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Di nuovo sull’opportunità di divulgare immagini e video sgradevoli

Published by
Enrico De Biasio

Le scorse settimane ci hanno regalato dei momenti davvero bassi per la storia del giornalismo italiano. Ne abbiamo già parlato: moltissime testate, molte delle quali tra le più illustri e blasonate, non si sono fatte scrupoli a divulgare immagini tragiche e dolorose con il deliberato scopo di fare clickbaiting.

Leggi anche: Siamo giornalisti, non sciacalli.

Sciacalli, avvoltoi e sensazionalismo

Diciamolo – ribadiamolo – chiaramente.

Il video di quanto avvenuto lo scorso 23 maggio sul Mottarone non andava pubblicato per una questione di deontologia professionale.

Testualmente, dalla Carta di Treviso, Allegato 2 (passim):

«nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi a un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona»;

«Al bambino coinvolto come autore, vittima o teste in fatti di cronaca, la cui diffusione possa influenzare negativamente la sua crescita, deve essere garantito l’assoluto anonimato. Per esempio deve essere evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possono portare alla sua identificazione, quali le generalità dei genitori, l’indirizzo dell’abitazione o il Comune di residenza nel caso di piccoli centri, l’indicazione della scuola cui appartenga».

Un articolo web dello scorso 28 maggio da una delle testate più lette in Italia. Immagine modificata per eliminare il nome del minore.

Si trattava di non divulgare il video per garantire al minore coinvolto e sopravvissuto la possibilità di crescere quanto più serenamente possibile, a maggior ragione considerando che viviamo nell’epoca di YouTube, dove su ogni tragedia è possibile cliccare il tasto replay. Semel emissum, volat irrevocabile video.

I più cinici noteranno che la pubblicazione del video cambia poco, con l’ondata di morboso e vomitevole pietismo – sensazionalismo in nome di un sentimento pietoso, per citare la Carta – di cui il minore in questione era già stato oggetto già prima.

Stessa testata, stesso sensazionalismo in nome di un sentimento pietoso. Immagine modificata per eliminare il nome del minore.

Il danno è fatto, un’altra vetta per la stampa italiana.

L’unica cosa positiva è che il tentativo di clickbaiting da parte dei giornali è stato talmente grossolano e plateale da suscitare forti reazioni di sdegno da parte dell’utenza del web e dei social.

Molte testate si sono sentite punte sul vivo dalle accuse di sciacallaggio e spettacolarizzazione del dolore, e sono corse ai ripari con dichiarazioni e comunicati in propria difesa, asserendo che il video sia processualmente rilevante e quindi andasse mostrato (con buona pace di ciò che è stato detto da chi – la procura di Verbania – si occupa ciò che processualmente rilevante a livello legale per questo fatto. Quando la pezza è peggiore del buco).

Un comunicato di difesa da parte di uno dei maggiori quotidiani della stampa italiana, 16 giugno 2021.
La stessa testata nel condividere il video su Facebook solo poche ore prima.

L’avvocato del diavolo

Eppure.

Eppure c’è un briciolo di verità in quelle maldestre arrampicate sugli specchi.

Chiariamoci, non nell’intenzione reale con cui il video è stato pubblicato (non c’era nessuna buona intenzione di fondo: lo scopo era precisamente suscitare guardonismi e click), ma nel principio: certe volte può essere opportuno mostrare immagini e video sgradevoli.

Può essere opportuno quando il fatto sgradevole riguarda l’intera società, e non solo dei privati cittadini.

Non c’è giustificazione ad esempio per lo sciacallaggio fatto sul video del malore del danese Eriksen durante la partita degli europei. Per quanto spiacevole l’evento – e per quanto pubblica la cornice – si tratta di un caso clinico individuale che non interessa la società, se non marginalmente. Parlare dell’accaduto oltre al dare la notizia e augurare pronta guarigione al giocatore, mostrare l’accaduto, non aggiunge nulla al dibattito pubblico.

Lo sciacallaggio mediatico non ha risparmiato la moglie del calciatore.

Fermo restando quanto detto sopra, eventi come quelli del Mottarone o del Ponte Morandi purtroppo invece ci riguardano a livello di società.

Ognuno di noi poteva – potenzialmente – essere su quella funivia o su quel ponte. Conosco personalmente due persone che potevano essere coinvolte nell’incidente del Mottarone: l’una ha usufruito della funivia nel febbraio 2020, l’altra era proprio lì lo scorso 23 maggio e fortunatamente decise di non salire con la propria famiglia.

Quei fatti, quei video, ci raccontano cosa succede quando alla salute delle persone si antepone l’interesse individuale, il profitto. Ci aiutano a visualizzare le tragiche consequenze della negligenza volontaria, dell’egoismo, in tutta la loro drammaticità.

Sono dei pugni nello stomaco che ci ricordano che il mondo non è un posto fatato, che la nostra tranquilla quotidianità non corrisponde necessariamente alla realtà, ci responsabilizzano e ci rendono più consapevoli.

Vedere quei video ci aiuta a ragionare su temi importanti per la società, come il rapporto tra pubblico e privato nella gestione delle infrastrutture, l’importanza della trasparenza e del rispetto degli standard di sicurezza: possono alimentare un dibattito pubblico basato sui fatti.

Solo partendo dalla realtà, la realtà senza filtri, si può pensare di creare un mondo e una società migliori.

È stato così per l’abolizione del lavoro minorile negli Stati Uniti all’inizio del Ventesimo secolo. Ed è per lo stesso motivo che sui pacchetti di sigarette si è deciso di mostrare – in tutta la loro crudezza – i danni provocati dal fumo.

Per i minori non era infrequente lavorare in miniera. Le fotografie di Lewis Wickens Hine e del National Child Labor Committee hanno innescato un dibattito che ha portato all’abolizione del lavoro minorile. Fonte: Library of Congress, National Child Labor Committee Collection.

Possiamo sperare che la visione del video serva a innescare un dibattito fruttuoso e che smuova la coscienza a qualche concessionario, affinché decida finalmente di far mettere in sicurezza il proprio impianto o infrastruttura.

Così come possiamo sperare che le scorse settimane insegnino ai giornali cosa succede quando si antepongono gli interessi pubblicitari alla basilare decenza.

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Enrico De Biasio

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