Classe 1995, Gianmarco Veronesi è un nome emergente tra i disegnatori e gli artisti del panorama italiano. Diplomato alla Scuola Internazionale di Comics a Reggio Emilia nel 2017, si afferma nella scena nazionale prima con Renoir Comics, poi con una biografia romanzata a fumetti del pittore Tintoretto, realizzata per Sky Arte. Per la Scuderia Ferrari realizza nel 2019 quattro poster per le date dei gran premi della Formula 1. È stato coordinatore artistico di In compagnia del lupo, serie condotta da Carlo Lucarelli, appena andata in onda per Sky Arte.
Oggi theWise Magazine ha incontrato il fumettista e illustratore Gianmarco Veronesi.
«Dentro di me c’è sempre stata l’idea di poter riuscire a trasformare la mia passione per il disegno in un lavoro a tempo pieno. Fin da piccolo ho sempre disegnato tantissimo. La decisione è avvenuta appena dopo il conseguimento del diploma al liceo artistico di Reggio Emilia. In realtà, gli anni del liceo, soprattutto il triennio, sono stati quelli in cui ho disegnato meno. Nonostante apprendessi le basi accademiche, nel tempo libero disegnavo quasi mai. In quinta però vinsi un concorso scolastico di design e questo mi diede una bella spinta per riprendere in mano seriamente la matita! Una volta uscito ho frequentato la Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia. Da lì ho iniziato a lavorare e non ho mai più smesso di disegnare».
«La nascita di un fumetto è un processo lungo e complicato, che prevede il lavoro di diversi professionisti. Per prima cosa, c’è uno sceneggiatore che scrive la sceneggiatura, quasi come se fosse quella di un film. A questo punto il disegnatore interpreta lo scritto, illustrando graficamente le tavole. A volte il disegnatore viene visto solo come un mero esecutore della sceneggiatura, ma spesso può esserci una forte sinergia tra i due, tanto da arrivare a costruire e sviluppare insieme il mondo che si vuole raccontare.
Sotto un certo punto di vista, queste due figure sono la “mamma” e il “papà” del fumetto. Il disegno passa poi al colorista, che colora le tavole. L’ultimo passaggio è svolto dal letterista, che inserisce i testi nei balloon. Io ho lavorato come fumettista illustrando Tintoretto, un ribelle a Venezia edito da TIWI e Sky Arte e alcune storie di Don Camillo a fumetti, vol. 16 della ReNoir».
«Sfatiamo un mito. C’è la convinzione, piuttosto diffusa, che per creare qualcosa sia sufficiente l’ispirazione e se questa al momento non c’è, basti aspettarla. Per quanto riguarda la mia esperienza, niente di più falso. Magari con alcune persone funziona, ma io sono uno di quelli che “sbatte la testa” finché non riesce a fare quello che si è prefissato. Mi spiego meglio: l’ispirazione c’è, esiste. Ma credo che le idee migliori si costruiscano durante il processo di lavoro. A volte mi capita di avere un’idea o un’ispirazione, se così vogliamo chiamarla, all’inizio. A volte questa però si rivela inadatta mentre la sviluppo, sostituita da idee più efficaci. Credo che il processo creativo sia un dialogo diretto tra idee, ispirazioni e il lavoro necessario per attuarle. Durante la lavorazione, questi estremi dialogano e si scontrano continuamente, fino a che non vengono solidificati dei canoni precisi.
Se tengo particolarmente a un progetto, capita che io perda interesse per tutte le altre cose che non siano il mio lavoro in quel momento. Le prime tavole e i primi giorni di lavoro sono i più faticosi. Puoi trovarti in una situazione molto stressante in cui non fai altro che provare e cancellare, provare e cancellare ancora, fino a quando qualcosa inizia a nascere. Nei giorni successivi il progetto si sviluppa e la soddisfazione cresce, però partire è davvero difficile.
Ora lavoro presso Tiwi Studio. Avendo Scuderia Ferrari come cliente, mi è capitato di dover disegnare qualche poster per le gare della Formula 1. Questi sono veramente montagne da scalare. L’idea può esserci, ma prima di essere soddisfatto mi è capitato di passare ore davanti allo schermo preso dal nervosismo perché non riuscivo a concludere niente. Quando poi la scadenza si avvicina e la pressione aumenta, il cervello comincia a carburare e si parte nella direzione giusta! Penso che alla fine si tratti di accettare un compromesso con sé stessi. Da un lato c’è il disegno più bello che avresti potuto fare, senza limiti di mezzi e scadenze, dall’altra c’è il non aver prodotto nulla. Si tratta mettere molto impegno per centrare il più possibile un prodotto soddisfacente per sé stessi e per il cliente».
«La differenza tra fumettista e illustratore è che l’illustratore non fa fumetti. Semplicemente! Illustratore e fumettista in realtà possono avere le stesse basi. Il fumettista è specializzato nel seguire una griglia a fumetti e nel raccontare attraverso di essa. Secondo la mia esperienza maturata finora, lavorare come fumettista è come correre una maratona, mentre fare l’illustratore è come correre i duecento metri. Fare un fumetto richiede molto tempo, ma una volta trovata una strada, si impostano dei canoni che vanno seguiti fino alla fine. Quando si devono fare illustrazioni, come un poster o copertina, bisogna dare il massimo in poco spazio, one shot one kill. Quando si guarda un’immagine sola, quella deve stupire al primo colpo. Chiaramente ci sono tutte le dovute sfumature».
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«Per come sto lavorando io, il digitale è imprescindibile. Arrivano talmente tante correzioni nel bel mezzo dei lavori che lavorare su carta sarebbe infernale! Ovviamente ci sono tantissimi professionisti che lavorano con supporti e tecniche tradizionali. Un po’ li invidio, vorrei avere più tempo e volontà per curare questo aspetto. Devo ammettere che in digitale hai più la sensazione di stare lavorando e basta piuttosto che quella di produrre un’opera, qualcosa di unico, di tuo. C’è una sottile sfumatura, se si riesce a coglierla. D’altro canto il digitale offre molte comodità e scorciatoie. Quando andavo a scuola disegnavo a mano, il digitale non mi piaceva. Ma adesso, per rispettare le scadenze, i ritmi e le richieste non posso più farne a meno. Anche perché in una realtà aziendale, come la mia, è imprescindibile».
«Questo per me è uno dei mestieri più belli del mondo, ma non è esente da problemi, come tutti i mestieri del resto. Ci sono varie cose che potrei dire. Una di queste è che essere un artista di professione ti espone continuamente ai commenti degli altri. Spesso è appagante, ma può anche rivelarsi molto frustrante e deludente. Pensi di aver fatto qualcosa di bellissimo, ma il cliente te lo boccia, anche per motivi che tu puoi non ritenere importanti. O ancora, bisogna sempre essere attenti alle novità, tenersi aggiornati sui nuovi artisti, sulle nuove tecniche e su quale siano i tipi di prodotti e contenuti che stiano andando forte sulla scena al momento.
Fondamentalmente non si smette mai di studiare e di imparare. Io produco un disegno e decido la qualità del mio prodotto. Più si è bravi, più si è esigenti con sé stessi, più il lavoro porta via tempo. Questo però, si spera, sarà ripagato dalla soddisfazione del cliente.
Inoltre lavorare con l’arte significa mettere in conto che ci sono pochissimi posti disponibili. Questo porta a confrontarsi molto con il lavoro degli altri. Porta a lavorare le notti e a trascurare relazioni e aspetti della vita privata, nel tentativo di migliorarsi. Ci sono poi in gioco le logiche di mercato. Alcune realtà offrono molto poco come compenso in rapporto al lavoro effettivo che si svolge. Non le biasimo, a volte queste realtà sono piccole, non possono promettere troppo ai disegnatori in termini di retribuzione. Tuttavia il problema persiste. Considero queste realtà più come gavetta o trampolini di lancio».
«Il mio ultimo progetto mi ha visto coordinatore artistico dell’illustrazione del programma In compagnia del lupo, condotto da Carlo Lucarelli e prodotto da Tiwi e Sky Arte. Le puntate erano composte da un racconto del conduttore, intervallato da interviste e clip animate. Ho disegnato gli storyboard di tutti gli episodi, ho realizzato due episodi e il poster della serie.
Usciranno nei prossimi mesi altre due nuove serie, sempre per Sky Arte, alle quali sto lavorando. Però, per ora, non posso parlarne!».
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