Odio gli uomini di Pauline Harmange è un libro che ha creato scompiglio. Demolito da alcune femministe e apprezzato da altre, accusato di essere incitamento all’odio, è stato comparato persino al Mein Kampf. Ma è davvero così? Risponderemo alla domanda analizzando passo a passo gli estratti più rilevanti del libro.
L’accusa di misandria è un meccanismo di silenziamento: un modo di mettere a tacere la rabbia, a volte violenta ma sempre legittima, delle persone oppresse contro i loro oppressori.
Ciò è solo parzialmente vero. A volte l’accusa di misandria è effettivamente un modo per silenziare le rivendicazioni femministe; altre volte, dato che esistono donne e femministe che odiano gli uomini, le accuse di misandria sono vere. La Harmange sembra considerare solo la prima eventualità.
Dai, mi butto, ve lo confesso: io odio gli uomini. Ma proprio tutti? Sì tutti. A priori ne ho un’opinione molto bassa. […] Ma ciò non mi impedisce di chiedermi perché gli uomini siano come sono: vale a dire degli esseri violenti, egoisti, pigri e vigliacchi.
Le parole non lasciano spazio a dubbi. L’autrice lo ammette candidamente: odia gli uomini, tutti, a priori. Di un odio totale, sostanziato dalle loro tare, che è difficile giudicare se siano culturali o genetiche, forse tutti e due. In questo suo sentimento ci sono inquietanti echi di un pensiero eugenetico.
[…] mettendoceli contro coi nostri “men are trash” – gli uomini sono spazzatura – non abbiamo buone probabilità che si uniscano a noi e ci aiutino nella nostra lotta. Come se non potessimo portare avanti la nostra lotta senza di loro. Come se, quando si invitano tra le nostre file […] non occupassero tutto lo spazio sovrastando le nostre voci (e a volte, en passant, violentandoci pure).
Niente di meno, gli uomini sono spazzatura. La Harmange realizza che, dopo essere stati pesantemente insultati, gli uomini forse non avranno più voglia di aiutare le femministe nella loro lotta. Allora, scrive, le donne dovranno fare da sole. Questa riflessione nasconde un gigantesco punto debole: cioè che anche gli uomini sono vittima del patriarcato. Lo sono quando devono nascondere la loro omosessualità, quando vengono bullizzati, quando non possono piangere. Dire che gli uomini non possono aiutare le donne nello sradicamento del sistema patriarcale significa impedire a un’intera categoria di migliorare la propria condizione di vita, ed è qualcosa di disgustoso. Poi, ovviamente, un uomo sinceramente femminista non può esistere, perché lo è solo per rubare la scena alle donne e, se capita, stuprarle.
Odiare gli uomini in quanto gruppo sociale e spesso anche in quanto individui, mi riempie di gioia.
L’odio per la categoria degli uomini è ribadito ancora una volta e presentato come una cosa bella, che dà felicità.
“Includo in questa definizione [di misandria, N.d.R.] tutti gli uomini cisgender, socializzati come tali, che godono dei loro privilegi maschili senza metterli in discussione o facendolo troppo poco.
Questa è la prima contraddizione che incontriamo. Prima l’autrice dice che odia tutti gli uomini, indistintamente, poi solo quelli “cisgender, socializzati come tali, che godono dei loro privilegi maschili senza metterli in discussione o facendolo troppo poco”. Si tratta comunque di un buon numero di esseri umani, che magari per mancanza di inclinazione o interesse non si sono mai avvicinati al femminismo. Per quanto ciò possa essere riprovevole, potrebbero essere comunque brave persone che andrebbero educate, non odiate. Il femminismo dovrebbe tirarli dalla propria parte, non inimicarseli dichiarando di odiarli.
Il minimo che possa fare un uomo di fronte a una donna che avanza una tesi misandrica è ascoltare in silenzio. […] Poi eventualmente potrà dirsi d’accordo.
Quindi non solo uomo deve sentirsi dire che è profondamento odiato, che è considerato spazzatura anche se è femminista (anzi, ancora di più), ma non può nemmeno lamentarsi, non può reagire, deve stare muto. Al massimo può dirsi d’accordo. Con questa frase la Harmange decreta la morte del dialogo tra i sessi. La donna ha sempre ragione, mentre l’uomo, in quanto uomo, deve stare zitto.
Per quanto ami il mio partner e non pensi neanche un istante a separarmi da lui, continuo […] a mettere anche lui nel calderone. […] non sempre sono sufficienti [gli sforzi, N.d.R.] e i progressi a volte richiedono molto lavoro, ma ne vale la pena. Continuo a rimproveragli di aspettare che io gli serva concetti e riflessioni premasticati sulla mascolinità […] rifiuto di concedergli il diritto di essere mediocre soltanto perché è un uomo e tanto gli uomini sono fatti così.
Seconda contraddizione. La Harmange dice di odiare tutti gli uomini, ma ha un compagno, che è come dire di odiare la ricchezza e poi avere in banca dieci milioni di euro. È molto ipocrita predicare alle donne di fare a meno degli uomini, e quindi anche del sesso se si è eterosessuali, e poi avere una (potenziale) relazione sessuale garantita. Ma ciò è possibile perché, sue parole, “la vita non è una cosa semplice”. Comunque, ci rassicura, lo ama come individuo, ma lo odia come uomo, per cui tutto a posto.
L’opinione che l’autrice ha del suo uomo è quella di un deficiente, che non sa ragionare e che (non sia mai!) non può nemmeno permettersi il lusso di essere mediocre ogni tanto. Eppure, uno dei capisaldi del femminismo è che in una coppia sana ci si può permettere dei momenti di debolezza e che essere mediocri dovrebbe essere un diritto, contro le richieste produttivistiche del mondo capitalista e patriarcale. Ma ovviamente vale solo per le donne. Quella dell’Harmange è evidentemente una relazione tossica.
La misandria e la misoginia non si possono comparare per il semplice fatto che la prima esiste solo in reazione alla seconda.
Questo è vero, ed è forse l’unica cosa giusta detta nel libro, ma attenzione, guardiamo alla storia. I gulag sono legittimi solo perché il comunismo nasce in reazione al capitalismo? È vero che finora la misandria si è dimostrata pacifica e non ha provocato violenze, ma possiamo garantire che sarà sempre così?
Gli uomini che scelgono il terreno della ragione in opposizione a quello delle emozioni si collocano in una posizione di autorità. Solo la parte dominante può permettersi di essere calma in ogni circostanza, perché non è quella che soffre.
Se un uomo predilige la pratica alla teoria quindi è un oppressore. Se l’uomo è più razionale è perché è stato educato a essere così dal patriarcato, ma siccome l’uomo secondo la Harmange non può combattere battaglie femministe e migliorarsi è condannato a rimanere così in eterno. Non è che l’uomo non soffra, è che (a detta dell’autrice) cerca di trovare una soluzione alla sua sofferenza, invece che viverla. Comunque, questa visione è alquanto stereotipata. Ci sono molti uomini che sono più emotivi delle donne e dotati di grande sensibilità.
Questa faccia tosta dell’imbroglione, antitesi della nostra sintesi dell’impostore, è appannaggio degli uomini.
Secondo l’autrice gli uomini riuscirebbero a fare passare la loro mediocrità congenita per “competenza”, ma in verità sarebbero incapaci sul posto di lavoro. Questo può essere vero in alcuni casi, ma non è certamente appannaggio degli uomini. Esistono eccome donne incapaci che occupano immeritatamente posti di lavoro. Potrà pur essere un fenomeno che si manifesta più tra gli uomini che le donne, ma non riguarda esclusivamente i primi.
La mia energia relazionale scelgo di dedicarla a loro e alle donne in generale, perché gli uomini non ne hanno bisogno per ricevere conferme e conforto nelle loro scelte di vita o per essere rassicurati del loro valore.
Forse la Harmange conosce solo uomini d’acciaio, macchine senza sentimenti che non hanno mai bisogno di una parola gentile, ma la verità è tutt’altra: gli uomini sono fragili. Come tutti gli esseri umani hanno bisogno “di ricevere conferme e conforto nelle loro scelte di vita” e “di essere rassicurati del loro valore”, specialmente dalle donne, se queste sono le loro partner. Non invidiamo davvero il compagno dell’autrice, che evidentemente non riceve mai il minimo supporto.
Allora adesso privilegio le donne: nei libri che leggo, nei film che guardo, nei contenuti che assorbo nelle mie relazioni quotidiane, perché gli uomini non abbiano più tanta importanza.
Quindi non solo la Harmange odia gli uomini, ma non fruisce nemmeno delle loro opere. Pur di alimentare il suo odio, si priva con gioia delle realizzazioni di metà del pianeta, poco importa se siano essenziali per comprendere il mondo e goderne.
Odiare gli uomini e tutto ciò che rappresentano è il nostro diritto più essenziale. Ed è anche una festa. Chi avrebbe mai detto che potesse esserci tanta gioia nella misandria?
Durante la lettura del libro, si ha come l’impressione (debole) che l’odio per gli uomini venga come mitigato dalle sparute e brevi argomentazioni e dalle rarissime riflessioni interessanti che troviamo. Questa sensazione viene spazzata via alla lettura di queste righe, in cui la Harmange esplicita tutto il suo astio. Odiare è un sentimento complesso, che richiede un grande dispendio di energie. Anche se lo si fa per motivi giusti, è qualcosa che a lungo andare logora l’individuo. Per la Harmange invece è una “festa”, qualcosa da fare con “gioia”. Sembra di leggere un nazista o un fondamentalista religioso.
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Come uomo, ho imparato una cosa da questo libro: non c’è nessun motivo per non odiare le femministe. Perché se le odi ti odieranno, se ne sei indifferente ti odieranno, se cerchi di aiutarle ti odieranno ancora di più. O almeno, questo è quello che avrei capito se non avessi ricevuto un’educazione improntata all’amore e al rispetto.
Quello dell’Harmange è un gigantesco passo indietro per il femminismo, perché l’autrice non vuole parità, bensì eliminare il maschile dal mondo. L’unico risultato tangibile di quest’opera sarà creare una spaccatura all’interno del femminismo, alimentando le fronde estremiste, e soprattutto aumentare la misoginia, fornendo il pretesto per una violentissima reazione degli incel e della manosphere, che finalmente potranno rivendicare il loro odio come necessaria reazione alla misandria.
I femministi e le femministe dovrebbero fare fronte comune contro i fascismi, non perdersi in inutili guerre intestine. Argomentato e scritto male, rassomigliante più a uno sfogo che a un libro, riflesso di una persona con gravissime carenze emotive, con una bibliografia sparuta che verrebbe rifiutata persino in una tesina di triennale, Odio gli uomini è una bassa operazione commerciale e un’opera ridicola che è irricevibile per qualsiasi essere umano che ancora si fregi di questa qualifica. È incitamento all’odio? Sì.
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