Vuoti a perdere: si intitola così il libro di Claudia Mantellassi pubblicato a dicembre 2020 da AUGH! Edizioni, nella collana Frecce.
In questa prima monografia l’autrice ha raccolto quindici racconti brevi, scritti in momenti diversi, accomunati da un tema di fondo latente che lentamente emerge dalla pagina fino a venire a galla.
Infatti, in tutti i racconti i protagonisti hanno a che fare con vere e proprie assenze che sono parte delle loro esistenze. Dapprima sono racchiuse nelle profondità di ogni individuo, a volte quasi impercettibili, mentre altre volte sono pesanti come macigni e respinte a forza negli abissi della coscienza.
Cosa sono i vuoti a perdere
Nelle note introduttive alla raccolta, la stessa Claudia Mantellassi spiega al lettore cosa siano e cosa rappresentino i vuoti a perdere.
In concreto, si tratta di quei contenitori che non vengono mai restituiti e che silenziosamente vanno a occupare uno spazio materiale. Ma anche l’intimo umano può far posto a dei vuoti, dati dalle esperienze della vita, dal susseguirsi di avvenimenti di varia natura.
Sono vuoti a perdere invisibili. Possono essere frasi dette con troppa leggerezza o non dette mai, ricordi di un passato che non trova riscontro nella vita quotidiana del presente, rapporti perduti o ancora legami malati difficili da sciogliere.
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L’autrice dipinge agili ritratti di persone comuni che portano con loro grandi pesi accumulati nella quotidianità del vivere. Nasce così una sottile galleria nascosta negli interstizi di una città da esplorare guardando negli occhi i passanti che si presentano uno dopo l’altro.
Possono perfino apparire grotteschi, ma una volta ascoltata la loro storia acquisiscono una nuova forma. Improvvisamente diventano reali vicini di quartiere. Nel momento in cui il vuoto viene a galla la loro intera vita appare più chiara e il lettore può sperare che la storia si svolga per il meglio.
Vuoti che emergono dal mare
A voler immaginare una città la prima che viene in mente è una località di mare, addossata alla costa fin dai tempi antichi. Una città che ha fatto della pesca la sua principale occupazione e che è cresciuta grazie ai traffici, di merci, di storie. E un nome di città di mare effettivamente ricorre nei racconti della Mantellassi. È Livorno, la città in cui l’autrice è nata, il luogo in cui molti personaggi scoprono e riscoprono i loro vuoti.
Non sono lunghe e dettagliate descrizioni a rappresentare la città. In un racconto non c’è spazio per grandi panorami, non c’è tempo per fermarsi a osservarli. Sono invece piccoli dettagli che i protagonisti presentano e commentano, è la parlata livornese fatta di troncature e doppie consonanti a unire le parole, i saluti che cambiano a ogni occasione. Ancora, è il profumo del mare che si respira lungo il molo insieme al maestro Baffo. Lo sfondo può rappresentare anche un mare diverso da quello livornese, come quello saporito di un piatto della signora Grazia. E può anche apparire solo come un simbolo, il segno dei pesci.
Ma il mare sempre in movimento, agitato dalle maree e dal moto delle onde, ospite di un gran numero di vite, sta a rappresentare un punto di svolta. La sua presenza è la chiave per far emergere, sollevati dalla corrente, i vuoti a perdere dei protagonisti.
Burrasche e bonaccia
Ciascun racconto è strutturato a suo modo e riflette il pensiero del personaggio. Così questa figura si trova a rivivere, volente o nolente, i suoi trascorsi e si apre una riflessione che abbraccia lettore e protagonista in un’unica vicenda. Aspetti banali della quotidianità prendono il sopravvento, soffiando con energia sulle vele di una barca alla deriva. Arriva la tempesta dopo un’apparente bonaccia.
Alcuni racconti emanano in un primo momento una sensazione di calma apparente. Sono i più brevi, che devono saper condensare anche in pochissimi paragrafi una storia completa, dall’inizio alla fine.
Qui l’autrice è in grado di sollevare i venti più burrascosi e creare vere e proprie bufere nella vita dei personaggi, nel giro di una pagina soltanto, con pochi dettagli delineati con precisione estrema.
Sono infatti questi i racconti in cui i protagonisti vivono le trasformazioni più grandi. L’effetto straniante irrompe con prepotenza nelle loro giornate apparentemente serene e noiose. Basta un ricordo nascosto a catturare l’attenzione del lettore, il quale, come un voyeur improvvisato, si ritrova ad ammirare esterrefatto realtà a cui probabilmente non avrebbe mai pensato, che invece esistono eccome.
Altrettanto sorpreso è il protagonista della storia. Messo a nudo di fronte alle sue debolezze, ai suoi errori e alle sue nostalgie rimane bloccato a un bivio. In quel momento può fare la sua scelta: spingere via il vuoto o raccoglierlo e renderlo.
Vuoti a perdere e vuoti a rendere
La scelta appare davanti ai suoi occhi. Eppure non è scontata.
Spingere via il vuoto significa nasconderlo e non dover più pensarci, ma pur sempre lasciare che esista. Quella colpa o quella paura resteranno sempre da qualche parte e prima o poi torneranno a emergere.
Raccogliere e rendere il vuoto al contrario è accettare la realtà dei fatti e decidere di venire a patti con essa. In questo modo il vuoto si dissolverà nell’animo del personaggio come una bolla di sapone. Basterà un soffio a farla scoppiare ed è così che potrà tornare a vivere più leggero. Quel vuoto potrà riempirsi.
Non tutti i ritratti della raccolta riescono a eliminare il vuoto, ma non è detto che i personaggi non decidano di liberarsene. Succede talvolta che il vuoto si trasformi in un segreto.
Come per esempio accade al domatore di piccioni, deciso a convertire le sue bugie in verità, che invece dovrà venire a patti con una quotidianità grigia. Succede nella misteriosa House Organ, un luogo in grado di risucchiare individui fino a scomporli. Queste sono storie che raccontano vite a metà di chi vorrebbe liberarsi dei vuoti, ma proprio non ci riesce.
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L’arduo compito di scegliere una copertina
Una nota di merito va certamente alla copertina, foderata da una fotografia di Gianpaolo Biagi. L’autrice stessa ha scelto questo scatto perché racchiude in un’unica inquadratura i molteplici significati della raccolta.
Innanzitutto anticipa lo sfondo paesaggistico di buona parte delle storie. La terrazza Mascagni si apre infinita sul mare e in lontananza si intravede l’isola di Gorgona: è Livorno che si tuffa nelle acque azzurre.
Poi attrae il lettore la presenza di un unico soggetto animale, un cane. Non è ben chiaro dove sia diretto, chi osserva può solo comprendere che sta camminando verso una meta. Il suo corpo si riflette sul pavimento bagnato dalla pioggia appena cessata.
Perché appena cessata? Perché a pochi centimetri dal centro della scena si tuffa dalle nuvole verso l’orizzonte un flebile ma variopinto arcobaleno. È un autentico simbolo di ottimismo, la speranza che la direzione presa sia giusta, la volontà di riempire di colori un vuoto interiore.
Un messaggio da parte dell’autrice
In chiusura di Vuoti a perdere, l’autrice Claudia Mantellassi dedica una pagina ai ringraziamenti. Non si tratta di un messaggio di congedo legato alla retorica. Le sue parole sono in linea con le storie che ha donato al lettore: semplici, quotidiane, intime.
Si sta rivolgendo direttamente a chi osserva il libro, a chi lo sceglie e a chi, come lei, sbircia tra le pagine proprio alla ricerca di quel titolo. Ringraziamenti.
Dopo aver dialogato con i suoi cari punta l’attenzione sull’avventore del libro, quasi a volergli dire che le vite narrate possono essere parte della sua stessa storia. Nonostante nella galleria di Vuoti a perdere vi siano personaggi grotteschi, inetti, arresi, il lettore avrà incontrato persone autentiche, reali, contingenti. Sono le persone che si potrebbero incontrare lungo il marciapiede e solo guardandoli negli occhi si potrebbe percepire il vuoto che portano con sé nella speranza di poterlo rendere a un passante.
E dunque è alla fine che giunge una massima profonda e luminosa: ognuno ha i suoi vuoti interiori. Vorrebbe solo avere l’occasione di renderli e colmarli.