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Sì Grillo, si può andare in spiaggia il giorno dopo aver subito uno stupro

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A cura della redazione

Lo ripetiamo, in caso non fosse chiaro. Sì Grillo, si può andare in spiaggia il giorno dopo aver subito uno stupro. Ma andiamo con ordine. Lunedì 19 aprile, Beppe Grillo ha pubblicato sui social un video in difesa del figlio Ciro, accusato (insieme ad altre tre persone) di stupro, ai danni di una ragazza conosciuta in vacanza in Sardegna nel 2019.

Non ci vogliamo soffermare su quello che è successo, su cosa dicono i giornali, su quali siano i retroscena della vicenda. Non è il nostro compito. Fermo restando che sarà la magistratura ad accertare i fatti e a emettere un’eventuale sentenza di colpevolezza, il discorso di Grillo è inaccettabile.

Secondo l’Enciclopedia Treccani, si definisce stupro ogni «azione volta a costringere un individuo a compiere o subire atti sessuali contro la propria volontà, mediante l’uso della violenza o della minaccia». L’ordinamento italiano punisce questo reato con una condanna non inferiore ai sei anni e non superiore ai dodici, come sancito dall’articolo 609-bis del Codice Penale.

Foto: Pixabay.

Il video del comico genovese vuole passare come l’accorato appello di un padre verso la magistratura, mal celando il fatto che sia tutto preconfezionato e costruito a regola d’arte: inquadratura, ingresso, tagli e sfondo nero alla fine. Grillo fa leva sul fatto che suo figlio e i suoi compagni, definiti «ragazzi di diciannove anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così… perché sono quattro coglioni» non siano in galera.

Certamente questa argomentazione, basata sull’equazione non in galera = non colpevole, può colpire l’attenzione di chi non ha dimestichezza con i tempi burocratici delle indagini e di certi procedimenti penali. Tralasciando gli epiteti dedicati al figlio e ai compagni, lo stupro non è un gioco e le conseguenze fisiche e psicologiche a breve e lungo termine non sono trascurabili.

Secondo Beppe Grillo, questo stupro non è mai avvenuto. Si rivolge ai giudici e alle Forze dell’Ordine che non li hanno arrestati e condannati due anni prima «Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf, e dopo otto giorni fa una denuncia, vi è sembrato strano. È strano». No, Beppe. Non è strano. Una persona può subire una violenza e denunciare il giorno dopo, una settimana dopo o diversi mesi dopo. Non a caso la legge italiana accoglie denunce di stupro fino a dodici mesi dopo il presunto svolgimento dei fatti.

La reazione (giustamente!) del mondo social è stata durissima. Eva Dal Canto, giovane ventinovenne toscana che abita nel Regno Unito, ha lanciato su Instagram l’hashtag #ilgiornodopo. Si può leggere sulla sua bacheca: «Il silenzio non porta più giovamento, se non agli stupratori. […] Troppe persone subiscono stupri e violenze nel segreto delle loro camere, nelle macchine dei compagni di classe e non acquistano consapevolezza di ciò che hanno subito fino a molto tempo dopo. Talvolta, come nel mio caso, dopo anni. Ma il problema è anche che una certa narrazione sembra voler colpevolizzare chi sopravvive. […] Lancio l’hashtag #ilgiornodopo perché le/i sopravvissutə allo stupro e alle violenze raccontino quanto drammaticamente sia normale e diffuso non aver denunciato immediatamente. O, come nel mio caso, non aver denunciato affatto».

Il post dal profilo di Eva.

Le parole di Beppe Grillo sono un esempio di vittimizzazione secondaria o colpevolizzazione della vittima. Questo meccanismo si mette in atto quando una vittima viene aggredita “moralmente” dai media, dalle istituzioni o dall’opinione pubblica. La vittima non viene creduta e viene addirittura accusata di essere stata la causa della propria aggressione. Le parole di Grillo minimizzano la violenza e le luci dei riflettori si spostano sul comportamento della giovane, ritenuto sospetto, come se fosse la colpevole della violenza che lei stessa ha subito.

A riguardo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1985 ha promulgato la Dichiarazione dei principi basilari della giustizia per le vittime di reato e abuso di potere. Essa richiede che ogni Stato membro preveda un ruolo effettivo e appropriato alle vittime nei procedimenti che le riguardano. Purtroppo, il nostro Paese non ha mai recepito la decisione quadro e ha preso poco in considerazione questi aspetti.

Leggi anche: Stupratori col Rolex: la vicenda di Alberto Genovese.

Gli otto giorni che sono serviti alla vittima (perché è così che dobbiamo definirla, Grillo) sono il tempo giusto. Il tempo giusto è quello che serve alle vittime per realizzare quello che è successo. Possono essere otto ore, otto giorni o otto mesi, non spetta a nessuno decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le parole di Beppe Grillo sono un continuo rimando alla cultura dello stupro. I toni violenti e la retorica che utilizza, condivisi dai molti che, purtroppo, si schierano con lui, non fanno altro che disincentivare altre vittime dal denunciare. È agghiacciante leggere commenti come “da padre lo capisco”. Ma la vittima, ci chiediamo, chi la capisce?

E poi c’è l’idea che i ragazzi sono “solo” ragazzi. Che queste sono ragazzate. No, non lo sono. Sarebbe meglio educare i propri figli che non difenderli quando si creano queste situazioni. È il momento di smetterla con la continua giustificazione delle violenze, è il momento di rendere le persone responsabili delle proprie azioni.

Come già detto, sarà la magistratura a chiarire le dinamiche dei fatti e le eventuali colpe. Resta il fatto che il discorso social di Beppe Grillo è inaccettabile. È inaccettabile aver spettacolarizzato una possibile tragedia ai danni di una ragazza neanche ventenne, è inaccettabile sentire certe parole da un personaggio pubblico. Ancora, è inaccettabile vedere un promotore del giustizialismo diventare il più strenuo difensore del garantismo, solamente perché suo figlio è accusato.

Questa è una violenza psicologica e mediatica. Ci auguriamo un processo a porte chiuse, non spettacolarizzato. Un processo con decoro e rispetto nei confronti di chi, il rispetto, non lo ha mai avuto.

Non esiste il tempo giusto per denunciare. In caso, denunciate. Con i vostri tempi. Ma denunciate. Sempre.

Laura Bruschi e Marco Capriglio

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