Tentiamo di esplorare e chiarire (brevemente) il tema della morte, partendo da un percorso storico-antropologico dei riti funebri, delle varie concezioni e percezioni della morte e del morire, dagli uomini di Neanderthal fino alla contemporaneità, per arrivare a definire il concetto di death education, ovvero l’educazione alla morte, rivolta soprattutto ai giovani e agli adolescenti.
Si è voluto ricercare il significato che il concetto di morte ha avuto nel corso dei periodi storici, come tale concetto si è sviluppato nel corso dei secoli ed è arrivato fino ai nostri giorni, passando da una trasmissione prettamente orale a una visiva grazie ai nuovi media come la televisione.
Recenti studi dimostrano che già gli uomini di Neanderthal dessero sepoltura ai loro morti. Si depositavano i corpi in una fossa scavata dai membri del proprio gruppo di appartenenza, e protetta da una rapida copertura.
La religione dell’antico Egitto si occupa della morte e il cadavere è la prima immagine della sacralità. La deposizione nel sarcofago e l’inumazione hanno la funzione di rinascita nell’eternità, ed è qui che incontriamo la morte come ritorno a casa. Secondo l’egittologo Jan Assmann, «La religione ebraica sottrae Dio alla morte, in quanto Dio fornisce l’assistenza all’uomo quando è in vita, mentre la religione egiziana prometteva l’assistenza del Dio dopo la morte».
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Ma il tema di una salvezza riservata ai giusti e ai buoni trova maggiore rilievo e forza con la figura di Gesù Cristo. Il tema della salvezza dell’anima, nella religione cristiana, sarà quello che più di tutti esprimerà il bisogno di immortalità della persona. Solo grazie alla redenzione del Cristo si raggiunge l’immortalità, spostando l’attenzione sul piano etico, che spiega la morte come effetto di una cattiva condotta. Torna dunque, il giudizio della propria condotta, in certi tratti simile alla figura della bilancia egiziana, che porterà all’immortalità e alla salvezza dell’anima oppure alla dannazione eterna. Qui nasce la dicotomia tra vita e morte: vita positiva e morte negativa, salvezza/bene e dannazione/male.
Probabilmente la nostra rappresentazione occidentale della morte come concetto da polarizzare in una visione negativa affonda le sue radici nel cristianesimo. che in maniera forse implicita (o forse no) ha trasmesso questo messaggio di rifiuto e di attacco alla mortalità.
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Un passaggio successivo è stato quello di riprendere in chiave psicologica il termine morte con l’ausilio di illustri autori in campo psicoanalitico e psicologico. Infatti sul tema della morte si sono interrogati illustri nomi della psicoanalisi come Freud e Lacan, con i rispettivi concetti di “pulsione di morte” e “desiderio di morte o puro”.
Successivamente si arriva ad una concezione medica della morte come “perdita”. Contestualmente nascono anche le nuove strutture rivolte al fine vita, gli hospice. In riferimento alle tematiche del lutto e della perdita, la psichiatra Elisabeth Kübler-Ross ha svolto innumerevoli studi. Questi sostengono che vi è il tentativo, mediante la scienza, di prolungare la vita, o almeno di ritardare i segni del passare del tempo. Tuttavia sottolinea l’importanza di una maggiore attenzione alla qualità della vita, tentando di renderla più umana possibile.
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Questi studi sono alla base della death education, nello specifico con riferimento a un’utenza di adolescenti. Per educazione alla morte non si intende un percorso di educazione e di preparazione alla morte, che porti a non provare più dolore per la perdita di una persona cara, o una totale passività davanti alla morte.
Al contrario, l’obiettivo non è quello di negare la morte, ma mediante essa dare un valore diverso alla vita. L’idea di death education parte dall’ascolto e dal dar voce agli stessi partecipanti, ragionando insieme sulle tematiche della temporalità, della perdita, della separazione, della morte, e della vita partendo dai loro vissuti.
Una ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia ha indagato questo aspetto.
È stato somministrato ad adolescenti un questionario su queste tematiche. Alcuni di loro hanno, in un secondo momento, preso parte a un gruppo di lavoro. Durante quest’ultimo è stato svolto un brainstorming nel quale ai partecipanti sono state chieste prima le parole e poi le emozioni che ciascuno di loro associava alla parola morte e alla parola vita.
Sembrano trapelare dal questionario l’incertezza e lo spaesamento. Le stesse incertezze e la complessità del tema si sono ritrovate quando è stato chiesto ai partecipanti di indicare le parole che ricollegavano alla morte. Il risultato è stata la produzione di un gran numero di parole. Le più presenti sono state: paura, tristezza, dolore. Inoltre l’89% dei partecipanti ha risposto affermativamente di aver avuto a che fare con un lutto nella propria vita.
Nella prima parte del gruppo di lavoro è stato chiesto ai partecipanti innanzitutto di indicare tutte le parole che associavano alla parola morte. Successivamente è stato richiesto ai partecipanti di esprimere quali emozioni provocava loro l’utilizzo del termine morte. Analogo procedimento è stato poi seguito in relazione al termine vita.
Le tre parole più utilizzate nel questionario (paura, tristezza e dolore) sono state riportate anche nella sezione dedicata all’emozioni riguardante la parola morte. Inoltre, la paura, la parola che all’interno del questionario è stata riportata con maggiore frequenza, è stata riportata sia nelle parole che nelle emozioni (ripetuta ben tre volte) riguardanti il termine morte.
La parola paura, curiosamente, è stata riportata anche tra le parole collegate al termine vita ma non alle emozioni collegate a quest’ultima. Anche la parola gioia trova spazio sia nella sezione emozioni della parola morte, sia nella sezione delle emozioni della parola vita; da intendersi, secondo i partecipanti, collegata alla parola morte, come la piena riuscita di un’elaborazione di un lutto. Nelle emozioni legate alla parola vita sono presenti due emozioni tendenzialmente viste come opposte: odio e amore.
I termini complessità, incertezza e ambivalenza sembrano essere i termini perfetti per descrivere il delicato discorso sulla finitudine, sulla perdita, sulla separazione e sulla morte. Tutto questo è nato dalla volontà di provare a iniziare ad esplorare i bisogni di un’educazione alla morte.
C’è ancora molto da lavorare. Ripensare, riformulare e replicare sono tutte forme di controllo che possono aiutare a esplorare un mondo probabilmente molto complesso, incerto e ambivalente. Proprio per via della grande complessità delle tematiche sarebbe importante creare e progettare percorsi di parola, di prevenzione ed elaborazione degli eventi traumatici. Dunque lavorare in un pre, post, e nel corso dell’evento traumatico (da intendersi come fine e/o separazione da qualcosa, o anche solo di un insuccesso ad esempio).
Dunque sarebbe importante che pedagogisti ed educatori si interrogassero su queste tematiche al fine di proporre valide alternativa ai media. Essi, infatti, rappresentano spesso la morte come ingiustizia e in termini di violenza, per esempio attraverso guerre e suicidi. Persino nei cartoni animati il tema della morte risulta molto presente: spesso infatti il protagonista deve fare i conti con l’assenza o la perdita di uno dei propri genitori (Bambi, Il re leone, Tarzan). Dunque già in tenera età i bambini e le bambine incontrano il tema della morte. Potrebbero essere utilizzati gli stessi media come ausili, ma non come unica risorsa educativa.
Essere in grado di rispondere al bisogno degli adolescenti di parlare e di essere ascoltati al verificarsi di eventi traumatici è un obiettivo che gli educatori e le educatrici dovrebbero rincorrere. Non bisognerebbe abbandonare i ragazzi e le ragazze ai loro dolori, non farli sentire soli mentre scalano montagne che ai loro occhi potrebbero sembrare insormontabili. Sembra di indispensabile importanza il non abbandono alla solitudine chi affronta un evento traumatico, come la morte, un lutto o una separazione.
Davide Romandini
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