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Economia

Perché non si può abolire il Concordato Stato-Chiesa

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Gianluca Lo Nostro

Libera chiesa in libero Stato. O quasi. Ha suscitato polemiche la nota verbale consegnata all’ambasciata italiana presso la Santa Sede a firma del monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, che ha denunciato una violazione del Concordato Stato-Chiesa. La nota è stata poi inoltrata al ministero degli Esteri.

Nel documento, Gallagher ha chiesto lumi sulla legge n. 2005, il disegno di legge presentato dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan che doterebbe l’Italia di un nuovo catalogo di misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.

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La preoccupazione della Santa Sede riguarda proprio la «criminalizzazione delle condotte discriminatorie», un aspetto che è stato messo in discussione dai diplomatici vaticani. «La segreteria di Stato – si legge – rileva che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa del DDL Zan, particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario».

Secondo la Chiesa, la legge Zan introdurrebbe degli obblighi incompatibili con il Concordato stipulato nel 1929 (e revisionato nel 1984) con la Repubblica Italiana. «Ci sono espressioni – continua la nota – della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina. Tale prospettiva è infatti garantita dall’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana di Revisione del concordato lateranense, sottoscritto il 18 febbraio 1984».

Si tratta di un attacco senza precedenti e pericoloso, dal momento che un’eventuale violazione da parte dell’Italia potrebbe comportare, almeno sulla carta, l’invalidità dell’accordo. Ma in cosa consiste questa famosa intesa che regola i rapporti tra la Curia e lo Stato italiano?

Innanzitutto si distingue l’autorità della Santa Sede da quella di Città del Vaticano. Entrambe godono di eguale personalità giuridica, ma mentre Città del Vaticano è lo Stato-organizzazione che governa i territori del Vaticano, la Santa Sede fonda la sua soggettività sul governo che esercita… sui suoi miliardi di fedeli. La Chiesa Cattolica ha mantenuto la sua personalità giuridica anche durante l’annessione, da parte del Regno d’Italia, di ciò che rimaneva dello Stato Pontificio. Questo periodo di difficile convivenza iniziò con la presa di Roma nel 1870 e terminò nel 1929 con la nascita dello Stato più piccolo al mondo, Città del Vaticano.

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Furono, dunque, i Patti Lateranensi a ripristinare le relazioni tra il Soglio di Pietro e il governo italiano. Benito Mussolini voleva fortemente limitare l’influenza della Chiesa nello Stato fascista e per farlo doveva assolutamente depauperare le associazioni giovanili cattoliche, assegnando la supremazia culturale all’Opera Nazionale Balilla.

Mussolini e Papa Pio XI l’11 febbraio 1929.

In cambio di ciò, il Duce dovette promettere a Papa Pio XI, con cui iniziarono i negoziati nel 1927, delle compensazioni di natura politica ed economica. Da qui deriva la tripartizione dei Patti Lateranensi in un trattato internazionale, che istituiva lo Stato di Città del Vaticano, una convenzione finanziaria per il risarcimento dei “danni” da parte del Regno alla Chiesa, e il Concordato in oggetto, che regola tutt’oggi i rapporti in materia religiosa e fiscale.

Dopo la caduta del fascismo, il Concordato Stato-Chiesa è stato fissato tra i Principi fondamentali della Costituzione italiana. «Lo Stato e la Chiesa cattolica – recita l’art. 7 – sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale».

Per molto tempo l’intesa tra la Repubblica Italiana e la Chiesa Cattolica è rimasta intatta. Soltanto nel 1984 le due parti sono convenute per eliminare la preminenza della religione cattolica, fino a quel momento religione di Stato.

Nonostante la società italiana si sia spostata su posizioni molto più laiche, soprattutto a partire dagli anni Settanta, al governo del Paese per quarant’anni c’è stata la Democrazia Cristiana, erede del Partito Popolare di don Luigi Sturzo, colui che nel 1919, approfittando dell’abolizione del non expedit che ordinava a tutti i cattolici italiani di non partecipare alla vita politica nazionale, creò la prima vera organizzazione politica di stampo cattolico dall’unità d’Italia.

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Questo tipo di ingerenze hanno caratterizzato la Repubblica sin dalla sua formazione. Dopo l’approvazione della legge sul divorzio, Papa Paolo VI ebbe da commentare: «Il divorzio viola il Concordato. La legge è in aperto contrasto con l’art. 34 e tutto ciò malgrado la Santa Sede avesse fatto sentire la propria voce amichevole, ma chiara e ferma» disse il Pontefice, con toni molto simili a quelli usati in questi giorni da monsignor Gallagher nel denunciare il disegno di legge contro l’omofobia. Del resto, come ha dichiarato la stessa Santa Sede, l’intento non è quello di bloccare l’iter legislativo, ma di applicare dei correttivi.

Un giornale dell’epoca riporta l’opposizione di Papa Paolo VI alla legge sul divorzio.

La reazione del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi lascia spazio a poche interpretazioni: l’Italia è uno Stato laico. Ma quanto sono legittime le rimostranze dei cattolici di fronte alla presunta deriva liberticida del DDL Zan? È vero che potrebbe rappresentare una violazione della libertà di culto?

In effetti, il Concordato Stato-Chiesa è abbastanza chiaro al riguardo. Ecco cosa dicono i comma 1, 2 e 3 dell’art. 2:

La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica. 

Art. 2 comma 1

2. È ugualmente assicurata la reciproca libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede, la Conferenza Episcopale Italiana, le Conferenze episcopali regionali, i Vescovi, il clero e i fedeli, così come la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa.

Art. 2 comma 2

3. È garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Art. 2 comma 3

Insomma, il Concordato tutela la libertà di culto dei cattolici. Gli altri interrogativi che sorgono sono però due: dove e in che modo le disposizioni della legge Zan sarebbero incompatibili con la libertà di culto, e soprattutto è il Concordato l’unico riferimento alla libertà di culto dei cattolici presente nell’ordinamento giuridico italiano?

Evitando di rispondere alla prima domanda, per cui sarebbe ampiamente preferibile il parere di un giudice, si può tentare di capire come si configura la libertà di culto in Italia. Fatto salvo il Concordato e l’art. 8, che riconosce il pluralismo religioso, non figurano altri cenni specifici tra i suddetti Principi fondamentali. Bisogna infatti cercare nel Titolo I della Costituzione, all’art. 19, prima di riscontrare una vera e propria disciplina della materia in Italia.

Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Art. 19 della Costituzione

Un articolo che nella sua genericità si fa carico non solo implicitamente del cattolicesimo, ma di tutte le altre confessioni religiose, che così sono protette dallo Stato. Il contenuto, in ogni caso, per quanto dirimente ed esplicativo, non appartiene ai Principi fondamentali.

In questo senso, si è già mossa un’imponente campagna mediatica per l’abolizione del Concordato. Una petizione online ha già raccolto decine di migliaia di adesioni. Se è vero che la permanenza del Concordato con la Chiesa nel nostro ordinamento non è così essenziale, come dimostra l’art. 19, perché non sopprimerlo direttamente?

A ostacolare quest’idea, avanzata anche dai Radicali Italiani, è la stessa giurisprudenza o, meglio, l’interpretazione degli operatori giuridici italiani. Abolire il Concordato significherebbe nullificare l’art. 7 della Costituzione, dunque approvare una legge di revisione costituzionale per cui è necessaria una maggioranza qualificata in parlamento. Ammesso e non concesso che le Camere riescano in qualche modo a cancellare l’attuale testo dell’art. 7, sarebbe in grado questo atto politico così inusuale di resistere al controllo della Corte Costituzionale?

La Consulta non si è mai pronunciata su un’ipotetica modifica ex abrupto dei Principi fondamentali ma, considerando la primazia dei Principi fondamentali su tutte le altre fonti del diritto interno, è molto probabile che il massimo organo di garanzia costituzionale in Italia sia orientato verso un parere negativo.

Un altro problema che potrebbe inguaiare l’Italia è l’uscita unilaterale dal Concordato. Nel diritto internazionale esistono varie cause di estinzione di un trattato, si pensi ad esempio alla denuncia o al recesso, ma in questo caso l’abbandono unilaterale potrebbe creare una controversia con la Santa Sede, la quale, convinta di trovarsi nel giusto e di aver subito un torto, potrebbe adire una corte, e lascerebbe inoltre un enorme vuoto legislativo.

Comunque la si pensi, quello della Chiesa è stato un tentativo di intimidire il legislatore (e il governo) con un comportamento già visto in passato. Un’ingerenza motivata dalla malcelata volontà della Chiesa di tutelare il suo status giuridicamente privilegiato, previsto dai sopracitati articoli del Concordato, e rimandare il testo del disegno di legge alla Camera per operare i correttivi illegittimamente richiesti. Per questo non conviene (e non è legale in ogni caso) stracciare unilateralmente i Patti Lateranensi e abolire il Concordato. L’Italia andrà avanti lo stesso, come ha sempre fatto.

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Gianluca Lo Nostro

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