Oggi theWise Magazine ha incontrato l’educatore e pedagogista Giuseppe Rambaldo. Con lui abbiamo parlato del mondo della cura e dell’educazione, aspetto sottovalutato nel nostro Paese.
«Ho aperto questa pagina in seguito a una mia vicenda personale. Sono stato allontanato dal mio posto di lavoro per aver denunciato i trattamenti iniqui subiti dagli educatori. Lavoravo per un ente pubblico che non pagava il lavoro notturno agli educatori, le cosiddette notti passive. A mio giudizio, e successivamente a quello della magistratura, questo non era giusto. Al momento del rinnovo, il mio contratto, che era a tempo determinato da dieci anni, non è stato rinnovato.
A quel punto ho pensato che fosse corretto non farmi ridurre al silenzio. Ho pensato poi che le mie competenze, la mia professionalità e la mia passione potessero e dovessero rimanere in circolo. La pagina è nata per restituire alla comunità quello che essa stessa mi ha dato nel corso degli anni. Non avevo e non ho nessuna competenza social, ma credo che un mezzo di comunicazione così potente come Facebook possa essere utile al mio scopo divulgativo».
«In questo mondo governato dalla complessità, dalla crisi e dalla frammentazione, il sapere pedagogico lavora intorno al rafforzamento del senso di umanità e dell’appartenenza comune. Questo sapere concerne tutto ciò che riguarda il nostro vivere insieme, le regole e i valori che governano il nostro vivere associato. È uno sguardo attento e competente sul mondo dell’educazione, volto al miglioramento.
La consulenza pedagogica, da questo punto di vista, è un incontro in cui due o più persone si ritrovano. Queste sono accomunate dal dialogo, che è lo strumento per eccellenza della consulenza pedagogica. Non test, non diagnosi, ma discorsi, parole e approfondimenti. Due o più persone, nel riconoscimento di un’appartenenza comune, vedono di più e vedono meglio, anche se si hanno bisogni differenti in quello stesso momento.
La consulenza pedagogica è una delle pratiche di consulenza più antica: Socrate era un consulente pedagogico. Da sempre le persone si confrontano per risolvere i problemi della vita. Oggi, più che mai, la parola è indispensabile».
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«Quando ci confrontiamo con queste situazioni, inevitabilmente la preoccupazione aumenta. Molti timori sono fondati, a causa della crisi della socialità, dell’isolamento e della preoccupazione per la salute. Tutti ci siamo trovati a vivere in un modo ‘ristretto’, contro la nostra volontà. Noi esseri umani abbiamo bisogno di uscire e incontrare persone, abbiamo bisogno di scambi di sguardi e parole.
La famiglia ha quindi vissuto un sovraccarico e questo può aver accentuato crisi e debolezze. Accanto a queste preoccupazioni vere e oggettive, bisogna tener conto che nei processi di crescita e di cambiamento, anche quelli relazionali, la crisi è un dato costitutivo. Le difficoltà che oggi stiamo incontrando sono forti, ma quasi sicuramente ne avremmo incontrate di altro tipo, nel corso della vita. Inevitabilmente ci dobbiamo confrontare con la fatica della relazione e con la pesantezza degli impegni e dei legami. Relazioni e legami non sono solo gioia, piacere e scambio, ma anche difficoltà e sofferenze condivise.
Bisogna sempre distinguere le ansie e le preoccupazioni oggettive, legate a questa situazione, da quelle che invece nascono in un altro orizzonte. Distinguere, ma non sminuire. L’adolescente, con tutte le difficoltà connesse, sarebbe stato adolescente anche senza la pandemia, così come il legame sentimentale con il/la partner avrebbe potuto attraversare crisi per altri motivi».
«Il mondo dell’educazione è il futuro. In questo Paese siamo di fronte a un bivio. Bisogna scegliere se cura ed educazione siano aspetti centrali, che riguardano il cuore della società, oppure siano aspetti periferici, che cerchiamo di gestire al minor costo possibile. Purtroppo stiamo assistendo a una espansione di queste figure professionali e a una maggiore attenzione della popolazione per la fascia più debole, ma con un mancato riconoscimento economico e sociale di queste professioni.
I lavoratori hanno spesso contratti parziali, precari e sottopagati. Come dicevo, il lavoro notturno nelle comunità non è retribuito. La notte è un momento fondamentale, nel quale l’educatore deve essere nel pieno della sua professionalità. Di notte emergono infatti tutte le paure e tutti i fantasmi, diventando il momento più delicato della giornata. Questo è scandaloso, nella mia opinione. Inoltre, la maggior parte degli educatori scolastici non riceve una retribuzione dignitosa. Senza parlare del fatto che, spesso, se il loro alunno è assente, quell’ora di lavoro non viene conteggiata».
«Se una persona sente una vocazione, in senso laico, deve andare avanti. La voglia deve essere quella di rendere, dove possibile, il mondo un posto migliore, con equilibrio, consapevolezza e ragionevolezza. Bisogna prima di tutto curare le proprie motivazioni e i sentimenti sui propri desideri, avendo anche cura di voler visto riconosciuto il proprio lavoro e la propria professionalità.
Senza questo, è facile sperimentare una situazione di burn-out e di perdita di motivazione. C’è bisogno di persone motivate, ma anche di persone forti, che ci credano e che investano su sé stesse e sul proprio valore, per vederlo riconosciuto. Persone coscienti e consapevoli, che sappiano anche lottare per sé stesse, per il valore dell’educazione e per quello delle relazioni tra le persone. L’educatore è un custode, un guardiano di queste istanze».
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«Spero che questo lavoro che sto facendo, anche sui social, venga riconosciuto e che diventi espressione di un modo di interpretare la professione educativa e pedagogica. Nel mio piccolo è la sfida che sto cercando di portare avanti: una sorta di umanizzazione dei social, che mi auguro diventi un nuovo sentiero da poter percorrere».
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