Era il 2016 quando il caso di Tiziana Cantone scosse l’opinione pubblica e portò alla ribalta il termine “revenge porn”. Era il 2019 quando il primo articolo sui gruppi Telegram italiani, dove migliaia di utenti scambiano ogni giorno immagini intime e video erotici senza consenso, venne pubblicato da Wired. Era il 2019 quando fu approvato il Codice Rosso. Era il 2020 quando venne aperto, di nuovo, il vaso di Pandora sui gruppi Telegram. È maggio 2021 quando esce Donne tutte puttane: revenge porn e maschilità egemonica, edito da Durango Edizioni e scritto da Lucia Bainotti e Silvia Semenzin. Donne tutte puttane è già definibile come un saggio fondamentale sul tema della condivisione non consensuale di materiale intimo, vediamo perché.
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Donne tutte puttane è un libro a tono divulgativo, una lettura scorrevole utile non solo a chi è interessato al tema, ma anche a coloro che vi si approcciano per la prima volta. Bainotti e Semenzin, entrambe con un PhD in sociologia digitale, cercano di far riflettere su quanto la nostra cultura sia intrinsecamente maschilista.
Il libro, pubblicato a maggio 2021, nasce durante il dottorato di ricerca delle autrici. È anche grazie al lavoro delle due autrici che oggi abbiamo la legge Codice Rosso, un articolo del codice penale che introduce il delitto di condivisione non consensuale di foto o video intimi. Sebbene non sia il focus del libro, anche le autrici parlano del Codice Rosso, sottolineandone le mancanze. La legge, infatti, è inefficace nell’80% dei casi e necessiterebbe di ulteriori aggiunte.
Tra le prime pagine di Donne tutte puttane troviamo una precisazione importante e una doverosa premessa: “revenge porn” non è il termine corretto. In passato abbiamo già sottolineato l’importanza delle parole e anche questo caso non è da meno. Usando il termine “revenge porn” commettiamo un doppio errore. Da un lato, vi è un errore letterario, con revenge che sta per vendetta e porn per il riferimento pornografico. In questo senso, si presuppone che la vittima “se la sia cercata” e si fa riferimento al porno quando il contenuto delle foto, spesso, non ha niente di pornografico. Utilizzare il termine “revenge porn” implica, sostanzialmente, una colpevolizzazione della vittima che non dovrebbe mai esistere.
Dall’altro lato, la maggior parte delle immagini condivise non hanno niente a che vedere con la vendetta né con la pornografia. La matrice della condivisione non consensuale di materiale intimo, questo il termine più corretto, è di tipo culturale. Il fattore scatenante della violenza è l’essere donna.
Donne tutte puttane è un titolo volutamente provocatorio che riprende un omonimo gruppo di WhatsApp. Dall’introduzione del libro: «Si chiamava Donne tutte puttane il gruppo WhatsApp creato da una decina di ragazzi allo scopo di scambiarsi foto e video intimi di ragazze senza che le ragazze ritratte ne fossero consapevoli o addirittura scattate a loro insaputa. […] Era un gioco, una forma di goliardia, una cosa da maschi». Un titolo che riprende anche la dicotomia santa o puttana, che culturalmente definisce la sessualità femminile.
Con il libro che invita a un patto tra i generi basato sul rispetto, un concetto fondamentale è quello di maschilità egemone, che indica come questi comportamenti sono attuati, ma anche come questi supportano la società patriarcale in cui viviamo.
Il libro si sofferma anche su Telegram, una piattaforma che si è dimostrata essere centrale nella condivisione non consensuale di materiale intimo e che ha permesso di scoprire sconvolgenti pratiche di abuso che vengono perpetuate con goliardia e superficialità. La ricerca su Telegram, iniziata nel 2019, ha portato le autrici a entrare nei gruppi “sotto copertura” per leggere chat rabbrividenti, in parte riportate anche da Wired. Con i gruppi Telegram aumentati in modo esponenziale durante la pandemia da Covid-19 (alcuni gruppi, ora, hanno più di centomila utenti), l’analisi proposta da Bainotti e Semenzin è più attuale che mai e porta chi legge a importanti riflessioni.
Nei gruppi Telegram, infatti, sono presenti non solo immagini pornografiche, ma anche video e foto di donne riprese di nascosto in atti sessuali o, più semplicemente, in luoghi pubblici. Non è più necessario, ormai, fotografarsi o filmarsi, il solo essere donna può portare a questo tipo di violenze.
Se un tempo si poteva dire che la vita digitale e quella “reale” erano due cose diverse, oggi non è più così. Proprio per questo dobbiamo imparare a tutelare le vittime di queste forme di violenza digitale.
Tra maschilità egemone, Telegram e cenni alla comunità LGBTQ+, i temi trattati in Donne tutte puttane sono scomodi. Ci mettono davanti a una realtà che non vogliamo accettare, nonostante i continui scandali. Sono tante le domande che si aprono dopo la lettura del libro. Viene da chiedersi cosa possiamo fare per proteggerci da queste forme di violenza se una qualsiasi foto può essere trasformata in un nudo grazie all’intelligenza artificiale. Ma anche perché le piattaforme digitali non intervengono come dovrebbero. Sul ruolo che le piattaforme hanno nella nostra vita. Si realizza quanto lavoro ci sia ancora da fare sia a livello legislativo sia a livello di educazione, sessuale e digitale.
In attesa di un cambiamento culturale che ci possa portare in una direzione migliore, Donne tutte puttane è una lettura fondamentale su questi temi, da porsi alla base delle riflessioni non solo dei nostri legislatori, ma soprattutto di ognuno di noi, perché è da noi che parte il cambiamento.
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