Roma, 22 ottobre 2020. Lettori e lettrici di Perché guariremo, il libro scritto dal ministro della Salute Roberto Speranza, aspettano di entrare nella libreria laFeltrinelli in Galleria Alberto Sordi. L’evento di oggi è la presentazione del libro: il ministro stesso ha percorso i due chilometri che separano la libreria dal Lungotevere Ripa (sede del ministero) a presenziare. Mascherine alzate, distanziamento sociale, ma non c’è più il timore dello scorso marzo. Sicuramente, nemmeno il ministro è più così nervoso nel trovarsi al cospetto di più di due persone aggregate, come scrive nelle pagine di Perché guariremo. E come dargli torto? D’altronde, lo sostiene lui stesso: sono gli ultimi mesi della terribile lotta contro il virus.
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Roma, 22 ottobre 2020. Non siamo in un universo parallelo: il bollettino di oggi riferisce di 16.079 contagi (su 170.392 tamponi; il tasso di positività è al 9,4%), le terapie intensive si stanno di nuovo riempiendo, la Lombardia è una delle prime regioni italiane a imporre il coprifuoco. Roberto Speranza non è a un evento in libreria ma nelle televisioni di migliaia di italiani, ospite di Accordi&Disaccordi, a discutere delle nuove misure restrittive che di lì a poco saranno adottate in tutta la nazione. Siamo nel pieno della seconda ondata del Covid-19 e, con le prime riaperture che solo dopo sei mesi iniziano a vedersi, il resto è storia.
Non stupisce quindi che Perché guariremo sia stato ritirato in fretta e furia dalle librerie fisiche e online e la sua pubblicazione abbia dovuto accettare un rinvio diventato poi una sospensione a tempo indeterminato. Le previsioni del “rigorissimo” Speranza si sono rivelate troppo ottimiste e forse è meglio che il libro rimanga nei magazzini dei librai.
Eppure, Perché guariremo dovrebbe essere letto, al di là della veridicità delle sue previsioni. Nella situazione pandemica attuale, le parole di chi gestisce la sanità dello Stato italiano vanno ascoltate e ben ponderate. Con toni melensi, stucchevoli, al limite dell’apologia, Perché guariremo unisce al racconto dei primi, drammatici, giorni del contagio una propaganda politica – volta a celebrare le gesta passate e le intenzioni future di Speranza e ad attaccare il neoliberismo – decisamente fuori luogo. Le difficoltà sanitarie che stiamo vivendo non dovrebbero lasciare spazio alla campagna elettorale: vista però la criticità del momento sarebbe diritto e dovere delle cittadine e dei cittadini italiani essere consapevoli degli obiettivi politici di quello che si è rivelato un dicastero cruciale per il nostro Paese.
Come afferma il portavoce ufficiale del ministro, Nicola Del Duce, «il libro è stato pensato per aprire un dibattito sul futuro del Servizio Sanitario Nazionale». Un libro è però un media di comunicazione a voce unica, in cui il dialogo tra chi scrive e chi riceve il messaggio non è certamente immediato. Non sarebbe forse meglio affrontare un dibattito su un argomento così importante nelle sedi opportune, discutendo con esperti della materia e non con lettori che, per quanto in buona fede, non si può presumere tutti adeguatamente formati?
In un momento di emergenza sanitaria, le parole dei politici, in particolar modo quelle del ministro della Salute, sono importanti e devono essere soppesate da chi le pronuncia, ma anche ben valutate da chi le ascolta. In Perché guariremo, Roberto Speranza utilizza parole, a nostro avviso, non consone per una personalità nella sua carica. A lui è molto caro il concetto di democrazia e di trasparenza, più volte ripreso, ma parla di «imporre» la sua idea del lockdown ai suoi colleghi ministri e definisce la crisi sanitaria come «un rischio di gran lunga meno accettabile» rispetto ai danni economici. Non è questa la sede per definire quale sia più o meno accettabile, ma queste parole hanno un peso. Anche la definizione tanto cara ai governi succedutisi in questi mesi, ovvero «categorie non essenziali», ci lascia perplessi. Non essenziali per chi? Per chi ci lavora, lavorare è essenziale.
Quello che traspare dalla lettura di Perché guariremo è un messaggio di quasi perfezione da parte del ministro, che si erge come colui che ha sconfitto il virus e riformerà una nuova sinistra. Nelle sue parole, l’errore è stato quello di non chiudere tutto prima del fatidico 6 marzo (sebbene in vigore dall’8 marzo, la decisione di istituire la prima zona rossa comprendente la Lombardia e altre provincie italiane risale al 6). Cosa che avrebbe evitato, come lui stesso scrive, le scene riprese da tutte le televisioni in cui molti cittadini sono letteralmente fuggiti dalla Lombardia al Sud Italia. «Se anziché il 6 marzo questo passo avanti [lockdown, N.d.R.] si fosse fatto dopo la mia prima lettera di fine gennaio, oggi saremmo in un’altra situazione».
Il ministro afferma che «non si fa politica su un’epidemia». Questo libro è però un manifesto politico del pensiero e della persona di Roberto Speranza, dall’uomo qualsiasi che ama andare allo stadio al politico quasi sempre pacato e apprezzato dai colleghi, italiani e non. Nelle pagine di Perché guariremo, Speranza non perde l’occasione di incensare le sue decisioni da ministro prese nei primi cento giorni di governo né di esporre la sua visione del nostro SSN, come se fossimo in una qualsiasi campagna elettorale.
Il ministro scrive di aver tenuto un intervento alla Camera e al Senato, il 10 e l’11 giugno 2020, affinché «nessuno di noi possa dire “non lo sapevo”. Non possiamo più permetterci di essere colti disarmati di fronte alla violenza di una nuova eventuale pandemia». Era così sicuro di aver sconfitto quella in atto? Pensiamo al Buono Mobilità 2020: non sarebbe stato meglio investire sulla sanità, sulla scuola o sui trasporti pubblici, da tanti additati come responsabili della seconda ondata?
Dopo la riapertura del 3 giugno 2020, firmata dal Governo e quindi da Speranza stesso, «gli spostamento sono ricominciati, l’attenzione della popolazione purtroppo è calata e i contagi hanno ricominciato a crescere». Una colpa che è sempre dei cittadini, mai di chi prende le decisioni.
Nel 1998, l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito la salute come «uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale, sociale e spirituale, non mera assenza di malattia». In Perché guariremo, non vengono mai menzionati i disturbi psicologici come ansia e depressione, dovuti all’incertezza e all’isolamento; disturbi che, secondo vari studi, nell’ultimo anno sono aumentati costantemente.
Insomma, un popolo, quello degli italiani, reo di aver fatto ricominciare la crescita dei contagi ma lasciato a sé stesso nel dolore invisibile, quello della mente, a differenza di quanto accade in altri Paesi egualmente colpiti dal Covid-19.
Il libro racconta passo passo alcune vicende, anche private, della vita del ministro, ma non si sofferma mai sugli errori del governo, ad esempio la mancata zona rossa di Alzano Lombardo e Nembro. La vicenda è letteralmente liquidata in poche righe con uno scaricabarile, asserendo che all’epoca dei fatti fosse necessaria «una valutazione più approfondita rispetto a due righe di verbale».
Il ministro loda poi AstraZeneca e il fatto che l’Italia sia stata tra i primi Paesi a credere e finanziare il progetto, partecipando con l’azienda IRBM di Pomezia e la linea di confezionamento di Anagni. Un orgoglio tutto italiano spazzato sotto il tappeto in fretta e furia man mano che i ritardi nelle consegne da parte della casa farmaceutica e i timori legati ai casi di trombosi aumentavano. Non viene fatta menzione alcuna della possibilità di investire venti milioni di euro nell’Università di Oxford per diventare comproprietari del vaccino, come ha affermato il presidente dell’IRBM Piero di Lorenzo. Con la campagna vaccinale che fatica a raggiungere i numeri previsti dal generale Figliuolo, forse tale scelta si sarebbe rivelata a dir poco oculata.
Nelle ultime pagine del libro, Speranza afferma di voler ritornare al bipolarismo politico, con una sinistra finalmente non più influenzata dal neoliberismo: è il famoso passaggio in cui paventa la «nuova possibilità di ricostruire un’egemonia culturale su basi nuove». Per scomodare Karl Marx e Antonio Gramsci, è chiaro che il ministro si augura che cambi la sovrastruttura (l’ideologia, la sinistra), e parallelamente la struttura, con la riforma del SSN. Cambierà quindi il SSN; le persone lo capiranno e si arriverà al «dissodare un terreno fertile per la sinistra». Cambierà la struttura, poi la sovrastruttura. Per ricostruire una nuova egemonia culturale, teorizzata da Gramsci e «raggiunta con l’organizzazione del consenso tramite strutture ideologiche e istituzioni». Secondo la visione del filosofo, «il potere non si esprime con la forza ma attraverso la persuasione razionale e l’influenza sentimentale, modificando il pensiero e il modo di vivere dei subordinati».
Siamo sicuri che l’egemonia culturale sia compatibile con il bipolarismo politico e la democrazia moderna? Ma soprattutto, anche se lo fosse (non stiamo discutendo dell’interpretazione filosofica dei Quaderni del carcere), siamo sicuri che il lettore medio di Roberto Speranza sia in grado di comprendere la sfumatura dietro a al concetto di egemonia culturale, senza considerare questa espressione come un altro attacco alla democrazia da parte della sinistra cattivona?
E all’avvicinarsi del voto di sfiducia del 28 aprile, presentato in Senato da FdI, ci sentiamo di riprendere le parole usate dal ministro stesso nel suo libro: «Il Paese merita molto di più».
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