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Economia

Biden-Putin: il bilaterale per porre fine alle tensioni

Published by
Riccardo Seghizzi

Joe Biden, insidiatosi a gennaio nella Casa Bianca, in appena cinque mesi ha riacceso la politica internazionale tra gli Stati Uniti e la Russia. Putin, dal Cremlino, non ha ammorbidito la situazione, e ora si attende l’incontro previsto a giugno tra i due leader. Il bilaterale che si prospetta tra Biden e Putin sarà l’evento dell’anno. Evento che dovrà rispondere al clima di tensione e ostilità cresciuto in questi primi cinque mesi del 2021 tra USA e Russia. Biden-Putin, il bilaterale per porre fine alle tensioni.

Dal 20 gennaio scorso, data ufficiale in cui Biden è diventato a tutti gli effetti il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, le dinamiche internazionali tra le due potenze più importanti al mondo hanno preso una strada ben precisa, ovvero quella della tensione, ostilità e clima da crisi politiche e diplomatiche.

Il leader democratico a stelle e strisce ha immediatamente iniziato un percorso di riallacciamento all’Europa e all’Atlantico, nel segno dei valori occidentali. Biden si è indirizzato verso un discostamento dalle scelte e decisioni internazionali del suo predecessore Donald Trump. In questa categoria di decisioni vi è anche la volontà di affrontare la delicata questione Russia e Putin di petto.

A differenza del tycoon repubblicano, Joe Biden non ha tessuto le lodi di Vladimir Putin, atteggiamento mai avuto dagli USA verso la Russia prima di Trump, bensì lo ha criticato senza nemmeno troppi problemi.
In data 17 marzo, infatti, il leader democratico USA, alla domanda se pensasse che il leader del Cremlino «fosse un assassino», Biden ha risposto con un lapidario: «Lo credo».

Leggi anche: Perché Vladimir Putin non è un killer ma è un assassino.

Queste parole hanno lasciato strascichi, discussioni e critiche a livello internazionale. Dal Cremlino e dalla Duma si sono levati i fedelissimi di Putin contro Biden. Finché la risposta del leader russo è arrivata con un infantile, quanto inatteso: «Chi lo dice, lo è», ma anche con un «pronto a parlare» .

La situazione geopolitica e di relazioni internazionali tra USA e Russia, non era così tesa e incerta da molti anni. A ragione di ciò tanti hanno apostrofato la situazione come una plausibile guerra fredda 2.0.
Forse una definizione esagerata, o forse un risultato di tutto ciò che è accaduto da gennaio a ora tra le due potenze.

Qualche segnale di apertura e distensione c’è stato, ma di quantità irrisoria rispetto ai segni, sintomi e azioni di valore opposto.
L’attenzione ora è all’incontro di giugno tra Biden e Putin, che potrà darci un’idea del tenore delle relazioni tra le due potenze nel prossimo futuro.

Foto: flickr.com

L’escalation degli eventi: un rapporto mai disteso

L’escalation peggiorativa tra le relazioni Usa-Russia trova inizio ben più indietro nel tempo dall’avvento di Biden. Una serie di crisi ed eventi hanno logorato il rapporto, mai nella storia realmente positivo, fino a questo impasse.

Nel 2008, in agosto, la Russia invade la Georgia, e successivamente nel 2014 c’è l’annessione della Crimea. Si prosegue poi con l’ancora vivo e vegeto conflitto in Ucraina. Infine si chiude con la presunta interferenza della Russia nella politica americana e soprattutto nelle elezioni del 2016.

Leggi anche: Tensione in Ucraina, NATO e Russia ai ferri corti.

Questi sono solo alcuni casi, tra i più eclatanti, ma a questo elenco di eventi ci si può aggiungere senza troppi problemi molto altro. Le sanzioni punitive del 2014 degli Stati Uniti verso la Russia (sanzioni che dovevano essere potenziate e aumentate di anno in annoi), il caso Skipral del 2018, l’avvelenamento dell’oppositore di Putin, Navalny.

Infine le dichiarazioni di Washington a fine 2020. Ovvero che un gruppo di hacker, sostenuto dall’agenzia di intelligence russa Svr, avrebbe effettuato un grave attacco informatico al governo federale degli Stati Uniti.

Anche Putin e il Cremlino però, dalla loro parte, possono recriminare eventi tutt’altro che distensivi. Nel 2012 Putin ha sostenuto la tesi che l’Occidente si stesse preparando a rovesciare il suo governo e a porre fine alla sua leadership.
Stessa idea anche con le le “rivoluzioni colorate” nel vicinato russo.
Poi ancora gli eventi Euro-Maidan del 2013-2014, visti da Putin come un colpo di Stato e un tentativo incostituzionale per far cadere il governo filo-russo di Kiev.

Il prima e il dopo

Anni tutt’altro che distesi tra le due forze, ma che hanno trovato un lieve sospiro durante l’amministrazione Trump. Tale pausa dai toni accesi e dibattiti non c’è stata per merito di azioni eclatanti o mosse politiche, bensì per una forte stima e continue lodi di Donald a Vladimir.

Foto: Wikimedia Commons.

Tutto spazzato via e dimenticato quando a varcare la soglia della casa bianca è stato il vecchio Joe. Biden non ha avuto problemi a castigare fin da subito la Russia sulle varie tematiche sopraelencate. Allo stesso modo, Putin è uno che i muscoli li ha sempre mostrati e non si tirerà di certo indietro proprio ora.

In gioco e in ballo ci sono gli interessi geopolitici e internazionali di due, tra le cinque, potenze mondiali, che difficilmente metteranno in discussione. Allo stesso modo vi sono le linee rosse, a tutti conosciute ma violate in continuazione, che Russia e USA non vogliono ridisegnare.

La riesumazione di metodi che riportano alla mente la Guerra Fredda, insulti, polemiche, tensioni e critiche necessitano, il probabile incontro Biden-Putin. Il bilaterale serve come l’acqua nel deserto, per evitare l’evitabile, per scacciare per lo meno le nubi più cupe da un futuro e un orizzonte tutt’altro che soleggiati.

L’incontro

I due non si piaceranno, ma si incontreranno e dovranno parlare per dare una vera distensione a una corda troppo tesa. Il bilaterale si preannuncia l’evento dell’anno, almeno diplomaticamente parlando. Sarà l’occasione vera e concreta di capire quali possono essere i margini di collaborazione e compromesso tra le due forze. E in ultima battuta, l’incontro porrà la parola fine a questo periodo di transizione, incandescente e miccia di qualcosa che nessuno vuole scoppi.

Nell’ultimo periodo si può dire che l’iniziale crisi e pessimismo generalizzato sia rientrato, o quantomeno sopito. A sostegno di ciò, le due parti diplomatiche hanno accelerato il dialogo e i conseguenti preparativi dell’incontro.

Ovviamente non sono mancati i commenti, come quello del vice Ministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov: «Non abbiamo più illusioni sulle relazioni con gli Stati Uniti e naturalmente non si può parlare ora di un reset 2.0». Sempre il Ministro ha poi aggiunto che il bilaterale sarà in una capitale diplomatica europea.

L’amministrazione Biden aveva comunicato che l’incontro avrebbe potuto avere luogo in estate, in concomitanza con alcunieventi europei ai quali Biden prenderà parte. Anche il Cremlino, il 26 aprile, ha confermato che stanno venendo vagliate alcune date nel mese di giugno.

I giorni papabili sono il 15 (fortemente probabile, come riportato dal quotidiano russo Kommersant) e 16 giugno. Il leader a stelle e strisce infatti,  dall’11 al 13 sarà a Carbis Bay per il G7 e il 14 a Bruxelles per un vertice NATO. Conseguentemente sarebbe comodo e logico pensare ad un incontro con Putin i giorni immediatamente successivi.

Per quanto riguarda la sede invece, regnano ancora dubbio e incertezza. Non molto tempo fa, Biden aveva proposto di effettuare l’incontro in un Paese neutrale.

Seguendo questa linea, sono sette i Paesi che si sono resi disponibili per l’evento. Due sono l’Austria, ospitante per i negoziati per il prolungamento del New Start, e la Svizzera, neutrale per definizione e sede dello storico incontro tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbačëv del 1985.

Ci sono poi Finlandia, con Helsinki che ha ospitato tre storici incontri nel 1975, nel 1997 e nel 2018, e Repubblica Ceca, luogo in cui è avvenuta la firma del New Start e dove siede un presidente favorevole ad un riavvicinamento tra i blocchi, Milos Zeman.

L’incontro potrebbe avvenire a Reykjavik, sede di Reagan-Gorbačëv del 1986, o a Lubiana, dove ci fu l’incontro Bush-Putin del 2001 e che fu tra i candidati a ospitare Trump-Putin del 2018. 
Infine c’è Baku, potenza eurasiatica in ascesa, legata sia a Mosca sia a Washington, alla ricerca di maggiore accreditamento in sede internazionale.

Nonostante siano sette le città in lizza per ospitare tale evento, ognuna di esse presenta criticità riguardo al concetto di neutralità. Per questo ancora non si ha una localizzazione certa. Negli ultimi giorni però, sembra aver scalato le gerarchie preferenziali la Svizzera, probabilmente con Ginevra.

Altro spunto molto interessante è capire di cosa materialmente si parlerà e discuterà nel bilaterale. Appurato che, si spera, sia volto alla comprensione e distensione, è interessante capire quali possono essere i temi centrali.

Donbass, Mar Nero, Mediterraneo allargato, Artico, Bielorussia e allargamento a est dell’Alleanza Atlantica sono sicuramente tematiche calde e di attualità. Ci possono essere anche dibattiti per quanto riguarda la corsa agli armamenti, il cambiamento climatico e ovviamente la pandemia.

Una distensione obbligata e sperata

Chiaro è che, qualsiasi saranno le tematiche, l’obbiettivo comune e collettivo è la distensione e ridurre quell’ostilità minacciosa, non solo per i due Paesi, bensì su più larga scala.

Che sia stato davvero questo inizio 2021 un preludio alla guerra fredda 2.0 non lo si può dire con certezza. E con la stessa insicurezza si può affermare che il bilaterale di questo giugno possa essere l’evento di politica internazionale più importante dell’anno.

Qualsiasi sia il pensiero riguardo a ciò, gli unici veri mantra devono essere la distensione e il dialogo. Perché è pur vero che a discutere non saranno solo due persone che non si piacciono per nulla, ma i rispettivi presidenti di Stati Uniti e Russia.

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Riccardo Seghizzi

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