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Green pass obbligatorio: è davvero necessario?

Published by
Giacomo Stiffan

Il primo a muoversi verso il green pass obbligatorio è stato il presidente francese Emmanuel Macron.

La mossa dell’Eliseo è un tentativo (di certo più soft rispetto all’obbligo vaccinale vero e proprio) volto a invertire la scarsa adesione dei francesi alla campagna vaccinale, in un Paese in cui il pensiero no vax è talmente diffuso da portare in piazza svariate migliaia di persone. Eppure, nonostante la scelta sia indubbiamente divisiva, i sondaggi dicono che la maggioranza dell’elettorato – in particolare quello moderato – sta con il presidente. La sua si è rivelata quindi una mossa inizialmente azzardata ma, a posteriori, vincente.

Emmanuel Macron. Foto: Jacques Paquier, Wikimedia Commons.

Intanto la situazione dei contagi peggiora un po’ ovunque. Allo stato attuale delle cose sembra che Macron abbia semplicemente fatto da apripista a misure che anche altri governi, compreso quello italiano, stanno concretamente valutando.

Il dibattito sul green pass

L’opinione pubblica nel frattempo è sempre più polarizzata tra favorevoli e contrari, con i “dubbiosi” in attesa delle decisioni del governo.

In questo clima il dibattito diventa “popolare” e tutti hanno la sensazione di essere in grado di farsi un’idea da soli. D’altro canto i dati sono abbondanti e di pubblico dominio, tanto che i commentatori da social si scatenano in fantasiose interpretazioni, convinti di capirne più di chi studia la materia da una vita. Il risultato è che i social network sono inondati di informazioni manipolate pur di supportare le proprie convinzioni.

Leggi anche: Bestiario dei troll da social: tipologie, tecniche e come batterli.

Peccato che qui non si tratti della finale degli europei di calcio, nella quale ci sentiamo un po’ tutti CT della Nazionale e nessuno si fa male. Quando discutiamo di un tema delicato come questo sul piatto della bilancia ci sono vite umane: l’ultima parola spetta alla scienza e alla comunità scientifica, le uniche che ci permettono di interpretare correttamente ciò che sta accadendo.

Prima di saltare alle conclusioni però è doveroso sfatare alcuni miti che altrimenti inquinerebbero qualsiasi possibile ragionamento.

Le obiezioni contro il vaccino

Non è stato sperimentato

Tutti i vaccini che usiamo in Europa hanno superato le tre fasi di test necessarie, come qualsiasi altro farmaco. Cosa che non si può dire del russo Sputnik e del cinese Sinovac, la cui somministrazione è iniziata prima di terminare la fase clinica.

Com’è possibile che ci siamo arrivati così velocemente?

La differenza l’ha fatta lo sforzo economico e la sinergia internazionale messa in campo dai governi, assolutamente fuori scala rispetto a qualsiasi altro caso. Questo ha permesso di eliminare i notevoli tempi morti, spesso spesi alla ricerca di fondi e di collaborazioni.

Non è sicuro

Dati alla mano i vaccini sono estremamente sicuri, molto più dei farmaci che teniamo a portata di mano nel cassetto dei medicinali. Se avete paura di un vaccino è meglio che non leggiate il bugiardino della tachipirina o dell’aspirina (per non parlare degli antibiotici).

Si tratta di un meccanismo mentale simile alla paura di volare. Chi ne soffre non è altrettanto timoroso di viaggiare in auto, sebbene sia statisticamente molto più rischioso morire in auto che in aereo. Questo perché quello a cui siamo abituati ci fa meno paura di un evento meno frequente, a prescindere dal reale grado di rischio.

Non funziona/non fa calare la mortalità

Tutti i vaccini a nostra disposizione sono efficaci e lo dicono i dati, specialmente per quanto riguarda il calo della mortalità (punto su cui sfioriamo il 100%).

Ciò che può trarre in inganno invece è una pericolosa semplificazione: «Se un vaccinato si ammala, vuol dire che il vaccino non funziona».

Sbagliato.

I vaccini non sono efficaci al 100%, vero, ma questo non significa che non siano efficaci per niente, anzi è vero il contrario: nella stragrande maggioranza dei casi (fino al 95%) si ottiene l’immunizzazione, oltretutto in misura più forte e duratura rispetto all’infezione naturale da Covid-19. Semplicemente, le pochissime persone vaccinate che si ammalano fanno parte di quella minuscola percentuale di persone su cui il vaccino non ha innescato una corretta immunizzazione. Il che ci porta al prossimo punto.

Il vaccino è una scelta individuale/non vaccinarmi è un mio diritto

Questa è un’enorme baggianata. Una campagna vaccinale è per definizione uno impegno collettivo, il cui scopo non è semplicemente immunizzare chi si vaccina quanto raggiungere l’immunità di gregge. Questo significa arrivare a una percentuale di popolazione immune abbastanza elevata da far da scudo a chi non è stato immunizzato dal vaccino (vedi sopra) e a chi per motivi di salute non può vaccinarsi.

In parole povere, un immunodepresso che vorrebbe vaccinarsi ma non può farlo ha diritto di vivere in una società che lo tutela, invece di essere in balìa di chi per un egoismo irrazionale ne mette a repentaglio l’esistenza. Quindi no, il nostro diritto di scelta finisce dove inizia il diritto alla vita di qualcun altro.

Non funziona contro le varianti

Ne parla il prof. Bucci in un suo recente articolo: i vaccini sono la miglior arma che abbiamo a disposizione contro le varianti, compresa la famigerata variante Delta.

Vaccinarci in massa e in tempi rapidi è il miglior modo per evitare che si sviluppino nuove varianti: il virus circola soprattutto tra i non vaccinati e più volte si moltiplica, più sono le occasioni in cui può mutare generando altre varianti. Con la possibilità che una di queste sia resistente al vaccino.

L’obbligo vaccinale è incostituzionale

È la classica scusa di chi non ha mai letto la Costituzione. L’articolo 32 afferma che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Quindi – letteralmente – basta una legge per rendere qualsiasi vaccino obbligatorio.

Quando il populismo si misura in vite umane

Preso per assodato quanto sopra, il dibattito in corso sul green pass sta assumendo toni grotteschi.

La politica dovrebbe concentrarsi nell’ottimizzare al massimo la campagna vaccinale prima di introdurre qualsiasi obbligo, così da azzerare le liste d’attesa di chi si è coscienziosamente prenotato per tempo.

Invece quello a cui assistiamo è la galassia populista ridotta a un teatrino, i cui pavidi interpreti perdono più tempo a consultare i sondaggi che ad ascoltare gli esperti. La cosa non sarebbe preoccupante, se non fosse che fanno la parte del leone in parlamento.

Così la posizione politica ampiamente più diffusa è ambigua, a tratti paracula, e strizza l’occhio all’antiscienza in maniera semplicemente imbarazzante.

Assistiamo al capogruppo alla camera di Fratelli d’Italia (nonché cognato di Giorgia Meloni) Francesco Lollobrigida sconsigliare candidamente il vaccino sotto i quarant’anni senza alcuna evidenza scientifica a supporto.

Matteo Salvini. Foto: Wikimedia Commons.

Gli fa eco il segretario della Lega Matteo Salvini, che conferma a mezzo stampa l’inutilità del vaccino per i giovani e rincara la dose, affermando di essere contrario all’obbligo vaccinale e che suo figlio diciottenne non vaccinato può tranquillamente andare a trovare i nonni perché vaccinati.

Roberto Fico. Foto: Wikimedia Commons.

E ancora, con un contorsionismo degno di nota del miglior spirito di casta, il presidente della camera Roberto Fico (M5s) dice no al green pass sul posto di lavoro, soprattutto per i parlamentari.

Tiriamo le somme

Imporre un obbligo per qualcosa che oggettivamente fa bene sia al singolo che alla collettività è sempre un po’ un fallimento: significa aver perso la battaglia della corretta informazione.

Non servirebbero né green pass né obbligo alcuno se tutti comprendessimo l’irrazionalità del non vaccinarsi. Ma così non è, e ci fidiamo più di qualche pagina Facebook che dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Agenzia Europea del Farmaco.

Quando il dibattito scende a questo livello l’obbligo non è solo vaccinale, è morale: va tutelato il bene della collettività, anche di chi non ne comprende il motivo, anche col rischio di perdere consenso.

Dopotutto, la differenza tra uno statista e un politicante non è poi questa?

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Giacomo Stiffan

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