Oggi theWise Magazine ha incontrato Jacopo Montrasi e William Bavone, curatori di Istinti distruttivi, edito da AUGH! Edizioni. Un’antologia rock ispirata alle note di Appetite for Destruction, album dei Guns N’ Roses del 1987.
Come è nato il vostro libro? Chi sono gli Istinti distruttivi?
Jacopo: «Il libro è nato da un messaggio. Io e William ci incontrammo per la prima volta nel 2018 in una presentazione della Bertoni Editore, a Milano. Lui acquistò Le memorie dell’ombra, il mio romanzo d’esordio. Lo lesse dopo più di un anno, e in un giorno imprecisato di metà dicembre 2019 mi inviò un messaggio nel quale ci tenne a farmi sapere quanto gli fosse piaciuto il libro. Lo ringraziai e cominciammo a parlare di scrittura e musica, le grandi passioni che ci accomunano.
Percepimmo entrambi un feeling quasi istantaneo e decidemmo di non perdere quella sinergia. Un paio di giorni a seguire, dopo milioni di messaggi, nacque l’idea di Istinti distruttivi. L’antologia ha rappresentato per noi l’occasione di poterci cimentare nel ruolo di curatori e di conoscere e lavorare con scrittori straordinari. Io e William, oggi, ci sentiamo tutti i giorni. È il primo a cui chiedo consiglio, il primo a leggere ogni cosa che scrivo. Il rapporto tra noi è importante e trascende la sfera professionale. Istinti distruttivi è stato il primo passo, l’avvio di una collaborazione che speriamo possa arrivare lontano».
William: «Il libro è un caso, ma anche una soluzione facile a un problema. Come ha detto Jacopo, abbiamo iniziato a parlare in chat, c’è stata affinità e subito abbiamo iniziato, senza accorgercene, a parlare di progetti da vivere assieme. Una follia, in poche parole. Eravamo due treni che viaggiavano d’improvviso a gran velocità. Uno accanto all’altro. E nella corsa ci ha sfiorato l’idea di scrivere a quattro mani. Una cosa molto difficile e che in realtà richiede tempo e tecnica. E allora? Allora abbiamo virato su un qualcosa che poteva comunque farci convivere nello stesso libro: una antologia.
E qui si vede chi sono gli Istinti distruttivi. Due penne con una grande affinità nel percorso, negli obiettivi e nelle passioni. Ognuno ha il suo percorso, chiaro, ma la marcia in più è la continua condivisione, il confronto nel bene e nel male. Entrambi sappiamo dove vogliamo arrivare, ma l’uno cerca sempre l’altro lungo il percorso che lo riguarda. Una cosa più unica che rara, se ci penso o se mi guardo intorno».
Cosa significano per voi i Guns N’ Roses? Come mai avete scelto proprio Appetite for Destruction, album di questa iconica rock band, come “traccia” per il vostro lavoro?
Jacopo: «Ho avuto un’infanzia complessa e un’adolescenza inquieta. Ero un disadattato, di quelli per cui ogni pretesto era buono per fare scoppiare un “casino”. Axl Rose e i Guns and Roses incarnavano perfettamente la mia voglia di ribellione verso un futuro preconfezionato stile studio-lavoro-famiglia-figli. Io volevo bruciare il mondo. E Appetite for Destruction era la colonna sonora perfetta per poterlo fare. Poi gli anni sono passati, e l’adolescenza ha lasciato il posto alla senescenza. Ora sono il tipo studio-lavoro-famiglia-figli, ma dentro di me alberga ancora l’anima di un rocker spaccamondo. Quando William mi ha proposto di creare un’antologia basata su un album musicale, la scelta è stata automatica».
William: «La scelta è del socio. Io ovviamente potevo negarmi, ma il rock è rock e i Guns rientrano nella mia visione del rock. Era giusto che la prima antologia trovasse pieno sviluppo in almeno uno di noi e Appetite, i Guns, è il mondo da cui Jacopo viene e resta una parte imprescindibile del suo essere più intimo. Quindi era giusto partire da queste melodie. Per il resto, la particolarità del progetto è che ogni autore ha interpretato testo e ritmica in chiave thriller e sono nate storie molto particolari, fino a sfociare nel distopico. Sotto il livello puramente narrativo c’è lo stile di scrittura, e anche qui c’è una tale varietà che non ci si annoia».
Qual è secondo voi il rapporto fra musica e letteratura?
Jacopo: «Un rapporto alla pari. Sono magiche. Entrambe. A chi non è capitato di volare via sulle note di una canzone o, parimenti, tra le pagine di un libro? Musica e letteratura ti consentono di sfuggire dalla gabbia di una vita standardizzata. La musica è anima che urla, il mezzo che ti permette di rendere migliore il momento che stai vivendo, oppure di estraniarti dalla realtà e seguire i tuoi pensieri, lontano, fino ai confini del mondo. Personalmente ascolto di tutto: dal rock alla classica, dal folk al jazz. E, quando scrivo, ho sempre bisogno di una musica di sottofondo. Perché note e parole viaggiano sugli stessi binari.
Chi legge entra nella mente dello scrittore e attraversa tempo e spazio. Nell’ultimo mese mi sono ritrovato a soffrire in un campo di concentramento nazista, sono stato imprigionato in un carcere francese agli albori del Novecento e ho manifestato il mio dissenso contro le autorità in Colombia. Tutto senza muovermi da casa mia. Se non è magia questa!».
William: «Sono due espressioni artistiche e come tali non possono essere isolate. La narrativa è un viaggio, un percorso in cui la musica può creare un effetto di tridimensionalità. Una canzone ben scelta rafforza personaggi, ambiente, ritmo. Un testo ben fatto invece può essere d’ispirazione per un concept musicale. Cent’anni di solitudine di Garcia Márquez si è tradotto in un album dei Modena City Ramblers, The Wall dei Pink Floyd è un vero e proprio libro racchiuso in suoni psichedelici.
Le arti se confluiscono l’una nell’altra sprigionano un’energia esponenziale. E poi pensate alla copertina di un album o di un libro: è arte visiva ed è la prima a creare un contatto con il pubblico, ancor prima della trama in quarta di copertina o del titolo. Nel 99% di ciò che scrivo ci metto sempre un sottofondo, è la potenza di cui sento di aver bisogno per completare un personaggio, una storia o un ambiente».
William, a quale traccia dell’album si ispira il tuo racconto Beauty Eyes? Come mai questa scelta?
«Si tratta dell’interpretazione del testo di Sweet Child O’ Mine, nona traccia dell’album Appetite for Destruction e ovviamente nono racconto in antologia. Quando è nato il progetto non avevo mai scritto un thriller e quindi avevo la necessità di una ritmica tranquilla, non troppo veloce. Volevo entrare nel genere senza rischiare di correre troppo e sbagliare. Poi è venuto lo studio del testo, una canzone d’amore e tutto è stato subito chiaro. Se questo sentimento viene estremizzato fino alla distorsione si finisce nella mente di un serial killer.
Avevo la storia! Poi mi sono guardato intorno e ho visto una scatolina di legno, una di quei cubi che i bambini colorano fuori e dentro cui nascondono cose. L’ho chiesta a mio figlio in prestito per guardarla con attenzione e mi sono detto: cosa ci metterebbe dentro un predatore di uomini? E così ho iniziato a scrivere. Oggi ho la consapevolezza di poter scrivere un thriller sulle note degli Iron Maiden, ma ogni cosa è giusto che viva nel suo momento e sono fiero di Beauty Eyes, un racconto che subito dopo mi ha portato a scriverne il prequel, un vero e proprio romanzo breve dal titolo Il buio negli occhi».
Jacopo, e il tuo racconto Frammenti di te?
«Frammenti di te si ispira a Rocket Queen, il pezzo che conclude Appetite for Destruction. Rocket Queen fu il primo pezzo che dedicai a una ragazza, e perfino il nome della tribute band con la quale suonavo i pezzi dei Guns in giro per mezza Italia, nei primi anni Duemila. Credo che una canzone racchiuda in sé un pezzo di tempo. Uno spaccato di quel che il mondo era nel momento in cui è stata scritta, ma anche chi è come eravamo noi nel momento in cui l’abbiamo ascoltata e gli abbiamo attribuito un valore.
Una canzone ha mille facce, mille prospettive, mille sfumature. Perché viene interiorizzata, e ognuno di noi la vive attribuendogli il suo proprio, personale significato. E così un racconto. Frammenti di te parla di rock, sesso, morte, di vite al limite, di passioni ardenti consumate dalla fiamma della gioventù. Ma parla anche di prospettiva, perché ogni cosa cambia, se guardata da un punto di vista differente».
A chi consigliereste la lettura di Istinti distruttivi?
Jacopo: «Facciamo prima a dire che non la consiglierei a chi adora letture rilassanti, senza sussulti. Istinti distruttivi è rock. E del rock ha il ritmo indiavolato e la puzza di parole sporche d’alcol e sigarette».
William: «L’antologia è una chicca da collezione. Dove lo trovi un album reinterpretato in questo modo? E poi è bello anche ascoltare le canzoni, leggere i testi e lasciarsi andare al pensiero di quanto sono fuori gli autori con la loro mente e le loro interpretazioni».