Sono trascorsi ormai tre anni dalla morte di Davide Astori. Una ferita ancora apertissima che riconduce a un grande dolore non solo la famiglia del ragazzo ma anche i tifosi e gli appassionati che nel calcio riescono a vedere una ragion d’essere, oltre che un semplice sport. Le immagini della toccante sofferenza di quei giorni riecheggiano ancora nel cuore di chi, da lontano o in vicinanza, le ha vissute. Difficile pensare che possa esserci una giustizia dopo il tragico destino che si è verificato. A livello legislativo, la condanna recente (un anno di reclusione con pena sospesa) del medico sportivo Giorgio Galanti testimonia quantomeno la volontà di andare fino in fondo alla questione.
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Tanto tempo è passato ma il ricordo è vivo, come dicevamo. E lo è anche per chi ha avuto un ruolo fondamentale e diretto nello stabilire cosa fosse accaduto allo sfortunato ex giocatore della Nazionale. Parliamo del professore emerito di Anatomia Patologica all’Università di Padova Gaetano Thiene, accademico pluripremiato e riconosciuto come un punto di riferimento nella comunità medica e scientifica. Proprio il professor Thiene – che vanta decine e decine di premi e riconoscimenti, oltre che (al momento) ottocento pubblicazioni su riviste internazionali – fu incaricato dal PM Barbara Loffredo, insieme al collega ed esperto Carlo Moreschi, di effettuare una perizia sul corpo del giovane atleta volato via troppo presto.
Nella intervista che ha scelto gentilmente di rilasciare alla nostra testata, il professor Thiene spiega che cosa è successo a Davide Astori e se qualcosa poteva essere fatta per evitare un destino così avverso.
«La sua morte? Una sconfitta». Parla il medico che ha eseguito l’autopsia su Astori
PROFESSORE, INIZIAMO DAL PRINCIPIO: DI COSA È MORTO, DI PRECISO, DAVIDE ASTORI?
«Davide Astori è deceduto per cardiomiopatia aritmogena, la più frequente malattia di cuore causa di morte improvvisa negli atleti. Il meccanismo di morte è stato elettrico, ovvero una prolungata tachicardia ventricolare con insufficenza ventricolare sinistra ed edema polmonare, esitata in fibrillazione ventricolare e arresto cardiaco».
LA PERIZIA CONSEGNATA DA LEI E DAL PROFESSOR MORESCHI SU INCaRICO DEL PM LOFFREDO AVEVA IN EFFETTI RIBALTATO UNA PRIMA DIAGNOSI DI BRADIARITMIA. COME MAI, SECONDO LA SUA ESPERIENZA, IL PROBLEMA NON ERA STATO NOTATO PRIMA?
«Si è trattato di una preliminare diagnosi macroscopica, che poi è stata sovvertita dagli approfondimenti anatomo-patologici, soprattutto istopatologici».
ASTORI ERA UN ATLETA, ANCHE GIOVANE. GIOCAVA A CALCIO DA ANNI. PERCHÉ, SECONDO IL SUO PARERE, QUESTA PATOLOGIA NON SI ERA PRESENTATA PRECEDENTEMENTE? E COSA PUO’ AVERLA FATTA SCATTARE?
«Si sta facendo sempre più strada l’ipotesi che lo sport, in soggetti predisposti, favorisca la progressione della malattia».
IMMAGINIAMO CHE LEI SI SIA SENTITO, IN QUALCHE MANIERA, COINVOLTO UMANAMENTE DALLA VICENDA. COS’HA PROVATO IN QUEI GIORNI DRAMMATICI E IN SEGUITO?
«Sono stato molto turbato, soprattutto per il modo in cui è avvenuta la morte, con il soggetto solo nella sua stanza e non in grado di chiamare per essere soccorso. Inoltre ho avvertito un senso di sconfitta, perché eravamo convinti di essere in grado di prevenire la morte improvvisa negli atleti. Un sentimento di fallimento nella lotta contro la morte prematura nel giovane».
SENZA CHIEDERLE DI COMMENTARE IL VERDETTO DEL PROCESSO, LEI RITIENE CHE CI FOSSE MODO DI SALVARE LA VITA DI DAVIDE ASTORI?
«Se la malattia, che aveva dato segnali di instabilità elettrica nel cuore, fosse stata diagnosticata, Davide Astori sarebbe stato riconosciuto non solo come atleta a cui non concedere l’idoneità allo sport agonistico ma anche e soprattutto come paziente, a cui consigliare una vita senza sforzi, prescrivere farmaci antiaritmici ed eventualmente l’impianto di defibrillatore».
ABBIAMO VISTO CHE I PROBLEMI CARDIACI NEL MONDO DEL CALCIO, soprattutto NEGLI ULTIMI ANNI, SONO PARTICOLARMENTE AUMENTATI. OLTRE ALLA SITUAZIONE DI ASTORI RICORDIAMO ANCHE – COME EPISODI PIù RECENTI – QUELLI DI FOE, FEHER, MOROSONI, NOURI E CASSANO, CON ESITI PIù O MENO DRAMMATICI. SECONDO LEI COME MAI C’è UN’INCIDENZA MAGGIORE DI QUESTI PROBLEMI E QUALI POSSONO ESSERE LE CAUSE GENERALI (AL DI Là DEGLI APPARATI SOGGETTIVI) CHE HANNO PORTATO A QUESTO AUMENTO DI PROBLEMATICHE?
«È affiorata una variante della cardiomiopatia aritmogena, più occulta e difficile da diagnosticare con il semplice elettrocardiogramma, la cosiddetta cardiomiopatia aritmogena sinistra. Richiede approfondimenti diagnostici non invasivi, quali la risonanza magnetica cardiaca, approfondimenti previsti delle linee guida COCIS in caso di extrasistoli all’ECG di base o sotto sforzo».
AL DI Là DELLA STRUMENTAZIONE ADATTA DA PORTARE NEGLI STADI E DA FORNIRE IN DOTAZIONE AGLI STAFF MEDICI, RITIENE CI SIA QUALCHE MANIERA DI PREVENIRE UN PROBLEMA CARDIACO IN UNO SPORTIVO PROFESSIONISTA?
«La diagnosi di questa malattia, anche in fase paucisintomatica, rimane l’obiettivo principale. Il problema è che si cerca e si scopre quello che si sa esistere. La cultura delle patologie a rischio di morte improvvisa nel giovane e nell’atletla non è ancora completamente diffusa. Il defibrillatore esterno, per la rianimazione dell’arresto cardiaco, non dovrebbe essere solo nei campi sportivi, nelle palestre o nei luoghi pubblici ma anche nelle stesse abitazioni di soggetti a rischio, con un familiare addestrato all’uso».
SONO TRASCORSI ORMAI TRE ANNI DA QUESTA TRISTE VICENDA. QUANDO PENSA A DAVIDE ASTORI, A COSA PENSA?
«A una sconfitta, anche se episodica, della medicina sportiva cardiovascolare. È disponibile lo screening medico per l’identificazione dei soggetti a rischio. L’imperativo categorico rimane la diagnosi, per mettere in atto provvedimenti preventivi e terapeutici».