Nonostante la preoccupante situazione sanitaria, il parlamento francese continua a legiferare al di fuori delle necessità stabilite dalla pandemia. E lo fa su un tema caro alla destra di tutto il mondo: la sicurezza. Il 18 marzo, la proposta di legge chiamata “sicurezza globale” (sécurité globale) ha passato il voto al senato, con 238 voti a favore e 98 contro, dopo che al testo sono state apportate varie modifiche.
Come per l’adozione della legge sui “separatismi” (Loi séparatisme), il governo francese va in direzione contraria al sentimento comune. Fin dal primo giorno in cui fu presentata la proposta di legge sulla sicurezza globale, il 20 ottobre 2020, le manifestazioni e le proteste non sono mancate. A preoccupare la società civile, in particolar modo, gli articoli 21, 22 e 24 del testo. Centinaia di organizzazioni, dai maggiori sindacati dei giornalisti alle Femen, insieme a svariati media e alla Lega dei diritti umani (LDH), si sono riunite nel coordinamento #StopLoiSecuriteGlobale. In questi mesi, hanno tentato in ogni modo di impedire l’adozione della legge, e continuano a farlo anche se pochi passi separano il testo dalla definitiva conversione. Si legge all’apertura del loro sito: «A essere in pericolo sono la libertà di manifestare dissenso e il diritto all’informazione, diritti fondamentali della Repubblica».
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La storia recente francese è costellata di episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine. Negli ultimi mesi la situazione non è migliorata. Dapprima Michel Zecler, produttore discografico parigino, viene riempito di botte da tre agenti all’interno del suo studio di produzione, la notte di sabato 21 novembre. L’aggressione è cominciata senza una valida ragione (sembra che l’uomo non portasse la mascherina con sé) ed è terminata tra insulti razzisti e fumogeni sparati ad altezza uomo, al chiuso. A provarlo, le telecamere di sorveglianza dello studio del discografico. Prima che il video venga reso pubblico, gli agenti raccontano un’altra versione: dicono di aver solamente «reagito a una ribellione». Senza quel video, ora Zecler sarebbe in carcere, in attesa di un processo per un fatto mai commesso.
Qualche giorno dopo, il 24 novembre, in Place de la République a Parigi montano le tende poche centinaia di migranti, perlopiù afghani. Il gesto vuole riaccendere gli animi sulle loro condizioni di vita, lasciati spesso a marcire in campi di fortuna ai limiti della periferia parigina. Accamparsi nel centro di Parigi dà loro la visibilità necessaria per far accorrere giornalisti e politici a sostenerli, e decine di poliziotti in tenuta antisommossa. Le forze dell’ordine, per smantellare quel campo illegale, usano gas lacrimogeni e forza bruta: tirano via le tende, a volte persino con gli occupanti all’interno.
Le violenze riguardano anche alcuni politici locali, e i giornalisti accorsi. Remy Buisine, reporter di Brut, filma l’accanimento nei suoi confronti in diretta streaming. La stessa sera, Buisine scriverà su Twitter che «è difficile trovare parole adatte a questo tipo di cronaca. Fa male al cuore vedere tanta miseria, tristezza e collera». Brut scrive che chiederà un’interrogazione al ministro degli interni. Quest’ultimo, Gerald Darmanin, a mezzanotte twitta: «Le immagini di Place de la Republique sono scioccanti. […] Ho chiesto un rapporto circostanziato al Prefetto, da fornire entro domani a mezzogiorno. Poi, prenderò una decisione». Nei giorni a seguire, l’IGPN, “la polizia della polizia”, apre un’inchiesta interna. Ad oggi, nessuna responsabilità è stata ancora accertata.
Nel mese di marzo del 2016 differenti manifestazioni, contro l’approvazione della legge sul lavoro (Loi travail), forzano le autorità a chiedersi se non sia necessario riformare le modalità di ingaggio delle manifestazioni. Nell’ottobre del 2018 nasce il movimento dei gilet jaunes, e la questione torna alla ribalta. Di nuovo, nel giugno del 2019, questa volta a seguito di alcuni casi di violenza da parte delle forze di polizia, Cristophe Castaner, ministro dell’interno dell’epoca, apre ufficialmente una riflessione. Solo con Gerald Darmanin, nel settembre 2020, si approderà a un documento, lo Schéma national du maintien de l’ordre (SNMO). L’obiettivo: definire strategie di ingaggio dei manifestanti più efficaci. Non solo, nel documento si stabilisce un rafforzamento del corpo di polizia e l’acquisto di nuovi veicoli. Darmanin, subito dopo l’annuncio, indica di voler condizionare anche la diffusione di immagini delle forze dell’ordine, una richiesta già avanzata a più riprese dai sindacati di polizia.
Dopo nemmeno un mese, la proposizione di legge sulla sicurezza globale approda in senato. L’articolo 24, che va a modificare la legge del 29 luglio 1881 sulla libertà di stampa, specifica: «È punito con un anno di reclusione e una sanzione di 45.000 euro il fatto di diffondere […], con l’obiettivo di compromettere la sua integrità fisica e psicologica, l’immagine del viso o qualsiasi altro elemento d’identificazione di un funzionario di polizia o di un militare, quando ciò avviene mentre è in corso un’operazione di polizia». Nell’ultima redazione, quella approdata al voto in Senato, l’articolo 24 è cambiato. Si parla del delitto della “provocazione all’identificazione” e la pena è aumentata a cinque anni, così come la sanzione: 75.000 euro.
Secondo Loïc Hervé, senatore dell’Unione centrista e relatore del testo, questa nuova impostazione dovrebbe proteggere i giornalisti e il loro lavoro. Come riporta il ministro dell’Interno, «è importante rinforzare la fiducia che la nazione ripone nelle forze dell’ordine». Oltre all’articolo 24, sono gli articoli 21 e 22 a inquietare gli oppositori alla legge sulla sicurezza globale. L’articolo 21 definisce l’utilizzo intensivo delle body-cam, mentre l’articolo 22 regola il dispiegamento dei droni per coadiuvare le operazioni di polizia e di mantenimento dell’ordine.
Al momento, il testo attende la sua ultima discussione pubblica, il 7 aprile, prima della definitiva conversione in legge. Il 29 marzo, la commissione paritaria mista ha apportato delle piccole modifiche, nessuna di esse sostanziale. Nella discussione all’Assemblea Nazionale (la Camera dei Deputati francese) del 20 novembre 2020, Marine Le Pen si è congratulata con gli estensori per una legge che «va nella giusta direzione». Anche se, si è lamentata, tale impostazione non «preclude la possibilità di filmare, ma solo di diffondere le immagini». Durante la stessa seduta, Jean-Michel Fauvergue, deputato della Republique En Marche (il partito di Macron), ex comandante delle forze speciali RAID e primo firmatario del testo, ha dichiarato che la legge serve a «proteggere chi ci protegge». Henry Leroy, deputato del gruppo Les Républicains, alla discussione in Senato del 16 marzo, è andato più lontano: «Senza sicurezza, non c’è libertà».
L’affluenza alle manifestazioni contro il varo della legge sulla sicurezza globale è stata considerevole. Il 28 novembre 2020 erano in più di 130.000 a manifestare, secondo il governo, quasi 500.000 secondo gli organizzatori. Darmanin, sempre il 16 marzo, ha ricordato che il suo governo ha aumentato di 10.000 unità il numero delle forze di sicurezza nel Paese. In Francia ci sono 320 agenti di polizia ogni 100.000 abitanti (in Italia 453). Aumentarli, però, non ha significato più sicurezza per molti tra i francesi.
Lo spiega bene Amnesty International, che ha denunciato «detenzioni arbitrarie» nel corso della manifestazione del 12 dicembre. Il motivo, secondo Amnesty, sarebbe quello di scoraggiare le persone dal partecipare alle mobilitazioni. Altri due appuntamenti si sono avuti il 30 gennaio e dal 16 al 20 marzo, quest’ultimo terminato con una marcia in ricordo delle vittime delle violenze poliziesche. Eppure, il 18 marzo il senato francese ha approvato in maggioranza il testo. Sembra che ormai niente e nessuno possa arrestare quella che viene definita come una svolta autoritaria e illiberale. Nessuna fratellanza e uguaglianza aspettano il popolo francese, diviso così duramente al suo interno, e la libertà, d’informare e di manifestare non è mai stata così in pericolo.
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