Oggi, 26 aprile 2021, ricorre il trentacinquesimo anniversario della tragedia di Chernobyl, l’incidente nucleare più grave di sempre.
Non vi vogliamo però raccontare l’incidente, sul quale molti hanno scritto e che tutti noi abbiamo rivissuto con la miniserie HBO, bensì la nostra visita alla centrale e alla sala di controllo del reattore 4.
La centrale di Chernobyl oggi è in continuo smantellamento, ma sapevate, ad esempio, che una parte non è mai stata disattivata ed è tuttora quotidianamente operativa? Nel luglio del 2020 abbiamo visitato l’impianto e la vicina città fantasma di Pripyat. Ci è stato concesso di entrare anche nella sala di controllo del famigerato reattore 4 e camminare sopra al suo gemello con cui condivideva la sede, il reattore 3. Il documentario video della visita, curato da Forgotten Wonders e sottotitolato in varie lingue, è disponibile cliccando qui.
In ogni paragrafo di questo articolo troverete delle parole evidenziate sulle quali potrete cliccare per andare direttamente alla parte specifica del video che le riguarda.
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Prima di entrare nella centrale veniamo sottoposti a test individuali per rilevare la presenza di qualsiasi tipo di radioattività o materiale tossico presente nel nostro corpo o sui nostri vestiti. Questi test verranno ripetuti alla fine della visita, per individuare qualsiasi possibile anomalia o contaminazione subita all’interno. La centrale fornisce camici protettivi, stivali, caschetti di sicurezza e un dosimetro da indossare per tutta la durata della visita. Sarà analizzato alla fine, e ognuno dei partecipanti al tour conoscerà la quantità precisa di radiazioni che ha assorbito.
Chernobyl oggi è una centrale ancora in attività, seppure non produca più energia dal dicembre 2001, quando fu disattivato l’ultimo dei reattori ancora operativi, gemello del reattore 4 distrutto. La rete elettrica è però ancora funzionante e in buone condizioni, e viene usata per ridistribuire energia prodotta da altre centrali in tutta l’Ucraina. Un autobus dedicato trasporta quotidianamente i lavoratori alla centrale, i quali svolgono turni di una settimana per poi avere altrettanti giorni di riposo a casa, fuori dalla zona di esclusione. Osservarli lavorare con apparecchiature degli anni Settanta affiancate a computer moderni è sicuramente una vista surreale.
Ci sono poche informazioni e testimonianze su questo sistema, che all’epoca fu presentato come un supercomputer all’avanguardia in grado di monitorare la miriade di parametri di funzionamento dei reattori. Oggi sappiamo che la sua memoria totale era di 800 Kb e che non forniva dati in tempo reale, ma in ritardo di cinque minuti circa, cioè il tempo necessario all’elaborazione degli stessi. Gli ingegneri vennero appositamente formati per imparare a leggere i dati stampati su queste sottili strisce di carta.
Il reattore 3 si trova nello stesso edificio del reattore distrutto, il numero 4. Oggi sono separati da un muro, ma all’epoca condividevano per lo più lo stesso ambiente. La sala di controllo 3 si trova a trecento metri di distanza circa dalla sala 4, rimasta chiusa ai visitatori fino al tardo 2019, e ne è una copia esatta. Si presenta oggi in perfette condizioni, lambita solamente da una luce fioca e grigia, che ritroveremo in tutte le parti abbandonate della centrale di Chernobyl. Tutte le apparecchiature però si trovano ancora esattamente al loro posto e sono state perfettamente preservate, incluso l’ormai famoso pulsante di emergenza AZ-5.
Questa sala è rimasta attiva fino al 2001, quanto il reattore venne spento per sempre proprio mediante il pulsante AZ-5. Questa fu una condizione imposta dalla comunità internazionale in cambio di aiuti economici e tecnologici per lo smantellamento degli impianti e la messa in sicurezza della zona. Cliccando qui potrete vedere il toccante momento dello spegnimento, in un video dell’epoca trasmesso in diretta sulla televisione pubblica ucraina.
Pochi luoghi a Chernobyl oggi affascinano il pubblico quanto la sala di controllo del reattore 4, all’interno della quale furono prese ed eseguite tutte le decisioni che portarono al disastro. Una volta usciti dalla sala 3, veniamo calorosamente invitati ad accelerare il passo, dato che ci stiamo avvicinando alle parti più radioattive dell’edificio, coperte oggi dal sarcofago e dal nuovo arco d’acciaio installato nel 2016.
Il corridoio che conduce alla sala risulta sempre più deteriorato e buio man mano che ci si avvicina alla “zona calda” e termina in quella che sembra un’anonima porta blindata, ma è in realtà il confine ufficiale del blocco numero 4. Chi ha avuto modo di vedere tour filmati all’interno della centrale fino al 2019 noterà che proprio in questo punto le guide si fermavano e conducevano i gruppi attraverso la porta sulla destra, saltando così completamente la sala 4. Per nostra fortuna, nel 2020 siamo stati autorizzati a visitare quello che è a tutti gli effetti un enorme pezzo di storia dell’intera umanità.
La guida annuncia l’arrivo alla sala con un lapidario: «Ecco la sala di controllo dell’unità numero 4». Per lei questa è parte della routine, una mansione che svolge quasi quotidianamente di fronte a centinaia di visitatori ogni mese. L’espressione sui volti di noi ospiti denota invece puro stupore, accompagnato da incredulità e agitazione per essere dentro al simbolo della tragedia, nel quale ben pochi civili al mondo hanno avuto la possibilità di entrare.
Il paragone con la sala 3, vista solo pochi minuti prima in perfette condizioni, è immediato. Entrare nella sala 4 è come vivere di persona una di quelle famose immagini comparative “Chernobyl ieri-Chernobyl oggi”. Quel che è rimasto delle apparecchiature è corroso, arrugginito, consumato dallo scorrere del tempo e dalle radiazioni che per anni hanno bombardato questa stanza; i resti del reattore 4 si trovano a poche decine di metri da qui.
La sala è buia e senza finestre e all’epoca dei fatti non era nemmeno presente uno schermo dal quale gli operatori potessero osservare il reattore, schermo che era invece presente nelle ben più vecchie sale di controllo 1 e 2. Possiamo solo immaginare l’apprensione, l’ansia e l’agitazione che quei giovanissimi ingegneri devono aver provato la notte dell’incidente, reclusi in questa sala e inconsapevoli della gravità della situazione, dopo aver premuto il pulsante AZ-5 che, per quanto ne sapevano, avrebbe dovuto fermare qualsiasi problema si stesse verificando nel reattore.
Data la vicinanza alle macerie del reattore, i livelli di radioattività in questa stanza sono ancora ben al di sopra della media. Abbiamo pochissimi minuti per elaborare tutte le emozioni generate da questo luogo storico, prima di essere costretti ad abbandonarlo e proseguire nel nostro cammino.
Superato un ulteriore controllo per la radioattività, ci avviciniamo ancora di più al cuore della tragedia. Il reattore 4 è immediatamente al di là del muro che stiamo costeggiando, costruito dopo l’incidente nel tentativo di schermare il reattore 3 dalle radiazioni e poterlo mantenere in attività. Ad oggi questo luogo ospita il monumento alla memoria di Valery Khodemchuk, operatore delle pompe di circolazione dell’acqua del reattore 4. Il locale in cui lavorava Khodemchuk si trovava direttamente al di sotto del reattore: l’esplosione non gli ha lasciato scampo, e il suo corpo è l’unico tra quelli delle vittime immediate dell’incidente a non essere mai stato ritrovato.
Il monumento a Khodemchuc, sul muro che ci separa dal reattore 4. Foto: Forgotten Wonders.
Questo è l’unico luogo in cui la sua famiglia abbia mai potuto commemorare il proprio caro: ancora oggi si recano in visita al monumento almeno una volta all’anno, in occasione dell’anniversario dell’incidente di Chernobyl. Qui potete ascoltare le toccanti parole con cui Yulia, la nostra guida, descrive i primi istanti successivi all’incidente, quando pochi si erano resi conto che non c’era più nessun reattore 4 da poter salvare ed era invece il momento di soccorrere le persone.
Superato un buio corridoio e un vecchio ascensore sovietico utilizzabile da sole tre persone per volta, ci ritroviamo in uno dei piani più alti della centrale, in un ambiente stretto e molto basso percorso da tubazioni, inconsapevoli della nostra destinazione. Con nostro immenso stupore, dopo pochi passi ci ritroviamo d’improvviso a camminare direttamente sul coperchio del reattore numero 3.
Questo è lo stesso coperchio, o scudo biologico per utilizzare il termine tecnico, che nel reattore 4 si staccò, sfondò il soffitto e ricadde di traverso, lasciando scoperto il nocciolo del reattore. Per quanto sia possibile studiare l’incidente di Chernobyl e leggere tutti i dati a disposizione, niente può aiutare a rendersi conto della potenza dell’esplosione e della grandezza della tragedia quanto trovarsi di persona all’interno di questo edificio gigantesco, vederne l’altezza, e sapere che il peso dello scudo biologico è di circa duemila tonnellate.
Il livello di radioattività nella parte della sala in cui ci troviamo è di circa tre microsievert all’ora, mentre la parte opposta risulta più contaminata in quanto venne utilizzata come punto d’appoggio per le barre di combustibile durante lo svuotamento del reattore, pertanto non ci è stato permesso di avventurarci oltre.
Una volta usciti dal reattore 3 veniamo riaccompagnati agli spogliatoi dove abbandoniamo gli indumenti protettivi fornitici dalla centrale. I nostri dosimetri vengono ritirati, e pochi giorni dopo la visita riceveremo un certificato che attesterà la quantità di radiazioni assorbita dai nostri corpi: saranno in media tre microsievert ciascuno. Per dare un’idea di quanto sicura sia questa dose, basti pensare che la prima soglia critica oltre la quale il corpo umano inizia a risentire degli effetti delle radiazioni assorbite è di cento microsievert.
La parte finale della visita inizia al centro informazioni, dove ci viene illustrato un plastico che riproduce l’intero blocco numero 4 della centrale e dal quale possiamo godere di un’ottima vista del New Safe Confinement, il gigantesco arco d’acciaio alto più di cento metri (abbastanza da ospitare la Statua della Libertà) e lungo centosessantacinque, che copre l’intero blocco 4 e il sarcofago originale costruito nel 1986.
La struttura è stata posizionata nel 2016 ed è completamente operativa dal 2019. Ospita al suo interno sofisticati sistemi di areazione atti a non far fuoriuscire particelle radioattive e al contempo a garantire che la struttura non si corroda nel tempo. È dotata anche di gru e carri ponte telecomandati, tramite i quali la direzione lavori spera di poter smantellare il vecchio sarcofago e, quando esisterà la tecnologia necessaria per farlo, rimuovere il cosiddetto corium, cioè il magma creatosi successivamente all’esplosione e poi solidificatosi nelle fondamenta dell’edificio, composto da combustibile nucleare, grafite, metalli e cemento. La struttura più famosa composta da questo materiale è la zampa d’elefante.
Il nostro tour si conclude quindi con un passaggio al monumento dedicato ai lavoratori che costruirono il sarcofago originale, quando ancora il reattore emetteva all’aria aperta quantità inenarrabili di radiazioni, e con un tipico pranzo ucraino alla mensa della centrale. Sì, è possibile pranzare alla centrale di Chernobyl.
Chernobyl oggi è un monumento alle conseguenze dell’anteporre scelte di natura politica alle vite umane, ma anche una zona che ospita ancora la vita e che testimonia la forza del popolo ucraino, che ha saputo rialzarsi dignitosamente e gestire questa tragedia in un modo che nessuno nel blocco occidentale si sarebbe mai aspettato, specialmente dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il conseguente drastico calo di risorse a disposizione del Paese.
Grazie a Chernobyl abbiamo aumentato esponenzialmente le nostre conoscenze sul nucleare, migliorandone la sicurezza in ogni centrale. È stato lampante nel 2011, quando il management di Fukushima chiese aiuto su come affrontare le conseguenze dell’incidente in Giappone. Inoltre, la mancanza di presenza umana ha dato vita a un’enorme riserva naturale attorno a Chernobyl, permettendo così enormi avanzamenti nella ricerca scientifica sulla fauna e sugli effetti della radioattività su animali e vegetali.
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Il prezzo pagato è stato altissimo, e ancora oggi è difficile quantificare quante centinaia di migliaia di vite siano state stroncate o rovinate per sempre da questa immensa catastrofe, per non parlare delle migliaia di chilometri di terreno reso inabitabile per centinaia di anni a venire. A imperitura memoria della disinformazione e delle politiche che causarono questo incidente, resta ad oggi invariato il conteggio ufficiale delle vittime redatto dall’Unione Sovietica: 31.
Grazie a Chernobyl Lab per aver organizzato la nostra visita alla centrale e alla città fantasma di Pripyat, che potete vedere cliccando qui.
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