uno spazio, in stretto contatto. Purtroppo lavorando da casa ci si confronta con sé stessi e con qualche amico, e le possibilità di sviluppo del proprio lavoro sono ridotte» conclude Maria Pilotto.
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