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Il diciannovesimo scudetto dell’Inter è figlio di orgoglio e pregiudizio

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A cura della redazione

Domenica 2 maggio il rocambolesco pareggio per 1 a 1 tra Sassuolo e Atalanta ha sancito il matematico trionfo dell’Inter nel campionato di SerieA 2020-21. Troppi i 13 punti da recuperare in sole quattro giornate per la squadra bergamasca e le altre (ex) contendenti al titolo. I nerazzurri di Milano celebrano così il loro diciannovesimo scudetto. Un titolo desiderato per undici anni, che pone la parola fine a un digiuno da trofei durato un decennio (Inter-Palermo 3-1 del 29 maggio 2011, finale di Coppa Italia con doppietta di Eto’o, gol della speranza del centrale argentino Ezequiel Munoz e rete della sicurezza del subentrato principe Milito).

Tralasciando corsi e ricorsi storici di un passato non troppo vicino ma neanche troppo distante, la caratterizzazione della stagione interista è da ricercarsi, allegoricamente, nel titolo di un celebre romanzo della scrittrice britannica Jane Austen: Orgoglio e pregiudizio. O meglio, parafrasandolo e invertendo gli addendi, pregiudizio e orgoglio. La somma resta la stessa. O almeno, dovrebbe.

D’altronde, quando si parla dell’FC Internazionale Milano, nulla si dà per scontato, nel bene e nel male. Si tratta di quella pazzia mista a imprevedibilità da sempre presente nel DNA del biscione. Dunque tenteremo di ripercorrere insieme, partendo da questo presupposto, le tappe imprescindibili nel racconto dell’annata interista, quelle da etichettare assolutamente sotto la dicotomia di orgoglio e pregiudizio.

L’incontro di Villa Bellini

L’alba della stagione interista avviene il 25 agosto 2020, in una cittadina della provincia di Varese, Somma Lombardo, all’interno di quella che un’iscrizione su pietra risalente al 1908 (anno di fondazione dell’Inter!) definisce “la porta del paradiso”. Si tratta di Villa Bellini, una maestosa dimora nobiliare risalente al XVII secolo. Presenti in riunione ci saranno il presidente, Steven Zhang, l’amministratore delegato e plenipotenziario Giuseppe “Beppe” Marotta, Alessandro Antonello (uno dei dirigenti più importanti della beneamata) e lo storico direttore sportivo Piero Ausilio. Manca soltanto lui: Antonio Conte.

I tifosi interisti di tutta la penisola sono in trepidante attesa, la stampa ne parla da giorni. Il mister salentino resterà alla guida dei nerazzurri o la cocente sconfitta di quattro giorni prima in finale di Europa League contro il Siviglia ha fatto terminare l’idillio? Verrà esonerato, darà le dimissioni? Il confine tra paradiso e inferno è sin troppo labile.

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È qui che emerge nuovamente, come quando fu ingaggiato il 31 maggio 2019 per l’esorbitante cifra di dodici milioni annui, il pregiudizio di una consistente parte del tifo interista nei confronti di Conte. Con quel passato a tinte bianconere – e dopo aver fallito la rincorsa in campionato e la vittoria dell’Europa League – è arrivato il momento di dirsi addio. Ma l’unione di intenti e l’orgoglio prendono il sopravvento. Bisogna fare fronte comune e sottostare a un unico imperativo categorico: spodestare la Juventus dal trono. Contro ogni previsione, con un comunicato della società a sancire l’ufficialità, Antonio Conte resta l’allenatore dell’Inter.

La deludente uscita di scena dall’Europa

La seconda tappa essenziale della stagione interista, quella che taglia a metà la stagione e i pareri dei supporter nerazzurri, è la data dell’eliminazione dalla Champions League, il 9 dicembre 2020, a seguito dello 0-0 casalingo con gli ucraini dello Shakhtar di Doneck.

L’Inter, inserita in un gruppo tutto sommato abbordabile in compagnia degli ucraini, dei pluricampioni del Real Madrid e dei tedeschi del Borussia Monchengladbach, ne esce con le ossa rotte. A seguito di due sconfitte con i madrileni, una vittoria e un pareggio con i tedeschi e due pareggi a reti bianche con lo Shakhtar, viene eliminata dal girone con un umiliante ultimo posto a sei punti in classifica. Posto che non garantisce nemmeno la “retrocessione”, ovvero l’accesso ai sedicesimi di finale di Europa League. Non era mai accaduto, da quando nel 1992 la Coppa Campioni aveva assunto il nuovo format di Champions League, che l’Inter terminasse un girone come ultima. Un record negativo che fa esplodere un caso sportivo.

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Come se non bastasse, il pregiudizio verso Conte aumenta in maniera esponenziale dopo le sue dichiarazioni post-partita ai microfoni di Sky Sport, che scatenano una polemica incessante sulla sua persona e sui risultati deludenti ottenuti fino ad allora dalla sua squadra. Da lì scatterà nuovamente un principio di orgoglio. Voci interne all’ambiente nerazzurro parlano di un patto segreto nello spogliatoio siglato tra mister e giocatori il giorno dopo la disfatta con lo Shakhtar. L’unico obiettivo rimasto – non considerando la Coppa Italia – è lo scudetto: bisogna conquistarlo a qualsiasi costo. Dal 13 dicembre sino al primo scontro diretto con la Juventus del 17 gennaio, terminato con la vittoria interista per 2-0 e il gol dell’ex del cileno Arturo Vidal, l’Inter totalizzerà 19 punti su 24 disponibili, rilanciandosi in campionato e mordendo le caviglie ai cugini del Milan, campioni d’inverno in carica.

Eriksen, da sfortunato trequartista di Danimarca a metronomo nerazzurro

È proprio dalla rincorsa ai rossoneri che si espleta l’ultimo punto d’incontro tra orgoglio e pregiudizio nel percorso di redenzione nerazzurro verso la conquista del campionato.

Ulteriore elemento cruciale del pregiudizio nei confronti del tecnico leccese era legato alla gestione poco valorizzante del fantasista danese classe 1992 Christian Eriksen, arrivato alla Pinetina dal Tottenham nel gennaio 2020 per una cifra pari a 27 milioni di euro.

Eriksen, poco versatile nell’adattarsi al gioco fisico e di corsa di Conte, era stato spesso rilegato in panchina, nonostante il suo status di top player a livello mondiale.

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Il culmine di questo “maltrattamento” nei confronti del numero 24 avviene nella fredda notte di San Siro del 5 dicembre, nella gara contro il Bologna che anticipa la gara decisiva con lo Shakhtar. Sul 3-1 interista, al 95′, Eriksen fa il suo ingresso in campo. Le telecamere in mondovisione sono impietose. Il danese è visibilmente intristito nel dover giocare, per l’ennesima volta, uno spezzone finale di partita nei minuti di recupero a risultato già acquisito.

La gara del riscatto dell’orgoglio sarà appunto quel derby di Coppa Italia con il Milan del 26 gennaio, deciso da una sua spettacolare punizione. Ironia della sorte, segnata proprio nei minuti di recupero (al novantasettesimo, per la precisione).

A partire da quel match, anche grazie all’infortunio di Vidal, da sempre uno dei favoriti di Conte, Eriksen acquisterà maggiore spazio nell’11 titolare, arrivando a guadagnarsi un posto nel centrocampo nerazzurro come playmaker basso e assumendo un ruolo fondamentale nella rimonta al titolo ai danni del Milan. Il lieto fine del danese (e del 2021 interista) sarà rappresentato dal gol scudetto a Crotone.

«Se si rivelerà il gol decisivo, sarà il più importante della stagione. Il gol che ti porta lì, al traguardo, è più speciale».

Eriksen dopo Crotone-Inter 0-2 del 1 maggio.

Francesco Forgione

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