Progresso: nascita e crisi di un’idea

La concezione moderna del progresso è legata a un’immagine del sapere intesa come processo lineare, irreversibile e illimitato. Attraverso questo processo è possibile realizzare il perfezionamento delle capacità e delle facoltà umane.

L’idea di progresso si fonda sull’affermazione della centralità della ragione che rappresenta un fattore di emancipazione non solo dall’ignoranza e dai pregiudizi, ma anche dai poteri autoritari laici e ecclesiastici in vista della creazione di società liberali e democratiche, fondate sulla autonomia individuale. La storia universale è interpretata come il luogo del cammino verso la felicità e la libertà. Questi sono i principi affermati dalla rivoluzione americana e dalla rivoluzione francese.

L’idea moderna di progresso (al singolare) raccoglie in sé una serie di progressi (al plurale), cioè conoscenze ed esperienze che si realizzano nelle scienze naturali, nelle tecniche e nelle istituzioni politiche. Questi progressi sono settoriali e si realizzano in momenti e ambiti differenti. L’idea di progresso invece sottende una concezione lineare del tempo orientata verso un fine e l’affermarsi dell’umanità, cioè il soggetto della storia del progresso. L’idea è che il progresso tecnico ed economico vada di pari passo con quello politico e morale.

In questo articolo è illustrata brevemente la nascita e la crisi dell’idea di progresso, partendo dall’Antica Grecia fino ai giorni odierni.

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Il progresso nel mondo classico

Nelle culture classiche esistono solo immagini parziali e settoriali del progresso. Vi sono molti lemmi che afferiscono concettualmente all’idea di progresso, ma questi descrivono un accrescimento o un miglioramento solo di un soggetto particolare, in un momento storico delimitato e in un ambito specifico.

A impedire lo sviluppo del progresso come unitario nelle culture greche e romane è il dominio di due idee filosofiche: la decadenza e l’eterno ritorno. In particolare, lo storico greco Esiodo guarda al passato come all’età dorata, cui ha fatto seguito una inesorabile decadenza. Anche Platone testimonia l’ostilità della cultura greca nei confronti dell’innovazione, soprattutto nella narrazione del mito di Crono. In questo racconto si vede come nel mondo sotto la guida del dio non ci fosse bisogno per l’uomo né di lavoro, né di politica, né di ricercare un processo tecnico materiale.

Per gli stoici gli eventi umani sono inscrivibili all’interno del ciclo universale, eterno e necessario della natura. L’idea dell’eterno ritorno è esemplificata dalla posizione di Polibio. La storia è una storia universale in cui gli avvenimenti si succedono ciclicamente in parallelo a ciò che avviene nel ciclo cosmico. I regimi si deteriorano e si susseguono secondo un andamento ciclico nel tempo. Giunti all’ultimo stadio, ritornano alla forma iniziale per poi ripetere lo sviluppo.

Questo non significa che gli antichi non vedessero miglioramenti. Questi erano presenti e visibili, ma non erano colti alla luce di una storia universale del genere umano concepita come lineare. Nelle culture classiche, inoltre, si registra una distinzione tra progresso tecnico e progresso morale. Addirittura si diffonde spesso l’idea di un legame tra processo tecnico-scientifico e degenerazione morale-politica.

L’era cristiana: tra storia sacra e storia profana

La cultura cristiana è caratterizzata da una concezione lineare del tempo. Il cristianesimo costruisce un modello teologico di storia sacra, ovvero quella già progettata da Dio, orientata a un fine nel futuro. La storia profana, quella degli uomini in terra, è irrilevante dal punto di vista storico. Essa assume importanza solo alla luce della storia sacra.

L’idea di progresso intesa come continuo perfezionamento dell’uomo nel corso storico non è compatibile con la visione cristiana della storia. La fede cristiana tiene ferma autorità di ciò che è antico e considera come eresia tutto ciò che è innovazione.

La storia umana si sviluppa in due momenti chiave della fede cristiana esterni e superiori alla storia: l’inizio e la fine. L’inizio è l’incarnazione di Cristo, che riscatta l’umanità dal peso del peccato e apre una possibilità di salvezza. La fine è la seconda venuta di Cristo, per instaurare il regno di Dio dopo l’attesa messianica.

Alcuni intellettuali ecclesiastici, come Sant’Agostino, parlano di progresso. Questo viene però inteso come sciolto dal tempo e dai vincoli mondani, in virtù di una vita ultraterrena. Anche in Bernardo di Chartres emerge la possibilità di realizzare un progresso della scienza e della cultura, coltivato però all’ombra di una devozione assoluta per l’autorità dei Padri della Chiesa.

In quest’ottica, quello che sembra un progresso non è un procedere avanti verso il futuro, ma un ritorno al passato, cioè alle origini. Il processo storico è lineare, ma il tempo è solo un veicolo di un mutamento parziale. Il vero significato risiede nella storia sacra. La grazia e la salvezza sono fuori dal tempo e non rappresentano il termine di alcun processo storico.

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Sant’Agostino in un dipinto del Settecento.

Il progresso nel Rinascimento

Nel Rinascimento l’idea di progresso (al singolare) inizia con l’estendersi delle conoscenze geografiche, astronomiche, scientifiche e tecniche.

Tuttavia, negli autori del Rinascimento è impossibile individuare una concezione lineare della temporalità che rimandi al processo di perfettibilità dell’uomo. Sull’intreccio tra rinnovamento e ciclicità è esemplare la posizione di Machiavelli.

Machiavelli si distacca da Polibio quando afferma, nella descrizione del ciclo costituzionale, che le variazioni delle forme di governo nascono a caso tra gli uomini. Il passaggio da una forma sana a una corrotta e viceversa avvengono a caso, ed è il caso che permette a Machiavelli di sottrarsi sia a una logica deterministica sia a una filosofia della storia influenzata da un impianto teleologico.

Per Machiavelli il caso non è solo l’apparizione di eventi inattesi e incontrollabili che modificano il corso della storia, ma è anche un insieme di coincidenze che complicano o risolvono una situazione sviluppatasi inizialmente in un’altra direzione. Il caso è una possibilità inaspettata che la virtù umana deve saper cogliere, rompendo così lo sviluppo ciclico del corso storico.

Il progresso e la modernità

Francis Bacon, nel 1609, dichiara per la pima volta che l’antichità non è più il modello di saggezza da seguire, bensì un modello di ignoranza. Per lui il presente è superiore e pertanto la autorità della tradizione non ha più valore. Il sapere umano è un processo di accumulazione continuo e illimitato delle conoscenze, che determina un incremento della potenza e del benessere dell’uomo.

La convinzione baconiana che il sapere sia suscettibile di continuo avanzamento si diffonde nel corso del Seicento, mutando il fondamento filosofico ma mantenendo ferma la critica verso tutte le concezioni statiche, cicliche o decadenti della storia. L’autorità degli antichi viene sostituita dall’uso della ragione e dell’esperienza che favoriscono la costruzione del regno degli uomini.

Anche se la concezione moderna del progresso si sviluppa grazie ai risultati della rivoluzione scientifica, non mancano importanti interpretazioni del progresso in prospettiva morale e politica. Nel De Cive del 1692, Thomas Hobbes afferma che la condizione naturale dell’umanità è uno stato di rozzezza in cui vige la guerra tutti contro tutti. La civiltà è resa possibile solo dalla volontà di progresso dell’uomo, che costruisce uno luogo all’interno del quale vi siano pace, scienza, commercio e benessere.

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Frontespizio del De Cive. Si notino lo stato civile a sinistra e lo stato di natura a destra.

Il Settecento e l’Età dei Lumi

Nel XVII secolo l’idea di progresso è centrale soprattutto per l’emancipazione dai tradizionali poteri laici ed ecclesiastici fondati sulla superstizione. La fiducia nel progresso implica una volontà riformatrice che si caratterizza per una forte componente utopica.

La caratteristica centrale del progresso è il perfezionamento del genere umano, che sostituisce la concezione teologica di perfezione. Nel Settecento il progresso non è solo l’avanzamento del sapere, ma anche sviluppo dei costumi, delle istituzioni politiche e della vita economica e sociale dei diversi popoli. Questa concezione progressista della storia mostra però un lato oscuro: la storia comparata delle civiltà permette di costruire una scala per individuare diversi gradi di sviluppo che distinguono civiltà progredite e civiltà arretrate.

Uno degli autori del modello universale è Voltaire, che costruisce una filosofia della storia basata sulla successione di tre epoche dell’umanità: lo stato selvaggio, le barbarie e la civiltà. Per non ricadere nelle barbarie occorre eliminare gli ostacoli frapposti dai poteri autoritari e dalle religioni, che sono causa di superstizione, fanatismo e intolleranza. Per Voltaire il progresso è reale, ma è impossibile pensare a un progresso univocamente lineare e continuo dell’umanità.

Condorcet parla di uno sviluppo sempre maggiore della perfettibilità umana, che sfocia addirittura nella possibilità di un perfezionamento strutturale della natura umana stessa. Afferma che la storia universale del progresso descrive il cammino dell’umanità verso la verità, la felicità, la libertà, la virtù e il rispetto dei diritti naturali. Solo attraverso lo sviluppo della ragione è possibile il trionfo della civiltà.

Il progresso dato dalle conseguenze inattese

Alfiere del progresso è Anne-Robert-Jacques Turgot, che afferma che il progresso del sapere e delle arti meccaniche è privo di limiti. Questo scaturisce dalle azioni degli uomini, indipendentemente dalle loro volontà e dalle dinamiche storiche. Si svolgono quindi percorsi non intenzionali destinati a realizzare un livello superiore di qualità dell’esistenza sociale e individuale.

Legati al tema delle conseguenze inattese vi sono poi gli inglesi Adam Ferguson, che si sofferma sulla divisione del lavoro e Adam Smith con la teoria del libero mercato e della mano invisibile. Bernard Mandeville afferma invece che il progresso è dato dall’egoismo dei singoli, che perseguendo i loro interessi privati, producono benessere e circolazione di beni.

La voce più autorevole del Settecento è quella di Immanuel Kant. Egli afferma che il progresso morale e politico può essere reso possibile dal primato della ragione e può condurre l’umanità a una condizione universale di libertà, pace e giustizia. Per realizzare questa condizione cosmopolitica, la società deve essere tutelata da istituzioni repubblicane che garantiscano la divisione dei poteri.

Nel saggio Per la pace perpetua, Kant sottolinea che esistono infatti almeno tre condizioni necessarie per realizzare il progetto. La prima è la realizzazione di costituzioni repubblicane in tutti gli Stati. La seconda è la creazione di una federazione mondiale fra tutti gli Stati. Infine la creazione di un diritto cosmopolitico fondato sul principio dell’ospitalità universale che garantisce la libera circolazione degli individui.

L’Ottocento, il vero secolo del progresso

Nell’Ottocento, con il successo della borghesia industriale e commerciale, si concretizzano nuovi stili di vita e di pensiero a orientamento progressista sul piano morale, sociale, culturale, politico ed economico. Nella seconda metà del secolo, tali orientamenti avviano le società europee verso la Belle Époque, in cui le folle di borghesi trascorrono l’esistenza fra terme e località balneari, facendo acquisti in grandi magazzini illuminati dai sempre nuovi prodotti della tecnica.

Georg W. Hegel rappresenta il compimento delle teorie del progresso. Il nesso tra progresso e storia è al centro della sua filosofia della storia. Nell’idealismo hegeliano ogni momento del divenire è superato da un momento successivo, che conserva quanto lo precede, spostandolo su un piano più alto. Si distingue così la storia umana dal corso della natura: la prima si rinnova costantemente, la seconda si ripete in eterno. Il processo storico per Hegel consiste nello sviluppo dello spirito, inteso come realizzazione della coscienza della libertà, cioè della ragione, nella storia.

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Georg W. Hegel.

La fiducia nel progresso produce le condizioni filosofiche e culturali affinché il processo sia pensabile nel futuro. Il successo dell’idea di progresso dell’Ottocento è dovuto ai pensatori positivisti, che ne sottolineano la dimensione tecnica, industriale e organizzativa. Loro stessi ne vedono l’utilità sociale, come strumento di riorganizzazione politica. Uno di questi è Auguste Comte, padre della moderna sociologia, intesa come fisica sociale, scienza capace di comprendere e orientare concretamente l’agire umano.

La crisi dell’idea: Nietzsche

Nonostante i successi materiali della società borghese nella realizzazione di migliori condizioni di vita, l’idea di progresso è sempre più sinonimo di razionalizzazione, industrializzazione, reificazione, massificazione, spersonalizzazione, urbanizzazione e livellamento. È un immenso mutamento filosofico e culturale, che coinvolge molti pensatori, compresi coloro che in precedenza avevano sostenuto l’idea di progresso e coloro che non avevano mai espresso sentimenti reazionari o tradizionalisti.

La prima critica sistematica all’idea di progresso è di Friedrich Nietzsche. Egli recupera l’immagine dell’eterno ritorno ed elabora una critica radicale del mondo moderno, del cristianesimo e della morale borghese a partire dal concetto di decadenza. Lungi dall’essere il culmine dello sviluppo, la civiltà occidentale è il prodotto di una malattia spirituale, che cercando il fondamento metafisico e il fine morale della vita in un principio trascendente, ha determinato la creazione di una lunga serie di illusioni, culminate nel falso mito del progresso.

Di fronte a tale decadenza, Nietzsche esalta l’atteggiamento eroico di coloro che guardano in faccia la realtà del dolore e della solitudine umana e l’onestà intellettuale di coloro che non si nascondono dietro a illusioni morali o religiose. Secondo Nietzsche si supera questa condizione attraverso una trasvalutazione dei valori fondata sulla consapevolezza che il vero e unico fondamento dell’essere è la volontà di potenza, che è la vita stessa. Essa non vuole far altro che continuare a vivere.

Altre posizioni di critica

Il pensiero di Nietzsche è segno di un cambiamento nell’idea di progresso. La scienza non garantisce il benessere individuale e sociale, ma sembra essere al servizio di forze tecnico-industriali cieche e incontrollabili. La società sembra una macchina che sovrasta la natura spirituale degli individui. Poiché il moderno non coincide più con ciò che è umano, l’atteggiamento nostalgico per le forme di vita tradizionali si diffonde.

La vita dell’individuo è sempre più irrigidita dalla ferrea organizzazione del lavoro meccanico. Lo sviluppo della produzione seriale rende possibile le prime forme di consumo di massa, ma rende anche anonimi i prodotti, livellando le qualità degli oggetti artigianali. L’individualità è soffocata e i rapporti personali sostituiti da quelli fondati sull’utilità e sull’interesse. Il nuovo soggetto collettivo è la massa indifferenziata, la folla solitaria.

In questo scenario, lo storico tedesco Max Weber dichiara che l’unico significato legittimo del progresso è quello tecnico, con una crescente chiarezza e coerenza degli strumenti per la soluzione dei problemi. In Weber il progresso cessa dunque di designare la direzione della storia dell’umanità e perde il suo carattere universale in termini di filosofia della storia.

Il pensiero di Freud

Anche lo psicanalista Sigmund Freud è pessimistico sui destini della civilizzazione moderna. L’idea di progresso viene criticata sul piano sia individuale che sociale. L’uomo moderno è vittima di isteria poiché il processo di civilizzazione ha un effetto di coercizione degli istinti. Se gli uomini vogliono cooperare, è necessario reprimere le pulsioni sessuali e gli impulsi aggressivi. Freud sostiene che la civiltà sia fondata su una profonda coercizione del principio di piacere e su una rinuncia pulsionale. Il progresso impone un alto costo psichico, da cui ne deriva un inevitabile disagio nella civiltà, in termini di malessere interiore.

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Sigmund Freud.

Il processo di civilizzazione determina un crescente benessere, ma amplia le ostilità tra individuo e la società. La contraddizione tra la felicità individuale e la coscienza morale, l’unico mezzo di coesione sociale in grado di frenare gli impulsi distruttivi, è però insanabile. Se gli istinti venissero liberati, la guerra e la distruzione si estenderebbero ovunque.

Il progresso oggi

Oggi la questione del progresso non è descrivibile solo a tinte fosche. A partire dagli anni Cinquanta, sono innegabili gli sviluppo della ricerca sul terreno della genetica, della medicina, della fisica, della farmacia, della robotica e dell’informatica. Diventa però necessario parlare di progressi, di crescita economica, innovazione tecnologica e qualità della vita sociale, più che di progresso. La globalizzazione in sé è un fenomeno né indice di progresso né di regresso, ma si orienta a seconda dello scopo verso cui viene indirizzata dalle nuove forme di potere.

Anche in questo caso non mancano ambiguità e ambivalenze. Gli strumenti informatici e digitali presentano una mancata coincidenza tra innovazione tecnologica e progresso sociale. Da un lato il loro uso sembra dare opportunità per lo sviluppo di forme di organizzazione sociale e territoriali, dall’altro essi diffondono nuove forme di conformismo culturale e massificazione sociale.

Il nesso ambiguo tra innovazione tecnologica e progresso etico-politico è presente anche sul terreno delle trasformazioni della soggettività. Queste sono rese possibili dall’irruzione delle tecnoscienze umane, spesso indirizzate a migliorare le facoltà umane e la qualità della vita. Ne è esempio la medicina performativa, che si occupa di intervenire sulla normalità per tutelarla da possibili disturbi grazie all’assunzione di farmaci, il cui scopo non è però quello di curare una malattia o una disfunzione, ma quello di migliorare le prestazioni del soggetto, aumentandone l’efficienza. Non solo discipline scientifiche come la psichiatria, ma anche comuni pratiche medico sanitarie come la chirurgia estetica, le terapie ormonali e l’uso di coadiuvanti chimici sono utilizzate per ottimizzare il benessere tra organismo e ambiente. In questo caso l’intervento di potenziamento tecnico non è più limitato ai prodotti dell’attività umana, ma riguarda le facoltà dell’essere umano.

Scenari possibili

È legittimo chiedersi se l’efficacia con cui le tecnoscienze trasformano le forme di vita può essere interpretata come una nuova tappa del progresso.

Non si tratta di condannare o abbracciare le nuove pratiche di ottimizzazione delle facoltà umane, ma di individuare le strategie con cui gestirle al riparo da condizionamenti del potere politico, economico e ideologico. Solo così sarà forse possibile eliminare i rischi di una deriva autoritaria, preservando l’impianto libertario, illuministico e positivistico che è alla base del desiderio umano di migliorare e potenziare la propria condizione fisica e psichica, individuale e sociale.

Se si debba parlare di vero progresso o mera innovazione tecnologica al servizio di interessi dominanti particolari, dipende dal fine principale verso cui sono indirizzate. L’idea moderna di progresso sembra sorgere dalle proprie ceneri, ed è necessario indirizzarla a favore di un’auspicabile prospettiva emancipatoria.

Per una visione più chiara e completa degli argomenti trattati, si consiglia la lettura del volume Le maschere del progresso: ascesa e caduta di un’idea moderna di Carlo Altini, edito da Marietti (2018).

MC

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